A migliaia di anni di distanza dal primo invio missionario, l’invito dell’Altissimo è sempre lo stesso: lascia le sicurezze della terra per consegnarti alle promesse del cielo. Papa Francesco non poteva trovare miglior esempio di Abramo per indicare a coloro che hanno Dio per padre di pellegrinare nel mondo guardando il cielo, alla luce delle stesse stelle, che portarono, colui che ebbe fede, al ‘campo del Signore’. Il viaggio di Francesco ha avuto come bussola l’enciclica Fratelli tutti, particolarmente quando ha affermato che «chi crede in Dio non ha nemici da combattere».
Il solo bagaglio da portare con sé nell’andare all’altro è l’amore di Dio, vivo nel prossimo.
Mai permettere che la luce delle stelle sia nascosta dalle nuvole dell’odio. Ma neanche la bellezza delle stelle deve distrarci dal camminare sulla terra, dal fare un viaggio in uscita, dal partire da noi stessi per scoprire la sublimità dell’altro. Nelle tempeste che stiamo attraversando, viaggiando sulla stessa barca, non ci salverà l’esclusione o il razzismo, le corse alle armi e l’erezione di muri: questi possono solo renderci più distanti, creare ostacoli e accrescere l’esasperazione degli esclusi dai beni del creato. Non ci salverà l’idolatria del denaro che provoca diseguaglianza in cui sprofonda la maggior parte dell’umanità. Non ci libererà il consumismo, che anestetizza il cuore. A chi guarda le stelle della promessa divina non è permesso di avere nemici, di imporre le proprie idee, di opprimere e prevaricare, di avere parole e atteggiamenti aggressivi. La via da percorrere è la via della pace che costa sacrificio, per cui vale la pena di perdere la vita, come hanno fatto migliaia di iracheni, che si sono scoperti figli del Dio vivente,