Sabato scorso, nella Cattedrale di Nola, il vescovo Francesco Marino, durante la celebrazione eucaristica vespertina, ha celebrato la consacrazione a Cristo, secondo il Rito dell'Ordo Virginum, di Mariangela Parisi.
Molto intensa la sua omelia.
Cosa siete venuti a vedere?
«Carissimi, parafrasando la domanda che Gesù rivolge alle folle nella pericope del vangelo che abbiamo appena ascoltato: “Che cosa siete andati a vedere nel deserto?”, mi sovviene di chiedere a voi ora: “Cosa vi aspettate questa sera? Cosa siete venuti a vedere questa sera? Quale esperienza vi aspettate di fare questa sera, non nel deserto, ma in questa cattedrale nolana, voi che siete la Chiesa santa di Dio?”», ha esordito monsignor Marino. «Perché vedete, c’è una affinità tra la domanda di Gesù e la domanda che io rivolgo a voi nel nome di Gesù».
«Giovanni - ha continuato - è il profeta, anzi, più che profeta: Gesù stesso dice che è il più grande tra i nati di donna e poi aggiunge che “il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”, facendo riferimento a coloro, che nella fede, accolgono Lui in cui il Regno di Dio si fa presente, Lui che viene e viene coinvolgendo, anzi trasformando e rinnovando in radice ogni creatura. Giovanni è il profeta che annuncia e precorre il Cristo, è colui che annuncia nel tempo presente, nel mondo presente, la venuta del Regno nella persona di Gesù. Anche noi oggi, discepoli di Gesù Risorto, ormai divenuti “i piccoli del Regno di Dio”, siamo spettatori e protagonisti di un evento ecclesiale profetico che indica Cristo e, in Lui, la nuova condizione dell’umanità trasfigurata dalla sua grazia che anticipa il mondo futuro.
Lo sconcerto di Giovanni
«Giovanni era rimasto evidentemente sconcertato, se dal carcere, sentendo parlare dei gesti, delle parole di Gesù e degli avvenimenti che accadevano intorno a lui, s’interroga perplesso e manda i discepoli a chiedere: “Sei tu Colui che deve venire? Sei tu il Messia? Sei tu l’inviato ultimo di Dio? Sei tu colui nel quale il Regno di Dio che tutti attendono si fa presente? “ - ha sottolineato il pastore della Chiesa di Nola -. Lo sconcerto di Giovanni dipende dalla constatazione che di quel Gesù, che egli conosceva e che pure aveva indicato come il Messia, egli ora nella solitudine del carcere sente narrare gesti e parole diversi da come egli e tutti gli altri si attendevano. Lo stile di Gesù era diverso da quello di Giovanni. Lo stile di Giovanni era austero, era l’annuncio del giudizio tremendo di Dio sulla realtà profondamente negativa del mondo del suo tempo, che è del mondo di sempre, anche del nostro mondo il quale ieri come oggi contiene strutture di peccato, strutture segnate dal male che tanto ci fanno interrogare e ci mettono in crisi. Giovanni è il profeta della fuga dal mondo, del giudizio e del fuoco che deve venire per bruciare l’iniquità e in tal modo purificare il mondo stesso».
Gesù, uno stile diverso
«Lo stile di Gesù nell’annuncio del Regno di Dio presente sua persona è profondamente diverso: Gesù si fa conviviale con i peccatori, riconcilia, perdona; Gesù scaccia il demonio, scaccia il male con l’incondizionata gratuità del dono, con l’esperienza radicale della misericordia, della solidarietà, dell’amore di Dio che dal di dentro della realtà umana si fa solidale fino in fondo con l’umanità. Dio, con la potenza inerme dell’amore, si comunica; non lascia l’umanità abbandonata nel suo male: tutta la sua azione è di profonda redenzione e liberazione dal male, con uno stile di misericordia, solidarietà, condivisione. Il suo non è un giudizio che condanna ma un giudizio di misericordia che salva. Il suo è un giudizio che eleva, è il giudizio della grazia, dell’assoluta e incondizionata esperienza dell’amore di Dio che è Padre. Questo è una sorpresa per Giovanni (come lo era per anche per tutti gli altri), per questo egli resta sconcertato e invia i discepoli a domandare».
I segni della potenza di Dio
«E allora Gesù non risponde semplicemente: “Sì, sono io il Messia”, ma rimanda alla Parola di Dio, alle Scritture (Isaia) e alla straordinaria potenza dei segni che rivelano l’azione dello Spirito in Lui. Dice “E’ così; parlano i segni dell’avvento di Dio! Questi sono i segni. Quelli annunziati dalle profezie antiche. Perché l’irruzione di Dio nel mondo, sana, eleva, guarisce, si manifesta come una nuova creazione che annienta le strutture di peccato prodotte dalla disobbedienza idolatrica dell’uomo e che generano sofferenza e morte: i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano e ai poveri è annunciato il vangelo. Un riferimento questo che è relativo ai poveri in spirito, a coloro che sono rivolti totalmente alla paternità di Dio creatore, riconoscendo la povertà radicale della propria esistenza. Essa intercetta l’attenzione integrale di Gesù, e per suo tramite di Dio stesso, verso l’uomo nella sua totalità; ricorda anche che solo chi apre il cuore alla fede può riconoscere nella sua radicale povertà, nel vuoto del suo bisogno, il desiderio di Dio, l’appello a Colui che gli viene incontro e che da sempre lo cerca per ricondurlo nel giardino della gioia che scaturisce dall’incontro con lui», ha continuato il vescovo.
Un segno attraverso il quale Dio ci provoca
E ha nuovamente domandato ai presenti: «Che siamo dunque venuti a fare? Per Giovanni e per gli altri si trattava di riconoscere il segno dei segni, nella persona di Gesù. Noi oggi siamo qui per riconoscere nell’oggi della Chiesa, nella nostra Chiesa, il segno di una consacrazione che riguarda in primo luogo la sua dimensione verginale e sponsale, ma anche povera e obbediente, e che trova la sua significazione in una persona – per noi qui Mariangela -, come in tante persone, che per dono di Dio a Lui stesso si donano integralmente per amore. Si tratta di una chiamata, di una vocazione che suppone l’elezione del Signore Gesù nella Chiesa e per la Chiesa, riguardo al mondo in cui essa è segno del Regno. Un segno che pro-voca; mette in discussione ogni mondanità e rimanda ogni cosa al primato di di Dio in noi e della sua grazia. Questa consacrazione, come ogni consacrazione, è chiamata ad essere, anche e soprattutto in questo nostro tempo così segnato dall’autosufficienza e dall’individualismo nichilista, l’espressione della potenza di Dio e della gratuità del dono di sé»
Due figure della profezia che scaturisce dal Vangelo
«Pensando a quello che stiamo facendo oggi, - ha evidenziato monsignor Marino - ricordavo che nei secoli la Chiesa (come ben insegna ad esempio la grande Patristica in Occidente, come in Oriente – pensate a S. Ambrogio, a S. Agostino a S. Giovanni Crisostomo, al nostro S. Paolino ecc. -) ha indicato in due figure fondamentali la presenza della profezia che scaturisce dal Vangelo: la verginità e il martirio, di cui noi forse abbiamo dimenticato la rilevanza, svuotandoli di significato mentre invece ad essi è ancorato l’annuncio del Vangelo e la professione di fede della Chiesa stessa, di tutta la Chiesa. Perciò abbiamo bisogno di vedere, di riconoscere la profezia che non è qualcosa che sorge da noi ma è dono dello Spirito, è una chiamata di Dio, è una vocazione. Ed è una testimonianza all’interno della Chiesa e provocazione nel mondo a riconoscere che il Signore continua a volere, in questo tempo della storia, il suo Regno, che porta in sé la gioia, una nuova esperienza dello Spirito di Dio. Ecco, che siamo venuti a fare? A vedere un segno della Chiesa e per la Chiesa, ma un segno che il Signore stesso rivolge a noi e a questo mondo. E vogliamo chiedere al Signore di continuare a donare alla Chiesa questa profezia e questa anticipazione dell’escatologia finale. E così sia, amen.