Santa Lucia, Sant'Aniello e la religiosità popolare

La devozione per i santi un tempo scandiva il quotidiano ed era segno della sete di Dio che accompagna l'uomo

di Gennaro Morisco

Santa Lucia, martire siracusana del III-IV secolo, e Sant’Agnello (o Aniello), abate del monastero di San Gaudioso a Napoli alla fine del VI, sono oggetto di grande venerazione popolare in tutto l’agro nolano, e non solo. La loro festa liturgica cade nei giorni consecutivi del 13 e 14 dicembre, il che ha generato la falsa credenza che essi fossero fratelli.

Santa Lucia, Sant'Aniello e la sete di Dio

A Nola, sulla collina di Castel Cicala, è celebre la chiesetta dedicata alla Santa patrona della vista, inglobata nelle mura del diroccato castello medievale, mèta di centinaia di pellegrini dalle prime luci dell’alba fino a tarda sera nei giorni festivi. Anche nella Chiesa del Gesù, in piazza Giordano Bruno, i due Santi godono di particolare culto e sono numerosi i devoti che partecipano alle celebrazioni liturgiche in loro onore. A Gargani di Roccarainola un piccolo santuario è dedicato all’abate napoletano, che era molto venerato un tempo dalle donne incinte. Esse nel giorno della sua festa dovevano tassativamente sospendere qualsiasi faccenda domestica e recarsi in chiesa ad onorarlo accompagnate dai mariti, che per questo motivo non avrebbero dovuto lavorare. Il Santo era infatti ritenuto assai suscettibile e vendicativo ed era la stessa “sorella” a mettere in guardia i suoi devoti, secondo un adagio che ingenuamente le attribuiva il popolo: «Di me fidar… di mio fratello no». Le donne gravide dovevano, in particolare, astenersi dall’utilizzare forbici, coltelli, aghi per cucire e qualsiasi altro oggetto tagliente o appuntito, per evitare che il nascituro venisse al mondo con sfregi o menomazioni fisiche: «Sant’Aniello né forbice e né curtiello». Inoltre non potevano avvolgere gomitoli, altrimenti la creatura sarebbe nata con il cordone ombelicale attorcigliato al collo.

Si trattava ovviamente di errate superstizioni popolari, sorte in seguito al diffondersi di leggende relative alle vite dei Santi (in particolare la Legenda aurea del domenicano Iacopo da Varazze del XIII sec.), che faranno anche un po’ sorridere, ma dicono la fede semplice della nostra gente, i cui ritmi di vita, oggi così frenetici e disumani, un tempo erano scanditi quasi esclusivamente dalle ricorrenze del calendario. Pertanto anche il ciclo delle stagioni e le previsioni meteorologiche venivano associati alle celebrazioni cristiane e subivano una sorta di “sacralizzazione”, generando semplici osservazioni e modi di dire divenuti proverbiali:

«A ssanta Lucia ‘nu passo ‘e gallina, a ssant’Aniello ‘nu passo ‘e pecuriello»: nei giorni di Santa Lucia e Sant’Aniello le giornate cominciano ad allungarsi gradualmente, in prossimità del solstizio d’inverno, compiendo piccoli passi di gallina e agnellino; «Comme Catarenéa, accussì Barbaréa; comme Barbaréa, accussì Nataléa»: come sarà il tempo il giorno di Santa Caterina (25 novembre), dovrebbe esserlo anche il giorno di Santa Barbara (4 dicembre) e a Natale; «San Biase: ‘o sole p’’e ccase»: il giorno di San Biagio (3 febbraio) si assiste ad una temporanea pausa del rigore invernale e un raggio di sole riscalda le case.

La celebrazione delle feste dei Santi, con le manifestazioni di religiosità popolare connesse, resta tuttavia una via di evangelizzazione da non sottovalutare. Il Papa Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) così si esprimeva: «La religiosità popolare, si può dire, ha certamente i suoi limiti […] Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare un’autentica adesione di fede […] Ma se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere» (n. 48).







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