Una lettura per alimentare il desiderio della Pasqua del Signore

Proponiamo il testo della Nota dei vescovi italiani dedicata alla Domenica, nel 1984

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Si avvicina la domenica. L'Emergenza Coronavirus non ci permetterà di partecipare alla Santa Messa. Comeha dettoil vescovo Marino "avvertiamo un profondo smarrimento, perplessità e confusione. Ma faremo questo digiuno quaresimale, più duro di ogni digiuno, per dare il nostro contributo responsabile al bene stesso delle nostre comunità, per cercare di fermare il contagio e salvare i deboli, come il Signore ci ha insegnato. Ci renderà più consapevoli del bene preziosissimo del Memoriale del Signore, della nostra Unità in Lui e dell’Amore che ci anima. Ci sentiremo anche più solidali ai tanti nostri fratelli cristiani che nel mondo soffrono o perché perseguitati o perché privati del ministero sacerdotale, o perché poveri, malati, carcerati. Invocheremo dal Signore anche il perdono per come talvolta tra di noi viene trattato il Dono della sua divina Presenza. Questo tempo di digiuno accresca in noi il desiderio vivo del Signore e della sua e nostra Pasqua!". 

Per alimentare questo amore, proponiamo la lettura della Nota dei Vescovi Italiani citata dal nostro vescovoin un suo ultimo intervento.

Riportiamo solo i primi due capitoli, per il testo completo rimandiamoal sito della Cei



IL GIORNO DEL SIGNORE

Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italiana

(7-11 maggio 1984)

Dedichiamo questa «Nota Pastorale» alla domenica, per sollecitare un preciso urgente rinnovamento pastorale: una catechesi adeguata, una celebrazione degna, una testimonianza chiara del «giorno del Signore» da dare a questa nostra società. Faremo anche un breve riferimento all'anno liturgico, perché il succedersi delle domeniche ne costituisce la fondamentale scansione settimanale. Ma sull'anno liturgico torneremo con orientamenti più organici in un prossimo futuro. Raccomandiamo che questa «Nota», che viene pubblicata per delibera della XXIII Assemblea Generale della C.E.I. (7-11 maggio 1984), sia letta nel contesto del nostro documentoEucaristia, comunione e comunità,di cui vuole essere sostegno ed esplicitazione, e sia punto di riferimento per il comune impegno assieme a tanti altri preziosi documenti con cui in questi anni molti Vescovi hanno arricchito la vita delle loro comunità.



I. GIORNO GRANDE E SACRO

1. Nell'attuale sforzo di rinnovamento liturgico e pastorale voluto dal Concilio Vaticano II e promosso con impegno durante tutti questi anni dalla Conferenza Episcopale Italiana, particolare attenzione ha meritato la domenica, considerata nell'economia del mistero liturgico e di tutta l'attività pastorale della Chiesa. «Giorno del Signore» e «signore dei giorni» (come lo definisce un sermone del secolo V), la domenica è il giorno in cui la Chiesa, per una tradizione che «trae origine dallo stesso giorno della resurrezione», celebra attraverso i secoli il mistero pasquale di Cristo, sorgente e causa di salvezza per l'uomo. «Festa primordiale»3 della comunità cristiana, pasqua settimanale, sintesi mirabile e viva di tutto il mistero della salvezza, dalla prima venuta del Cristo all'attesa del suo ritorno, la domenica ha costituito, con il suo ritmo settimanale, il nucleo primitivo della celebrazione del mistero di Cristo nella successione dei diversi tempi e dell'intero anno liturgico.


Il giorno che il Signore ha fatto

2. Se la domenica è detta giustamente «giorno del Signore» (dies Domini), ciò non è innanzitutto perché essa è il giorno che l'uomo dedica al culto del suo Signore, ma perché essa è il dono prezioso che Dio fa al suo popolo: «Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo» (Sal 117,24). «Tutto ciò che Dio ha creato di più grande e di più sacro - ricordava Leone Magno - è stato da lui compiuto nella dignità di questo giorno»:4 l'inizio della creazione, la risurrezione del Figlio suo, l'effusione dello Spirito Santo, ebbero ugualmente luogo in questo giorno. Per questo, nessun altro giorno è altrettanto sacro quanto la domenica.


Un segno di fedeltà

3. La celebrazione della domenica è per la Chiesa un segno di fedeltà al suo Signore. Sempre, attraverso i secoli, il popolo cristiano ha circondato di speciale riverenza e ha vissuto in intima profonda letizia questo sacro giorno. La Chiesa, infatti, lo ha ricevuto, non lo ha creato: esso è per lei un dono: può goderne, ma non può né manipolarlo né cambiarne il ritmo, o il senso, o la struttura; esso infatti appartiene a Cristo e al suo mistero. Alla Chiesa non resta che impegnarsi in uno sforzo di intelligenza e d'amore, che la conduca a penetrarne sempre più profondamente il senso, la fecondità e il valore, per rendere a sua volta il giorno del Signore sempre più trasparente e persuasivo per l'uomo a cui lo deve annunciare.


L'impronta dello Spirito

4. Sorretta e animata dallo Spirito, la Chiesa, attraverso i secoli, ha conferito alla domenica una fisionomia assai viva e ben caratterizzata: giorno dell'Eucaristia e della preghiera, giorno della comunità e della famiglia, giorno del riposo e della festa, giorno della libertà dalle cure e dalle fatiche quotidiane (specie per i più poveri, i servi, gli schiavi) nell'anticipazione della libertà ultima e definitiva dalla servitù e dal bisogno. In questo modo la domenica cristiana ha ricuperato e fatto propri anche alcuni dei caratteri del sabato ebraico. Inoltre, essa è divenuta il giorno in cui dedicarsi più largamente alle opere di carità e all'insegnamento religioso.

5. Ma in questo nostro tempo, specialmente nelle società fortemente industrializzate e ad elevato benessere, nuove condizioni e nuove abitudini di vita stanno esponendo la domenica a un processo di profonda trasformazione. Questo fenomeno di natura prevalentemente socio-culturale merita la massima considerazione da parte nostra. Esso infatti comporta acquisizioni e vantaggi largamente positivi per l'uomo, e tutto ciò che concorre a una vera crescita umana merita la sincera stima della Chiesa. Tuttavia ciò può comportare anche pericoli non indifferenti, sia per l'uomo, sia per il cristiano, e un certo sfaldamento della comunità familiare e di quella religiosa ne è un chiaro esempio. In questa situazione è possibile che il giorno della festa perda il suo significato cristiano originario per risolversi in un giorno di puro riposo o di evasione, nel quale l'uomo, vestito a festa, ma incapace di fare festa finisce con il chiudersi in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere il cielo.


Un sostegno alla riflessione

6. Consapevoli di questo pericolo e pastoralmente solleciti della fede e della vita cristiana del popolo a noi affidato dal «pastore supremo» (cf. 1 Pt 5,4), abbiamo già richiamato brevemente tutto questo in un capitolo del nostro recente documento Eucaristia, comunione e comunità.5 Ora, però, sentiamo l'urgenza di ritornare più diffusamente e più analiticamente sui problemi che l'evoluzione oggi in atto nella nostra società e nelle nostre comunità cristiane comporta. Ci sorregge e ci guida la speranza di poter offrire con queste pagine un sostegno alla riflessione dei pastori e dei fedeli, e un chiaro orientamento pastorale per la vita liturgica e per la spiritualità della Chiesa in Italia.



LA DOMENICA DEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

7. «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!». Con questa bella testimonianza sulle labbra, i 49 martiri di Abitène con a capo il prete Saturnino affrontarono gioiosamente la morte piuttosto che rinunciare a celebrare il giorno del Signore: il «giorno nuovo», il primo della nuova creazione inaugurata dalla risurrezione di Cristo, nella quale il tempo mondano (chrònos) si fa tempo della grazia (kairòs). Quel giorno era la domenica.


Il «giorno del Signore»

8. Già da molto tempo i cristiani avevano abbandonato il sabato come giorno da dedicare a Dio nel riposo e nel culto, e lo avevano sostituito con il primo giorno dopo il sabato (l'una sabbatorum), il primo della settimana; perché vero giorno del Signore ormai non sarà più quello in cui Dio si riposa dalle sue opere, ma quello in cui egli agisce per la vita e per la salvezza dell'uomo. «Osserva il giorno di sabato per santificarlo», suona il comandamento dell'Antica Alleanza (Dt 5,12). La Chiesa, comunità dei credenti in Cristo, depositaria della Nuova Alleanza nel suo sangue (cf Lc 22,20; 1 Cor 11,25), prese invece a celebrare il ricordo nello stesso giorno in cui il Signore è risorto ed è apparso ai discepoli e ha spezzato il pane per due di loro, a Emmaus (cf Lc 24,30). Egli stesso, infatti, aveva come suggerito e consacrato il ritmo settimanale del giorno da dedicare al suo ricordo, apparendo di nuovo, otto giorni dopo, agli Undici riuniti nello stesso luogo (cf. Gv 20,26). Da allora il cristiano non potrebbe più vivere senza celebrare quel giorno e quel mistero. Prima di essere una questione di precetto, è una questione di identità. Il cristiano ha bisogno della domenica. Dal precetto si può anche evadere, dal bisogno no.


Il «giorno della Chiesa»

9. Chiesa vuol dire assemblea; la Chiesa vive e si realizza innanzitutto quando si raccoglie in assemblea convocata dal Risorto («là mi vedranno», cf Mt 28,10) e riunita nel suo Spirito. Il «dies dominicus» è anche il «dies Ecclesiae», il giorno della Chiesa. Una comunità riunita nella fede e nella carità è il primo sacramento della presenza del Signore in mezzo ai suoi: nel segno umile, ma vero, del convenire in unum (cf 1 Cor 11,20), nel ritrovarsi dei molti nell'unità di «un cuore solo e un'anima sola» (cf At 4,32), si manifesta l'unità di quel corpo misterioso di Cristo che è la Chiesa. L'assemblea cristiana, sacramento della presenza di Cristo nel mondo, deve saper esprimere in se stessa la verità del suo «segno»: nell'amabilità dell'accoglienza che sa fare unità fra tutti i presenti; nell'intensità della preghiera che sa aprire alla comunione con tutti i fratelli nella fede, anche lontani; nella generosità della carità che sa farsi carico delle necessità di tutti i poveri e dei bisognosi, il cui grido la raggiunge da ogni parte della terra; nella varietà dei ministeri, infine, che sa esprimere tutta la ricchezza dei doni che lo Spirito effonde nella sua Chiesa e i diversi compiti che la comunità affida ai suoi membri.


Una sola mensa per tutti

10. Nella sua forma più piena e più perfetta, l'assemblea si realizza quando è radunata attorno al suo Vescovo, o a coloro che, a lui associati con l'Ordine sacro nello stesso sacerdozio ministeriale, legittimamente lo rappresentano nelle singole porzioni del suo gregge, le parrocchie. Questa pienezza è tale da accogliere e assumere in sé ogni dono e ogni ministero particolare. Il gruppo, o il movimento, da soli, non sono l'assemblea; essi stessi sono parte dell'assemblea domenicale, così come sono parte della Chiesa. Per tutti vale la raccomandazione della Chiesa antica a «non diminuire la Chiesa e a non ridurre di un membro il Corpo di Cristo con la propria assenza». E il Corpo del Signore non è impoverito solo da chi non va affatto all'assemblea, ma anche da coloro che, rifuggendo dalla mensa comune, aspirano a sedersi a una mensa privilegiata e più ricca: non sembrano infatti somigliare a quei cristiani di Corinto che rifiutavano di mettere in comune il loro ricco pasto con i più poveri (cf 1 Cor 11,21)? Se l'Eucaristia è condivisione (espressa nel gesto dello spezzare il pane) sull'esempio di Colui che non ha risparmiato nulla di sé, allora chi ha più ricevuto, più sia disposto a donare, anche quando donare potrà sembrare perdere.


Il «giorno dell'Eucaristia»

11. Fin dalla prima origine, la Chiesa solennizzò il giorno del Signore con la celebrazione della «frazione del Pane» (cf At 20,7),8 con la proclamazione della Parola di Dio (cf At 20,21)9 e con opere di carità e di assistenza ( cf I Cor 16,2).10 L'esempio l'aveva dato il Maestro. Nello stesso giorno della sua risurrezione, egli aveva spezzato il pane per i discepoli di Emmaus, dopo che con la sua presenza e la sua parola li aveva confortati lungo il cammino, spiegando loro tutto ciò che nella Scritture si riferiva a lui (cf Lc 24,27). Da allora la Chiesa ha sempre santificato il giorno del Signore con la celebrazione del memoriale del suo sacrificio nel quale la proclamazione della Parola, la frazione del pane e la diaconia della carità sono intimamente unite.  In questo modo essa perpetua la presenza del Risorto nel suo triplice dono: la Parola, il Sacramento, il Servizio. Nella Chiesa primitiva questi tre aspetti erano sempre strettamente congiunti. Non è stato un guadagno per la prassi successiva l'aver ridotto tutto al solo momento rituale, al Sacramento.

12. Tutto ciò appare sempre più chiaro alla coscienza cristiana; se la domenica è il giorno dell'Eucaristia, ciò non è solo perché è il giorno in cui si partecipa alla Messa, quanto piuttosto perché in quel giorno, più che in qualunque altro, il cristiano cerca di fare della sua vita un dono, un sacrificio spirituale gradito a Dio, a imitazione di colui che nel suo sacrificio ha fatto della propria vita un dono al Padre e ai fratelli. Parola che annuncia e ripropone questo dono di sé, sacramento che lo comunica significandolo nella frazione del Pane come gesto della condivisione, disponibilità al servizio che nasce direttamente dalla stessa carità di Cristo: questa è la vita eucaristicamente vissuta. A tutto questo dovrà mirare la pastorale e la celebrazione dell'Eucaristia domenicale. Accontentarsi di garantire a tutti, in qualunque modo e a qualunque prezzo, la semplice soddisfazione del precetto festivo sarebbe ben povera cosa. Il precetto sarà accolto con sicurezza, se innanzitutto sarà compreso il significato reale e complessivo dell'Eucaristia domenicale.


Il «giorno della missione»

13. L'Eucaristia non è solo un rito, ma anche una scuola di vita. Essa non può esaurirsi entro le mura del tempio, ma tende necessariamente a varcarle per diventare impegno di testimonianza e servizio di carità. Quando l'assemblea si scioglie e si è rinviati alla vita, è tutta la vita che deve diventare dono di sé. È anche questo un significato del comandamento del Signore: «Fate questo in memoria di me». Ogni cristiano che abbia compreso il senso di ciò cui ha partecipato, si sentirà debitore verso ogni fratello di ciò che ha ricevuto. «Andate ad annunziare ai miei fratelli» (Mt 28,10): la chiamata diventa missione, il dono diventa responsabilità, e chiede di essere condiviso. I due discepoli di Emmaus, lasciato il villaggio, tornarono a Gerusalemme per annunciare lietamente ai fratelli che avevano visto il Signore (cf Lc 24,33-35). Attraverso la gioia di coloro che hanno risposto alla chiamata, è il Risorto che vuole raggiungere ogni altro fratello, ogni uomo: coloro che non hanno potuto rispondere, che non hanno voluto rispondere, che non hanno neppure sentito la chiamata. Nel rispetto dovuto alla libertà di ciascuno, il cristiano non può rimanere indifferente di fronte alla lontananza o alla latitanza di tanti suoi fratelli. Ognuno ne è responsabile per la sua parte.


Il «giorno della carità»

14. La propria testimonianza di fede nel Signore risorto e la propria missione si esprimono in modo privilegiato con il servizio nella carità. Se il frutto dell'Eucaristia è la conformazione al Cristo, l'attenzione ai più infelici, ai poveri, ai malati, a chi è nella solitudine, sarà certo uno dei segni più trasparenti della sua efficacia. Una visita, un dono, una telefonata, ma anche un impegno più serio e perseverante là dove c'è bisogno, possono portare luce in una giornata altrimenti triste e grigia. Particolare valore va riconosciuto, in questa prospettiva, al servizio dei ministri straordinari della Comunione, attraverso i quali l'Eucaristia domenicale giunge a coloro che, impediti per l'età, per la malattia o altro, rimarrebbero altrimenti privi del suo conforto e del vincolo che li unisce alla comunità. Ugualmente preziose le offerte per le necessità della comunità, del culto e dei poveri. L'assoluta trasparenza della loro destinazione e utilizzazione favorirà certamente questa forma di condivisione che già san Paolo raccomandava (cf 2 Cor 8,14) e Giustino testimoniava nel II secolo.11


Il «giorno della festa»

15. Ogni festa nasce dalla concorrenza di due fattori: un evento importante da vivere e il bisogno di ritrovarsi per celebrarlo gioiosamente insieme. Tale è anche la domenica del cristiano. Essa infatti trae origine dalla Risurrezione, evento tanto decisivo da meritare d'essere commemorato e celebrato ogni settimana. Per sua natura, e per espressa volontà di Cristo, tale evento non può che essere vissuto comunitariamente. Astenersi dal lavoro e dalla fatica, deporre la tristezza delle cure quotidiane, oltre che costituire la condizione indispensabile per partecipare alla festa comune, diventa affermazione del trionfo della vita, del primato della gioia: «Il giorno di domenica siate sempre lieti, perché colui che si rattrista in giorno di domenica fa peccato».

16. In questa prospettiva il riposo domenicale e festivo acquista una dimensione non solo reale, ma anche ed essenzialmente simbolica e profetica. Il riposo cristiano afferma la superiorità dell'uomo sull'ambiente che lo circonda: egli riconosce come suo il mondo in cui è chiamato a vivere, ma progetta e anticipa il mondo nuovo e una liberazione definitiva e totale dalla servitù dei bisogni. La nostalgia dell'Eden e l'impazienza per «la libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21) sono ugualmente significati in quel riposo.

17. Questo giorno, così pieno di divino e di umano, illuminerà poi di sé tutti gli altri giorni. Ritroveranno la giusta dimensione le cure quotidiane che altrimenti ci travolgono sotto il loro peso. Le cose per le quali ci affanniamo e che a volte finiscono col dominarci, ritroveranno la giusta misura. Le persone che ci vivono accanto avranno il loro vero volto, dopo che le avremo incontrate «alla festa», e avremo imparato a guardarle come fratelli e sorelle e «compagni»: termine eucaristico come pochi anche quest'ultimo (cum e panis), perché l'Eucaristia è precisamente condivisione dello stesso pane. L'occhio rinnovato del cristiano vedrà tutto sotto una nuova luce, la luce del Risorto: la contemplazione libera dalla schiavitù delle cose, l'amore si sostituisce al calcolo, il dono all'interesse.


La «festa» in un mondo secolarizzato

18. Il carattere festivo della domenica è certo quello più immediatamente percepito e più universalmente condiviso dalla cultura contemporanea. Ma la domenica dell'uomo secolarizzato non è la stessa del cristiano. L'uomo secolarizzato vive la sua domenica soprattutto come giorno di riposo dal lavoro e la sua festa spesso si riduce al semplice sentirsi liberato dal peso e dai fastidi della fatica quotidiana; un giorno di vacanza che è quasi solo evasione. La cultura contemporanea secolarizzata, infatti, ha svuotato la domenica del suo significato religioso originario e tende a sostituirlo sia con la fuga nel privato sia con nuovi riti di massa: lo sport, la sagra, la discoteca, il turismo... Linguisticamente si è passati dal «giorno del Signore» al «week-end», dal «primo giorno della settimana» al «fine settimana».

19. Fattori importanti e oggettivi hanno contribuito a tale evoluzione: il passaggio da una cultura prevalentemente rurale a una di tipo urbano e industriale con forte concentrazione della popolazione nelle aree urbane; i ritmi di lavoro sempre più incalzanti (specialmente nel settore dei servizi); l'organizzazione sempre più serrata del tempo libero, sempre più ampio; la maggiore mobilità delle persone (migrazione interna, facilità di viaggiare, seconda macchina, seconda casa, ...); le nuove possibilità di praticare sport diversi; la promozione delle attività culturali, politiche, sportive, che con l'attuale calendario scolastico e aziendale finiscono per concentrarsi quasi necessariamente nella domenica. Nessuna di queste nuove realtà è di per se stessa cattiva o illegittima, ma non si può negare che da tutto questo può derivare il pericolo della perdita della dimensione religiosa della vita e del tempo. Il giorno del Signore potrebbe ridursi così a semplice giorno dell'uomo. Si apre al proposito uno dei più importanti impegni di un rinnovamento pastorale che deve saper cogliere gli aspetti positivi del nuovo modo di vivere la domenica, per valorizzarli e per consentire che i cristiani possano sempre celebrare degnamente il giorno del Signore ed esserne chiari testimoni.


L'«ottavo giorno» (dies octavus)

20. Per la nostra cultura la domenica è anche il settimo giorno. Ma nel suo preciso significato cristiano la domenica è innanzitutto il primo della settimana, l'una sabbatorum; il giorno in cui Dio riprende la sua opera creatrice. È anche il giorno del riposo, pregustazione e pegno del riposo vero, ultimo, eterno; il giorno che non avrà mai fine, oltre il quale non ci sarà altro giorno: l'ottavo, l'ultimo, il definitivo. Il giorno in cui il lavoro cede definitivamente il posto alla contemplazione, il pianto alla gioia, la lotta alla pace. Non alibi alla pigrizia, ma progetto e speranza per dare senso e coraggio all'impegno di anticipare già all'oggi ciò che viene contemplato e sperato come futuro. Certo, il cristiano non è un ingenuo. Non si illude di poter rendere la terra un paradiso. Il cristiano non sogna, agisce. E mentre contempla un ideale che sa irrealizzabile nel presente, si adopera nondimeno perché la realtà somigli sempre più a quell'ideale. Ma lascia a un altro giorno la sorte d'introdurlo in quel mondo, in quella vita per tanto tempo contemplata, preparata, attesa.


La domenica nell'anno liturgico

21. La domenica non è solo un giorno della settimana, è anche un giorno nel più grande ritmo annuale. Piccola «Pasqua settimanale», nucleo primitivo e originario di ogni successivo sviluppo della pratica cultuale e liturgica, la domenica vive e respira del mistero di Cristo che culmina nella grande domenica della Pasqua annuale. Nello svolgersi tranquillo del ritmo settimanale che, di domenica in domenica, con una pedagogia proporzionata alla natura dell'uomo, fa rivisitare e rivivere il mistero di Cristo nei diversi aspetti perché diventi integrale nutrimento per il cristiano, il Triduo pasquale emerge come momento culminante di tutto l'anno liturgico. Intorno ad esso, come unico mistero, sono i «cinquanta giorni» della Pasqua fino a Pentecoste, «come un sol giorno»,e i «quaranta giorni» della Quaresima, a preparazione. In relazione a questo nucleo iniziale e primordiale del culto cristiano si colloca il Natale con il suo ciclo, strutturato a imitazione di quello pasquale: un tempo di Natale e un tempo di preparazione, l'Avvento. Intorno a questi tempi ruota e si impernia tutta la struttura dell'anno liturgico e progredisce e cresce nel suo cammino di fede la vita del popolo cristiano. E durante tutto l'anno, secondo criteri non sempre omogenei (e che dunque esigono finezza di interpretazione), si sviluppano i diversi momenti della vita e del mistero di Cristo, dall'Annunciazione alla Presentazione al tempio, alla solennità del Corpo e Sangue del Signore.

22. Nella celebrazione dell'anno liturgico la Chiesa venera con particolare amore la Vergine Maria e fa memoria dei martiri e degli altri santi. Con il Figlio la Madre; con il Maestro i discepoli. La loro presenza non è certo di concorrenza, piuttosto di integrazione: essa svela il senso e il mistero di Dio. In Maria, congiunta indissolubilmente con l'opera della salvezza, la Chiesa ammira ed esalta il frutto più eccelso della redenzione e in lei contempla con gioia ciò che essa desidera e spera di essere. Nei santi, che imitando fedelmente il Maestro hanno meritato una più piena partecipazione alla sua gloria, si proclama il mistero pasquale realizzato nella loro vita.16 È in comunione con la Madre di Dio e con tutti i santi che la Chiesa in ogni celebrazione eucaristica implora i benefici di Dio.

23. Così, crescendo di anno in anno in Cristo, la Chiesa compie il suo esodo e, pellegrina nel tempo, si affretta verso il compimento di quella promessa che è l'anima e il senso di tutta la sua vita. La Chiesa che celebra il mistero pasquale di tutta la sua vita. La Chiesa che celebra il mistero pasquale di Cristo ogni domenica e, più solennemente, nella Pasqua annuale, nel corso dell'anno commemora tutta l'opera salvifica del suo Signore. In questo modo, «essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così da renderli in qualche modo presenti a tutti i tempi, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza».In questa azione salvifica si inserisce l'esistenza e il cammino della Chiesa. L'anno liturgico costituisce allora l'itinerario ideale per ogni comunità che voglia crescere nella fede, e offre un punto di sostegno e di comunione ai diversi itinerari di catechesi e di celebrazione sacramentale. Questo rispetto dei ritmi dell'anno liturgico esige fedeltà anche al calendario. Una eccessiva compiacenza per elementi estranei al tempo liturgico, specialmente nei tempi forti, oltre a comprometterne l'unità e la coerenza, finisce col diminuirne anche l'efficacia. 



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