«Siamo in un tempo in cui alla via della elaborazione si preferisce la via della facilitazione»: questa affermazione del dottor Sergio Premoli può sintetizzare il lavoro di ascolto e di riflessione che ha coinvolto il nostro presbiterio in un percorso di aggiornamento nei giorni 6, 7 e 8 luglio sul tema La famiglia tra relazione e riconciliazione. La coincidenza dell’anno dedicato a san Giuseppe, Custode della santa Famiglia, con la ricorrenza del quinto anniversario della pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia ci ha spinti a ‘tornare alla famiglia’, accompagnati dalla parola appassionata e convinta di monsignor Vincenzo Paglia.
Premoli e Paglia: ci siamo confrontati con due punti di vista diversi e complementari, le dinamiche della vita e del sacramento, la vocazione umana e cristiana a ‘rendere familiare’ il mondo, la responsabilità e la grazia della relazione e della riconciliazione. Questo ci è bastato per renderci conto che non bastano le semplificazioni o le opposte passioni che troppo spesso caratterizzano il dibattito culturale e politico, anche in questi giorni, per rendere ragione di una dimensione dell’uomo e del cristiano così fondamentale e complessa quale il matrimonio e la famiglia.
Una riscoperta ci ha motivati: la famiglia e il matrimonio così come li pensa e li crede la Chiesa, non soltanto sono nel Vangelo ma sono Vangelo, sono cioè una buona e bella notizia ancora e soprattutto oggi. L’innegabile crisi dell’istituto matrimoniale e familiare, con il conseguente indebolimento di significati e prospettive fino a poco tempo fa generalmente condivisi, non ha eliminato il desiderio tutto umano di incontro fecondo, di amore responsabile, di relazioni generative e profonde. La risposta che la Chiesa offre a questo desiderio conserva intatta la sua forza, a patto, come ci ha insegnato il Papa, che trovi linguaggi rinnovati, che trasformi le regole in inviti, le mete in cammini, i divieti in percorsi.
Come diocesi, alla luce della Lettera che il Vescovo ha indirizzato a tutti noi per la scorsa Quaresima, vorremmo sognare con san Giuseppe la Famiglia come Dio la pensa e come le nuove generazioni la chiedono: aperta al dono, capace di cura responsabile, fedele nell’amore e pronta ad attraversare le notti senza perdere la fiducia e la speranza. Vorremmo, anzi, soprattutto dopo l’esperienza della pandemia che rischia di renderci tutti più soli e isolati, e per questo più deboli e feriti, scommettere sul futuro che o sarà a forma di famiglia o non sarà. Perché è in famiglia che si impara che non ci si salva da soli, poiché l’altro sono io. Pur nel rispetto delle varie forme che il bisogno umano di relazionalità può assumere attraverso i tempi, la grazia del sacramento del matrimonio che fonda la famiglia cristiana resta la grande profezia di cui la Chiesa e il mondo avranno sempre bisogno: la complementarietà sessuale e generazionale che annuncia e realizza la diversità riconciliata nell’amore e per questo generatrice di vita e di speranza*.
*la riflessione è stata pubblicata sul numero di inDialgo del 25 luglio 2021