a cura di don Domenico Panico
vicario episcopale per gli affari economici e amministrativi
parroco a San Francesco d'Assisi, contrada ai Romani, Sant'Anastasia
"Metti pure da parte il cervello, ma la dignità mai. È con il lavoro che si paga la propria dignità umana. Non esiste dignità, non c'è vita reale per un uomo che lavora dodici ore al giorno senza sapere per quale scopo lavora. Non lasciare che un uomo difenda la sua dignità, ma fai che la sua dignità difenda lui" Ralph Waldo Emerson
Sono l'uomo della strada, uno dei tanti, maggioranza silenziosa, diventata oggi ancor più silenziosa di prima. La strada mi è mancata molto, ma ora, che il virus cattivo è andato via, sono di nuovo per strada e mi accorgo che non è la stessa. Sembriamo tutti un po' marziani e anche più ordinati, tutti in fila ad attendere il nostro turno alla farmacia o al supermercato. Forse, non tutti i mali vengono per nuocere, chissà. Siamo più lenti e, mi sembra, anche più pacati. Forse, la quarantena ci ha abituati a non avere fretta: che avevamo da fare? Anch'io sono un uomo tranquillo e non ho grilli per la testa. In gioventù ho fatto anch'io le mie belle sciocchezze, niente di grave per carità, ma poi ho messo la testa a partito e, ora, ho moglie e figli. Ho anche un fitto da pagare, non ho molte idee anche se spero che quelle poche siano almeno sane, e un solo lusso: il bastardino trovato all'angolo della strada che mi ha adottato come padrone, bocca in più da sfamare. In verità, avrei anche tanta voglia di vivere, possibilmente bene. Questa ce l'avevo già da prima, ma sono sempre stato un precario della vita, che finora non mi ha sorriso tanto: ogni volta che credevo di aver trovato finalmente la quadra, ecco che puntualmente arrivavano le batoste. Una crisi via l'altra, ho dovuto sempre rincorrere qualcuno o qualcosa e, ora, che l'età mi ha raggiunto e quasi superato non posso nemmeno più correre. Quest'altra crisi, poi, davvero non ci voleva, ma così va la vita e bisogna adeguarsi. Anche il mio lavoro è stato sempre precario e negli ultimi tempi rigorosamente in nero. Il solito ritornello: "Chi vuoi che ti prenda più a lavorare alla tua età? Talvolta, con gli altri della maggioranza silenziosa scendevo in strada per far sentire la nostra voce ma già allora parevano tutti sordi, figuriamoci ora. Non leggo giornali perché non me li posso permettere e nel lockdown ho guardato sempre quello alla tv, tanto in un modo dovevo passare il tempo.
Mi sono accorto che non sono il solo a essere inguaiato ma sono in gran bella compagnia: prima i ricchi piangevano solo nelle telenovele, ora piangono solo in tv.
Sono proprio disperati. Ho sentito dire che, prima di questo lockdown, quando, insomma, le cose giravano piuttosto bene, nessuno di loro riusciva a mettere da parte un centesimo perché dovevano pensare all'innovazione, al bene dell'azienda, soprattutto alla concorrenza dei cinesi, che spuntano dovunque come i funghi. Tutti benefattori, insomma, anzi, tutti francescani senza il saio. Commercianti, artigiani, ristoratori, esercenti di bar e pizzerie, imprenditori di ogni settore finora pare che hanno lavorato solo per la gloria, per la soddisfazione di dire ci sono anch'io, senza mai un centesimo di guadagno perché i centesimi che riuscivano a mettere se li prendeva lo Stato con per le tasse. Eh sì, proprio centesimi! Quasi, quasi mi sento fortunato a non avere le loro preoccupazioni. Non ho yacht con personale a bordo da stipendiare, non auto di grossa cilindrata da curare o case al mare e in montagna da manutenere. Che voglio di più? Pure il mio capo mi diceva sempre che faceva sacrifici enormi per mantenermi ma, siccome anche lui veniva dalla gavetta e capiva cosa significava mandare avanti una famiglia, bastardino compreso, mi diceva che dovevamo venirci incontro e che anch'io io dovevo capire le sue difficoltà: se pagava bene me non poteva pagare le tasse ma, siccome lui ci teneva molto più a me che allo Stato, che non si sa che fine fa fare alle tasse, allora preferiva pagare me, anche male, piuttosto che le tasse. Un benefattore anche lui, insomma, che si è pure scusato, quando c'è stato il lockdown, avvertendomi che, dopo questo lockdown, sarebbe stata ancora più dura e che dovevamo venirci ancora più incontro perché lui potesse garantirmi almeno una parte del nero, dato lo Stato, che nel frattempo è diventato ancora più affamato di tasse, pare che manderà pure gl'ispettori a controllare se ci sono quelli come me che lavorano ma che non si deve sapere che lavorano e se li trovano sono guai neri. E i guai sarebbero che, poi, lui deve licenziare anche gli altri e mandare tante famiglie in mezzo a una strada a ingrossare la fila della maggioranza silenziosa. Ma, come si fa? Lui ha un cuore grande, che piange per tutti i suoi dipendenti, che per lui sono come figli, anche se molti sono figliastri. Me la sentivo, dunque, di fare questo sgarbo così grosso a lui, che dà lavoro a tanti poveracci come me, ma anche ai poveracci a cui lui da il lavoro e che non avrebbero più avuto lavoro? Un gentiluomo, non c'è che dire! Perché, poi, mi ha detto pure che qualcosa da fare per me ci sarebbe, qualcosina giusto per arrangiare, per farmi capire che lui mi vuole proprio bene e se lo toglie da bocca, anzi lo toglie dalla bocca dei suoi figli che, proprio per questo, sono costretti a mangiare al ristorante solo la sera e mai a mezzogiorno.
E sempre dalla tv ho saputo che pure lo Stato non sta molto meglio di me e del mio principale. Però, lo Stato vuol bene a tutti e ha detto che ci metterà tutta la sua buona volontà per spalmare i guai su tutti, perché tutti siamo sulla stessa barca e dobbiamo remare tutti quanti insieme, sennò affondiamo. E, poi, lo Stato ha pure detto che darà il lavoro a quelli che ce l'avevano ma, capitemi bene, non ce l'avevano. E questa è una di quelle cose che non ho capito bene: se già lo sapevano che c'erano quelli come me, come mai hanno aspettato che a ricordarglielo fosse proprio il lockdown? Vuoi vedere che adesso dobbiamo pure ringraziare il virus, anzi che dobbiamo sperare che venga ogni tre-quattro anni per aggiustare lui le cose? Sarà che sono un uomo della strada non, però, di strada. Ho una mia dignità. Mio padre me ne parlò tanto tempo fa come della cosa più importante per un uomo e io gli ho creduto, salvo accorgermi che da sola non è bastata a farmi campare. Pure il mio capo dice sempre che lui ha tanta dignità e, infatti, per strada gira sempre con una piccola auto per non farsi criticare da noi operai, che andiamo in bicicletta, e le auto più grandi le tiene nel garage e le usa solo quando deve fare un figurone. E se il lavoro che ci dava ce lo pagava poco era perché c'è concorrenza spietata e sleale di questi cinesi che ormai sono dappertutto e producono di tutto. Insomma, lui faceva quello che lo Stato non faceva e ci dava il pane proprio per rispettare la nostra dignità: dare allo Stato il pane delle tasse per lui era come darlo ai cagnolini e, allora, lui preferiva saltare qualche passaggio e darlo direttamente ai padroni dei cagnolini, che siamo noi operai. Un gran benefattore anche lui, uno che non si deve chiamare evasore perché lui è come Robin Hodd che toglie allo Stato, che spreca e sciupa, per darlo a noi che non sperperiamo in lusso e stravizi. Praticamente, da un certo punto di vista, il mio capo e io siamo anche uguali, perché nessuno dei due paga le tasse. Ma a me lo Stato ha detto che non me le fa pagare perché sono incapiente mentre del mio capo dice che sarebbe un evasore se riuscissero a pescarlo con le mani nella marmellata, però non è che lo Stato ha fatto granché per far diventare me capiente e lui contribuente. Insomma, è tutta strana la vita. Come, per esempio, questa faccenda del debito pubblico che spunta sempre in mezzo quando devono dare un po' di soldi ai più poveri ma si trovano sempre per i ricchi, anche per quelli che hanno le fabbriche in Italia e guadagnano in Italia ma pagano le tasse da un'altra parte per pagarne meno dei loro operai. A quanto pare, io e quelli come me siamo colpevoli d'essere nati da un papà che non aveva una fabbrica o una sartoria o un negozietto di coloniali. Io, poi, non mi ricordo neppure di aver contratto questo debito e il mio povero papà non me ne ha mai parlato. Il mio povero papà non ha fatto nemmeno testamento perché non aveva nulla da lasciarmi e non voglio credere che mi ha lasciato solo debiti di cui non sapevo nulla. Forse, tutto dipende dal fatto che, come uomo della strada, sono un cittadino medio e, come mi ha spiegato qualcuno che ne capisce, esiste anche il cittadino alto, che non avrebbe più diritti di me, ma certamente, non si sa perché, conta molto più di me. Io sono, dunque, solo un cittadino medio, cioè un cittadino comune, ordinario e dozzinale e (stavolta l'ho capito da solo senza che nessuno me lo spiegasse) per ogni dieci cittadini medi c'è sempre un cittadino straordinario, originale, non in serie, nonostante che siamo venuti al mondo tutti allo stesso modo, uguali per modo di dire, perché, qualcuno è sempre più uguale degli altri. Da uomo della strada, cittadino medio e comune, mi sono accorto di contare, dunque, come il due di briscola, cioè niente, ma devo fare lo stesso il mio dovere di amare lo Stato anche se il mio amore è comune e medio: di fronte alle necessità dicono che non ci devono essere distinzioni. Io, però, a differenza degli altri con cui non ci sarebbe distinzione, devo vedere ogni giorno dove rischiara il sole per provvedere alla mia famiglia, bastardino compreso, e a questo amore per lo Stato non posso proprio dedicarmi, anche perché sono di scarsa cultura e non comprendo il linguaggio di questo amore: inflazione, deflazione Recovery fund, Mes, giustizialismo, garantismo, ingegneria costituzionale, operazioni di tesoreria. Boh... Io capisco solo il richiamo del padrone di casa che, senza paroloni o mezzi termini, mi invita, si fa per dire, a regolare il fitto, o quello del salumiere che mi ricorda di saldare il debito (questo, lo giuro, l'ho fatto proprio io!) o il richiamo di mia moglie che mi ricorda che i miei figli non hanno le scarpe per l'inverno, o infine quello dei miei stessi figli che mi dicono: papà, noi non vogliamo farci passare tutti gli sfizi che si fanno passare i cittadini straordinari e originali ma almeno uno, che diciamo uno, di quelli dei cittadini ordinari, medi, sì. E, credetemi, quando sento queste voci, un po' mi arrabbio, un po' mi deprimo e tutto l'amore per lo Stato se ne va a farsi benedire e mi domando se i cittadini medi, comuni, della strada non abbiano gli stessi diritti degli altri. Mi domando, insomma, se il cittadino medio muratore non lavori anche per il cittadino originale, se il cittadino medio spazzino non pulisca le strade anche per il cittadino straordinario, o ancora se il cittadino medio becchino non porti al camposanto anche i cittadini straordinari e originali; se, insomma, tutti questi cittadini medi, comuni, della strada non debbano mangiare anch'essi a mezzogiorno (senza tuttavia esagerare a voler mangiare anche di sera) e se in cittadini straordinari e alti possano vivere senza noialtri. Ma vuoi vedere che in questa barca comune dobbiamo remare sempre noi?
Non ne parliamo, poi, quando da uomo della strada, cittadino medio e, talvolta, anche mignolo, desidero dire qualcosa, ovviamente nel mio scarno linguaggio, e mi sento dire che non solo sono un cittadino medio, comune, della strada, qualunque, ma che sono anche qualunquista, come se fosse un reato voler essere qualunque, come tutti gli altri. Mi dicono che qualunquista è quello che non capisce le grandi problematiche, ma io come faccio a capirle se non capisco nemmeno le parole? I miei problemi paiono sempre secondari e che, per risolverli, bisogna sempre risolverne prima qualche altro: il mio stomaco, i miei figli, il salumiere possono attendere. Però, poi, ogni tanto ci si ricorda che noi cittadini medi, secondari, qualunque e qualunquisti e della strada esistiamo e siamo pure la maggioranza, più silenziosa certo per via di lockdown, ma pur sempre la maggioranza, e allora ognuno a modo suo ci dice che abbiamo ragione e ci blandiscono e parlano a nome nostro, anche se non conoscono i nostri nomi. Insomma, ci vogliono difendere e tutelare ma, nonostante questo, io continuo a sentire la voce del padrone di casa, quella di mia moglie e quella dei miei figli, e qualche volta anche quella del bastardino, che mi ricorda che non gli ho dato da mangiare.
Ora, poi che posso uscire di nuovo per strada, sento gli altri di strada e, accipicchia, abbiamo tutti gli stessi dubbi di prima e pure loro non ne capiscono di Mes e Recovery fund, d'ingegneria costituzionale, di operazioni di tesoreria, ma sanno, come me, che le strade sono rotte, che nel quartiere si spaccia droga, che le vecchiette sono scippate, che il lavoro può ancora aspettare. Ma tutti questi sono problemi molto qualunque, anzi qualunquisti, perché non è importante l'ingegneria stradale, anche se i ponti cadono, ma quella costituzionale, che non è importante un'operazione giudiziaria perché quella di tesoreria viene prima ed è essenziale. Solo il nostro voto non è qualunque, o meglio è qualunque se lo diamo a questo, mentre se lo do a quell'altro, da qualunque diventa importante, addirittura determinante per le sorti del paese. Ma, insomma! Cari cittadini importanti, straordinari e originali perdonatemi se io so fare solo discorsi qualunque, ma voi cercate piuttosto di fare qualcosa in più per me e di parlare meno di me, tanto io esisto lo stesso anche se voi non ve ne ricordate mai. Ed esiste pure la mia pancia che brontola, esistono le strade dissestate e il territorio devastato. Risolvete queste cose e, poi, per compiacervi, continuerò, magari, a fare solo discorsi qualunque, per rimarcare la vostra superiorità e mi limiterò a parlare del tempo, di calcio e, qualche volta, di donne…