La relazione con l'altro è segno della natura umana più autentica. Lo ha sottolineato il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, durante il consueto messaggio di fine anno al Paese. Lo scambio di auguri «non è soltanto un rito» ha detto Mattarella aggiungendo che è, per questo, necessario farlo «tanto più in quanto viviamo momenti difficili. Quando migliaia di vittime civili delle guerre in corso turbano tragicamente le nostre coscienze».
Sovraffollamento e disperazione dei detenuti contrari alla Costituzione
La pace, ha ricordato il Presidente Mattarella, si costruisce proprio accogliendo l’altro, rispettandone la dignità. Sempre, anche quando l’altro è reduce da errori. Va rispettata la dignità anche di chi «si trova in carcere. L’alto numero di suicidi è indice di condizioni inammissibili. Abbiamo il dovere di osservare la Costituzione che indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere. Il sovraffollamento vi contrasta e rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario. I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine. Su questo sono impegnati generosi operatori, che meritano di essere sostenuti».
Parole che giungono a pochi giorni dall’apertura della Porta Santa presso il carcere di Rebibbia e per le quali, i vescovi italiani hanno voluto ringraziare Mattarella con un messaggio: «Esprimiamo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per le parole che ha rivolto al Paese nel Messaggio di fine anno. È un’occasione per rinnovargli la nostra riconoscenza per il suo servizio di custode e garante della democrazia e dei valori della nostra Repubblica e dell’Europa. Lo ringraziamo, in particolare, per aver ricordato le tante povertà che segnano il nostro tempo e le nostre comunità. Tra queste, la drammatica situazione delle carceri che impone un ripensamento radicale del sistema penitenziario».
Cei: «Un’altra realtà esiste, il traguardo della “recidiva zero” è possibile»
Attualmente, i 189 Istituti italiani ospitano 61.246 persone su una capienza di 51.230 posti. «L’indice di sovraffollamento, pari a 130,44%, e i suicidi, sempre più numerosi, chiedono ascolto: la disperazione non può avere come risposta l’indifferenza. Serve uno sforzo collettivo per assicurare condizioni dignitose a quanti vengono privati della libertà e per offrire percorsi adeguati perché la detenzione sia un’occasione di rieducazione e redenzione. Per garantire sicurezza, c’è bisogno di giustizia, non di giustizialismo. Esistono misure alternative che, oltre a prevenire la reiterazione di un reato, salvaguardano l’umanità e favoriscono il reinserimento nella società: se ben proporzionate e gestite con saggezza, sono in grado di produrre un cambiamento e di guardare al futuro», ha evidenziato la Conferenza episcopale italiana, aggiungendo che «non si tratta di scorciatoie o concessioni buoniste, ma di un vero dovere costituzionale e, per i cristiani, di un atto di amore. Occorrono però strumenti e finanziamenti mirati ed efficaci, lavoro, collaborazione degli enti locali e dell’amministrazione penitenziaria. Esperienze bellissime, diffuse sul territorio, dimostrano che un’altra realtà esiste, che il traguardo della “recidiva zero” è possibile. È una sfida da affrontare insieme: Istituzioni, società civile, comunità ecclesiale, con il supporto del mondo del volontariato, fondamentale anche nel fare cultura fuori da pregiudizi e distorsioni».
I vescovi italiani hanno quindi rilanciato l’appello del papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo, Spes non confundit: «Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi» e confermato l’impegno, come Chiesa in Italia, «a camminare con i fratelli che hanno sbagliato, con amore, perché questo ci fa riconoscere nell’altro la persona che è sempre degna della nostra compassione».