a cura di don Domenico Panico
vicario episcopale per gli affari economici e amministrativi
parroco a San Francesco d'Assisi, contrada ai Romani, Sant'Anastasia
La portata dei disastri provocati nel mondo dalla pandemia da coronavirus è sconvolgente. Nonostante ciò, e malgrado danni ingentissimi, siamo davanti a un'occasione senza precedenti (Muhammad Yunus)
Dopo vent'anni, alla fine il baco del millennio è arrivato. Partito in groppa a un inedito cavallo di Troia da una lontana regione dell'est del mondo, dove già faceva strage di uomini ed economie (ragione più che sufficiente per stare in campana), ha bucato le frontiere, senza ostacoli in grado di fermarne l'avanzata, e ha raggiunto il nostro occidente, dove tutt'ora compie il proprio tragico "dovere".
Fior di scienziati (i relativi filmati girano in rete), forse inebriati di ottimismo della ragione, ci avevano assicurato che il baco non avrebbe varcato i nostri confini ma la Natura chiede attenzione e non si lascia vellicare dai contorsionismi degli umani. E, infine, ci ha chiarito, una volta per tutte, che il vero baco della nostra civiltà, quello su cui s'infrangono i buoni propositi, è l'incapacità a guardare oltre il portafoglio. Sorda alla retorica, ma pur sempre madre, la Natura ci aveva anche concesso tempo e possibilità per approntare difese. Qualcuno (Bill Gates, Barak Obama) ci aveva già indicato da quale parte sarebbe venuto il nuovo e terrificante pericolo ma, come spesso accade, il presagio fu ridotto a cassandrismo e i profeti furono bollati come personaggi in cerca di autore. Ma essi avevano visto giusto a dirci che, in un futuro non lontano, divenuto troppo presto presente, l'umanità sarebbe stata sconvolta non da una guerra termonucleare ma da un "semplice" virus. La Natura ha potuto, dunque, riprendersi il vantaggio temporale che aveva accordato. E mentre, il baco avanzava quasi indisturbato, la stessa scienza dello "stiamo sereni" si è convertita agl'imperativi del "lockdown" e del "distanziamento sociale", e la politica, che ancora stenta ancora a dire qualcosa di originale, è costretta ad ammettere le dissennatezze che hanno smantellato importanti pezzi del sistema sanitario.
Scrive il costituzionalista Michele Ainis: «Dei politici, a torto o a ragione, diffidiamo. Della scienza no, è la divinità di cui celebravamo la potenza. Almeno fino a ieri, prima che il virus ne mettesse a nudo gl'insuccessi, i limiti, i ritardi. Prima di assistere al concerto stonato dei virologi, dove ogni opinione s'infrange sull'opinione contrastante. L'ultimo insulto alla dignità della scienza, tuttavia, viene ancora dalla bocca dei politici. Perché in questa crisi stanno usando le incertezze degli esperti come uno schermo, un paravento: per non decidere o per decidere quello che gli pare. Sta di fatto che ne sappiamo poco, poco davvero dell'infezione che ha colpito il mondo... Sono state contate 15 task force, per un totale di 448 generali... Ne viene fuori una doppia lezione: sul ruolo della politica, sul ruolo della scienza. In questa giostra di voci (e di norme, di editti e di proclami), gli italiani hanno capito solo che è meglio stare a casa, lavandosi le mani ad ogni sospiro. Non va bene, non è così che ci sentiamo più protetti. Ma non va bene nemmeno il gioco dello scaricabarile su cui si esercita la politica italiana, fuggendo le proprie responsabilità (...). Troppo comodo e anche un po' troppo vigliacco. Anche la scienza, però, ha bisogno di un bel bagno di umiltà» (Repubblica, 20 aprile).
Alla pandemia da virus, intanto, si è sovrapposta una specie di pandemia da confusione che, spesso, vede contrapposti governo centrale e regionale, in un susseguirsi di ordini e contrordini disorientanti in cui si è inserita anche la malafede degl'immancabili sciacalli, come dimostrano i morti nelle RSA (pare quasi 7000) e, soprattutto, le infamie al Pio Albergo Trivuzio, che gridano vendetta al cospetto di Dio («Ai vivi - diceva Voltaire - si devono riguardi, ai morti si deve soltanto verità»).
La confusione, solo in parte spiegabile per l'eccezionalità della situazione, ha generato provvedimenti normativi che, sebbene volti a garantire il contenimento del contagio, si sono rivelati farraginosi e di dubbia costituzionalità, perché hanno inciso sulle libertà individuali, anche quella di culto (di tutti i culti). Già l'avvio non era stato molto felice. Era, forse, difficile immaginare che la "clausura" forzata avrebbe prodotto importanti ricadute anche sulla tenuta psicologica e nervosa dei cittadini, come, peraltro, dimostra l'ampia casisistica delle fantasiose e, talvolta, stravaganti autocertificazioni redatte per uscire di casa? Eppure nel comitato scientifico di supporto non c'era né uno psichiatra, né uno psicologo, né un costituzionalista e, men che mai, un teologo dai cui avere indicazioni in tal senso, quasi che la crisi investisse solo le attività produttive e sanitarie ma non anche le persone stesse nel loro intimo. Per esorcizzare la paura del "nulla sarà come prima", si è scoperta una nuova solidarietà (che, pure, ha dato molti frutti buoni) ma, come nota l'economista Luigino Bruni, «la retorica della lezione morale del Covid si è frantumata di fronte alla prima proposta di una tassa: siamo il popolo della fraternità, delle bandiere e dei canti a costi zero. Ma la fraternità è cosa seria».
Orbene, se la crisi tocca ogni ambito della vita e dalle sue ceneri dovrà sorgere la società del futuro, i flash mob, lo spirito patriottico e il narcisismo mediatico, anche del clero, non bastano a rendere accettabile una "quaresima" forzata, che è stata anche fin troppo laica perché ha oscurato il diritto alla spiritualità, come dicono le tante sepolture anonime e, recentemente, il caso del magistrato, riportato da Avvenire, che, fermato dalle forze dell'ordine mentre si recava in chiesa di domenica, si è sentito ribadire la liceità di andare dal tabaccaio ma non quella di andare in chiesa.
Scrive un parroco che ha voluto mantenere l'anonimato: «L'andare in chiesa, invece, non rientrando tra le cose da fare per estrema necessità, può essere fatta solo se si è usciti per necessità. Mentre si può provvedere ai bisogni del corpo e ai vizi, quale il fumo, il cristiano per provvedere ai bisogni dell'anima, deve quasi quasi avere il vizio delle sigarette in modo tale che, per raggiungere il tabaccaio, passa davanti a una chiesa e vi entri. Fumo e gratta e vinci sono delle entrate a cui lo Stato non ha voluto rinunciare» (Duc in altum, 20 aprile 2020). Gli fa eco un avvocato: «Da giurista non riesco più a tacere e soprattutto a sopportare il continuo oltrepassare di ogni limite, soprattutto di quelli costituzionali. (...) Ciò che fino a oggi ha ispirato la legislazione emergenziale – per larga parte di tipo amministrativo – è l’interesse alla salvaguardia della vita e della salute pubblica, e si è adottato come criterio quello di non creare assembramenti. La parola d’ordine è “sospensione”, concetto non giuridico, ma pragmatico e plastico, perciò pericoloso, perché rischia di sembrare innocuo, ma in realtà tende a limitare quei diritti costituzionali sanciti dagli artt. 13 e ss. della nostra Costituzione i quali, come è noto, possono essere limitati solo in rare eccezioni. Così la libertà personale, di comunicazione, di circolazione eccetera possono essere limitati sulla base di una norma di legge (emanata dal Parlamento si badi, non da un’autorità amministrativa, quale il Governo o la Regione), e sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. Ma ci sono diritti costituzionali dei cittadini “specialissimi” che nemmeno per tale via è possibile limitare, in quanto fanno parte di quel dato genetico distintivo dell’essere umano che non è solo homo faber, ma anche homo religiosus, cioè soggetto capace di un dialogo con un essere soprannaturale che si è rivelato come Dio. Le Costituzioni ed i Concordati tra Stati e Chiese prevedono appunto una tutela peculiare del “sentimento religioso” poiché facente parte del DNA umano: così l’art. 7 Cost. dichiara lo Stato e la Chiesa cattolica “indipendenti e sovrani” e l’art. 19 Cost. stabilisce che “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Quindi l’unico limite al culto è dato dal “buon costume”, scrivono i padri costituenti preoccupati, nel 1947, di evitare futuri arbitrii dell’esecutivo! (...) Ebbe, domenica a ... le forze dell’ordine sono entrate in una chiesa, hanno interrotto il culto (non la “cerimonia”, come inettamente scrivono i decreti governativi) e sono stati multati parroco – che per fortuna non si è fatto intimorire – e fedeli. Atto illecito e illegittimo di una gravità enorme che viola tutti i principi costituzionali e internazionali sopra enunciati (ma molti altri ve ne sarebbero da enumerare), mentre nessuno si preoccupa delle file e degli assembramenti che troviamo giornalmente ai supermercati o alle poste. Si obietterà che bisognerà pur mangiare, ma se è vero che “non di solo pane vive l’uomo” è anche vero che la malattia del Covid-19 non può divenire una scusa per conculcare diritti costituzionalmente garantiti ai singoli ed alle comunità… e fare cassa! Per chi ci crede veramente – diversamente da quelli per cui il Coronavirus è stata una santa liberazione anche dalle messe domenicali – l’atto religioso, l’esercizio del culto, la partecipazione alla Messa è costitutivo del proprio essere, è l’in sé dell’uomo. È re-ligio, cioè legame con l’essere supremo! (...) Voglio laicamente mettere in guardia tutti, anche i non credenti: i nostri padri hanno ottenuto col sangue determinati diritti costituzionali, non diamoli per scontati» (Antonino Ennio Andronico).
In realtà, il caso citato non è l'unico e spiace constatare il silenzio delle autorità religiose che, in tal modo, hanno permesso che un aspetto così cruciale, quello della libertà di culto (anch'essa, ovviamente, da regolare in situazioni eccezionali) diventasse appannaggio di certa parte c.d. tradizionalista e di certa politica che subito l'ha cavalcata a fini propagandistici. Se, dunque, in precedenza avevo scritto che: «dovunque vi sia stata una chiesa aperta, ben pochi siano stati quelli che vi sono entrati per trovare conforto e consolazione davanti al Tabernacolo o al crocifisso», ora devo rilevare anche una supina accondiscendenza della comunità cattolica, le cui voci si sono levate solo per disapprovare l'operato di quei sacerdoti che, senza creare assembramenti e pericoli, celebravano a porte aperte.
Chiunque, credente, ateo o agnostico, che abbia a cuore le sorti del nostro paese, certamente si augura che la ripresa delle attività sia sorretta dalle stesse capacità operative e dalla solerzia ora dimostrate (allestimento in tempi recordi di osedali Covid, ristrutturazione di interi ospedali...) perché, come afferma il sociologo Giuseppe De Rita, la ripresa necessita del medesimo spirito che animò il dopoguerra ma non può non augurarsi più solide basi di giustizia ed equità per la nostra società, affinché la dimensione spirituale dell'uomo non sia declassata a ridondanza e sovrastruttura. Nella sua radice etimologica, crisi significa "scelta" e, dunque, l'attuale crisi da pandemia può essere davvero occasione provvidenziale e, si spera irripetibile, per cambiare in meglio la nostra società e sconfiggere i tanti bachi che l'affliggono.
Non è più tempo di "donferrantesche" disquisizioni che, discettando di sostanza e accidente, pretendano di stabilire per tutti cosa è importante, cosa lo è meno, cosa non lo è affatto, quasi che "accidente" sia solo ciò che non rientra nell'ambito biologico ed economico. Alla fine della crisi, tanto la politica quanto la Chiesa devono fare il loro esame di coscienza e, nella carità della verità, riconoscere che certe palesi incertezze (per esempio: i sacerdoti in cura d'anime possono recarsi in parrocchia per "improrogabili necessità lavorative" ma ai fedeli non viene riconosciuto il diritto di recarsi da lui che è uscito proprio per quelle necessità dei fedeli) potrebbero favorire una strisciante nemesi storica di rivincita sul passato, fortunatamente lontano (ma la vicenda Galilei è sempre di monito) in cui la teologia pretendeva, con supponenza, che le altre discipline le fossero ancelle. La Chiesa non può essere ridotta ad agenzia che gestisce attività filantropiche per supplire alle carenze dello Stato.
Non è vano ricordare che la pandemia ha fatto le sue vittime non solo tra i coraggiosi operatori sanitari, cui va sempre il ringraziamento di tutta la società, ma anche tra i sacerdoti, talvolta uniche figure di conforto e speranza per i più deboli e indifesi.
Se andrà tutto bene, dipende, dunque, solo da noi. Intanto converrà riprendere la lezione manzoniana del finale dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: «I guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore…».
P.S.: Il 25 aprile è la festa della Liberazione dal nazifascismo ed è giusto che lo si ricordi e celebri. Peccato, però, che non si sia potuto celebrare, con le cautele del caso, anche la Pasqua cristiana, festa della liberazione dalla morte e dal peccato e celebrazione del trionfo della Vita sulla morte