Con l'amore di una madre

Nel 1600 l'agro nolano fu colpito da un epidemia di malaria. Nel contributo di Eduardo Verrillo il racconto del soccorso portato da San Camillo de Lellis

 


a cura di Eduardo Verrillo


Era il 25 maggio 1550 quando a Bucchianico, un paesino in provincia di Chieti, nasceva Camillo de Lellis che sarebbe poi stato proclamato santo il 29 giugno 1746, patrono degli ospedali e dei malati (1886), patrono degli infermieri (1930), patrono della Regione Abruzzo (1964) e protettore particolare della sanità militare italiana (1974). Ebbe il merito di rivoluzionare l’approssimativa assistenza infermieristica degli ospedali dell’epoca che aveva potuto sperimentare sulla propria pelle per curare una ferita ulcerata ad una gamba. Insegnò ai suoi 'ministri degli infermi', conosciuti anche come Crociferi per la croce rossa impressa sul petto, a servire i malati «con quell’affetto che una madre amorevole suole avere verso il suo unico figliolo infermo».

A 470 anni dalla nascita lo vogliamo ricordare per l’opera misericordiosa che egli e i suoi ministri svolsero nei confronti della popolazione dell’Agro nolano durante l’epidemia del 1600 che provocò la morte di circa 60.000 persone, di cui 8.000 solo a Nola. Un attento studio della letteratura dell’epoca, oggetto di una prossima pubblicazione, ha consentito di stabilire che si trattò di una epidemia di malaria, trasmessa dalle zanzare che infestarono l’Agro a causa del ristagno delle acque pluviali straripate dai lagni e imputridite dal calore estivo.

Di ritorno da Genova a Napoli, San Camillo ebbe notizia della situazione nolana e volle constatarne di persona la gravità, nonostante il parere contrario dei medici che temevano per la sua incolumità. Ritornato a Napoli, organizzò i soccorsi e ritornò a Nola rassicurando il vescovo Fabrizio Gallo, che nel frattempo si trovava a Roma, che avrebbe provveduto alla necessità della popolazione afflitta, insieme a sette suoi uomini che, di volta in volta, si sarebbero alternati nell’assistenza. Il vescovo lo ringraziò per la preziosa opera con una lettera datata 16 agosto 1600 e gli concesse i poteri di vicario reggente la diocesi, mettendogli a disposizione tutti i mezzi di cui avesse avuto bisogno.

Un tetro spettacolo si presentò davanti agli occhi dei Crociferi: «sembrava lor di vedere un ritratto dell’antica Gerusalemme tanto amaramente dal Profeta Geremia deplorata». Colui che usò questa espressione, riferita alla Gerusalemme distrutta dai Babilonesi di Nabucodonosor, fu padre Sanzio Cicatelli, il primo estensore della vita di san Camillo, il quale fu testimone oculare di questa tragedia che apparve subito evidente nell’immensa drammaticità agli occhi dei soccorritori. Essi trovarono le strade deserte, le porte e le finestre delle case sbarrate, le chiese vuote. Udivano le campane suonare solo a morto e le poche persone smunte e ingiallite, che incontravano per le strade, parevano più morte che vive. Entrando nelle case trovavano moribondi, ai quali somministravano cibi, medicamenti, il Santissimo Viatico e l’estrema unzione, e cadaveri di persone morte anche da più giorni, ai quali davano degne sepolture. Capitava molto spesso che uno di loro entrasse in casa di un infermo, lo confessasse, lo comunicasse, gli desse l’estrema unzione e, una volta deceduto, lo portasse sulle proprie spalle fino alla sepoltura. Ordinariamente celebravano messa e somministravano tutti gli altri sacramenti al posto dei sacerdoti titolari, come il battesimo dei neonati e il matrimonio dei concubinari. Cessata l’emergenza, San Camillo ritornò a Napoli con i suoi. Cinque di loro, veri martiri della carità, «oppressi dalle gran fatiche, storditi dalla gran puzza, e contaminati da quell'aria pestifera si ammalarono anch'essi» e pagarono la loro encomiabile missione con la vita.

In questo periodo di paura e di insicurezza legate alla pandemia da coronavirus, pare di rivivere molti degli aspetti drammatici di quell’antica epidemia: la sofferenza della popolazione, la morte degli ammalati senza il conforto religioso e familiare, il sacrificio degli operatori socio-sanitari. Oggi, come  nel 1600, abbiamo bisogno di invocare l’intercessione di San Camillo, compatrono di Nola, affinché protegga tutta la popolazione: «O glorioso S. Camillo, che Ti sei dedicato alla cura degli ammalati per servire in essi la persona di Cristo sofferente e piagato, e li assistevi con la tenerezza di una madre accanto al suo unico figlio, proteggi con altrettanta carità noi, che ora T’invochiamo, perché afflitti da grande necessità. Amen».






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