Oggi si celebra la 106esima Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Il tema di quest’anno è Come Gesù Cristo, costretti a fuggire. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni. La scelta del Papa, rimeditata dopo le elezioni della scorsa settimana, mi ha colpito ancora di più. Tra i punti al centro di tanti programmi elettorali c’erano e ci sono i giovani. Protagonisti anche della stessa campagna elettorale, come candidati. La condizione di ‘sfollato interno’, non si addice forse proprio ai nostri giovani? Forse, oserei, calza loro a pennello: non sono forse i nostri giovani costretti a lasciare quanto hanno, sogni e speranze in particolare, per poter imparare a sopravvivere in un territorio, quale quello in cui viviamo, che è incapace di tutelarli? E anzi finisce con lo spingerli ad oltrepassare il confine nazionale, da migranti?
La giornata di oggi, non è solo un’occasione per ricordarci che tutti gli sfollati interni, tutti i migranti, sono un ‘problema’ anche nostro, lo sono di tutti. Si tratta di una giornata che spinge soprattutto ad allargare il nostro orizzonte per comprendere, nella categoria del migrante e dello sfollato, ogni persona, ogni essere umano cui non venga concesso il diritto di sentirsi cittadino e di vivere in quanto tale. L’immagine di chi è straniero in terra straniera o addirittura straniero in terra propria, straniero invisibile per giunta, incalzi, pungoli, spinga chi della propria cittadinanza è certo a difenderla da chi vuole renderla inutile e superflua: barattando il voto, ad esempio, o approfittando della propria condizione di datore di lavoro per sfruttare i propri dipendenti; oppure, proprio approfittando della lealtà che solo un cuore giovane e ancora impastato di smaliziata fiducia nel domani può dare.
Questo numero di inDialogo non è dedicato ai risultati delle elezioni elettorali né allo stile assunto dai candidati durante la campagna di invito al voto. Ma è dedicato a una questione che ha a che fare con la politica, perché richiede buoni amministratori: il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Vivere in un territorio governato dalle mafie, non è forse vivere da sfollati interni? E a soffrire di questa condizione non sono forse soprattutto i giovani? Tutti i verbi che il Papa usa nel suo messaggio, accogliere, proteggere, promuovere, integrare, conoscere, comprendere, farsi prossimo, servire, riconciliarsi, ascoltare, condividere, non sono forse adatti per agire secondo buona politica, per fini diametralmente opposti a quelli delle mafie? La confisca dei patrimoni dei clan e delle cosche è oggi realtà grazie all’intuizione di Pio La Torre, che dalla mafia fu ucciso. Siciliano, ha pagato con la vita il suo attaccamento alla sua cittadinanza, quella allo Stato e non alla mafia, che in Sicilia invece ha agito da padrona, considerando Pio e quelli come lui, sfollati interni, problemi da eliminare.