«Se mi vieni a cercare solo d’estate non vale». Così recita il testo di uno dei tormentoni che solo due anni fa accompagnava l’estate musicale degli italiani. Certamente per l’attuale industria discografica, perennemente alla ricerca di successi e personaggi ‘usa e getta’, due stagioni potrebbero sembrare un’eternità, ma il concetto espresso con efficacia da questo brano risulta ancora valido.
La stagione estiva sembra da sempre rappresentare, in particolar modo per i giovani, un tempo sospeso. Un’opportunità per fuggire dalla poco esaltante routine e avventurarsi in situazioni inedite. Conoscenze, frequentazioni ed esperienze che entusiasmano e coinvolgono, ma che non sempre troveranno spazio una volta tornati alla vita ordinaria. C’è allora chi ritiene che tali esperienze non abbiano in sé un gran valore e siano poco rilevanti per la maturazione della persona, in quanto segnate da un tratto marcato di estemporaneità.
Si tratta in fondo di fare i conti con quella fatica a ‘fare sintesi’ che spesso accompagna la nostra vita e che è stata raccontata in maniera indimenticabile anche da uno dei musical più celebri in assoluto, diventato in seguito un grande classico della cinematografia mondiale: Grease. La vicenda ha per protagonisti due giovani, Sandy e Danny, che dopo aver vissuto una tenera e coinvolgente storia d’amore estiva, pensano di doversi salutare per sempre a causa della distanza che li separa. Con loro grande sorpresa si ritrovano, invece, di nuovo insieme, nella stessa scuola, ma faticano a vivere l’affetto che li lega nell’ordinarietà della loro vita, e ci riusciranno solo dopo vari e spesso goffi tentativi.
Alla luce di questa evidente difficoltà ad ‘armonizzare la vita’, nasce l’esigenza di provare a maturare uno sguardo che sia capace di unificare ciò che a prima vista appare frammentato e, al tempo stesso, ci aiuti a evitare di cadere in due pericolosi tranelli. Da una parte, infatti, potremmo cedere alle lusinghe di chi si lascia guidare da facili entusiasmi e dal gusto della novità, finendo per diventare semplici ‘collezionisti’ di esperienze che rimangono in un certo senso appese, senza radici e senza ali. In questo modo, si corre il rischio di vivere una sorta di dissociazione che appare senza dubbio molto pericolosa.
D’altro canto però non desta meno preoccupazione l’atteggiamento di chi invece vive una sorta di rifiuto, più o meno consapevole, nei confronti di queste esperienze e le guarda addirittura con un certo fastidio, affermando che esse finiscono per essere addirittura controproducenti. Non è raro che questo atteggiamento produca nella vita dei giovani un effetto di stagnazione, che porta alcuni ad impantanarsi e restare ancorati a comode abitudini che, però, non aiutano a maturare la consapevolezza di dover fare un salto di qualità per spiccare finalmente il volo, perché nessun cammino, per quanto ordinario, è fine a se stesso. È quindi fondamentale evitare sterili contrapposizioni, per imboccare invece con decisione la strada dell’integrazione e della ricerca di una circolarità intelligente che sappia mettere insieme ordinario e straordinario.
La crescita della persona non può che esprimersi in un cammino di unificazione interiore che la abiliti ad operare una sintesi di tutta la propria storia, non lasciando fuori proprio nulla, neanche ciò che apparentemente può sembrare soltanto marginale e occasionale.