Presbiteri: non battitori liberi ma pellegrini di Speranza ancorati alla vita diocesana

L'omelia del vescovo di Nola, Francesco Marino, durante la Messa Crismale di questa mattina, presso la Cattedrale di Nola

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Questa mattina, presso la Cattedrale di Nola, il vescovo Francesco Marino ha presieduto la Santa Messa Crismale. Pubblichiamo il testo dell'intensa omelia del Pastore della Chiesa di Nola. 

Le tentazioni vissute da Gesù nel deserto sono il filo rosso che collega i vari passaggi dell'omelia. La prima tentazione, "trasformare le pietre in oane" è messa in relazione da monsignor Marino con l'uso dell'autorità ministerale: «non dimentichiamo mai, come ci ha garantito la profezia di Isaia, che la nostra ricompensa è il salario e non la parcella: siamo operai della vigna e non professionisti di categoria; servi inutili o, meglio, “gratuiti” e non imprenditori. Un prezioso criterio di discernimento per dire che il nostro ministero non ci chiede di usare superpoteri o possibilità, anche economiche, che altri non hanno», ha detto il vescovo. 

La seconda tentazione è invece definita da monsignor Marino «illusione del “massimo rendimento con minimo sforzo”. È quello che gli aveva proposto Satana quando, mostrandogli in un attimo tutti i regni della terra, gli promette tutto a patto che si inchini a lui. Non si scende a patti con il diavolo! Nessuno ci inganni: le conquiste nel ministero sono possibili attraverso il duro lavoro quotidiano, fatto di sacrifici e impegni, di studio e preghiera, di passione e abnegazione», ha sottolineato.

Per la terza tentazione, monsignor Marino richiama il rischio «di tentare Dio, volendo verificare se realmente sta dalla nostra parte. È questa una questione di maturità nella fede. Il Signore ci ha chiamati amici, gli apparteniamo, siamo oggetto e destinatari della sua promessa d’amore. Razionalmente ne siamo convinti, ma potremmo chiederci: nello scorrere degli anni di vita e di ministero quanto stiamo curando l’amicizia con il Signore Gesù?», domanda il vescovo. 

Al resto del popolo di Dio presente, il vescovo Marino ha voluto poi affidare i presbiteri: «Diciamo a loro: “Grazie!”. Amiamo i nostri sacerdoti, accompagniamoli con la preghiera e incoraggiamoli con il sostegno; ungiamo di tenerezza le loro stanchezze e profumiamo di comprensione le loro umane solitudini. L’olio del crisma che tra poco emanerà la sua fragranza in questa Cattedrale ci impregni, come nella casa dell’amicizia di Betania, del buon profumo di Cristo». 

L'omelia del vescovo Marino per la Messa Crismale

Carissimi tutti fratelli presbiteri,
                                                           sapete che, come ministri ordinati, troviamo nella Messa crismale il grembo dove siamo generati e la culla dove siamo allevati; è questa la nostra patria. Pur se diverse sono le date delle nostre ordinazioni, siamo tutti nati, in un certo modo, idealmente nella Messa Crismale ed è qui che sentiamo di ritornare come di solito per ravvivare in noi davanti al Vescovo e a tutte le nostre comunità le parole di Isaia che Gesù compie nella sua persona: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione» (Is 61, 1).

Non a caso, questa consapevolezza messianica, Gesù la esprime proprio nella sinagoga di Nazareth: nei luoghi di quella personale vicenda umana, imprescindibile per vivere l’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini del mondo. Possiamo capire bene la scelta del nostro Maestro se – leggendo per intero il quarto capitolo del Vangelo di Luca – scopriamo da dove veniva Gesù prima di ritornare in Galilea nel villaggio dove era cresciuto. Lo ricordiamo bene: dopo il Battesimo al Giordano era stato quaranta giorni nel deserto, tentato dal diavolo. Come non vedere in quelle che egli percepisce come tentazioni rispetto ad un modo autentico di vivere la logica dell’Incarnazione, anche le nostre difficoltà, che ci mettono alla prova nel nostro ministero sacerdotale. 

La prima tentazione era stata quella di trasformare le pietre in pane, ossia usare il potere di fare miracoli per un proprio bisogno personale. A questa mentalità mondana largamente diffusa, Gesù resiste proprio alla luce di quel mandato a portare il lieto annuncio ai poveri. Mi verrebbe da chiedere a me e a voi: come usiamo la nostra autorità ministeriale? Ha la forma e lo stile del servizio? Non dimentichiamo mai, come ci ha garantito la profezia di Isaia, che la nostra ricompensa è il salario e non la parcella: siamo operai della vigna e non professionisti di categoria; servi inutili o, meglio, “gratuiti” e non imprenditori. Un prezioso criterio di discernimento per dire che il nostro ministero non ci chiede di usare superpoteri o possibilità, anche economiche, che altri non hanno. Piuttosto, di vivere una reale e profonda condivisione con tutti, con i più poveri anzitutto. Ricordiamo sempre che non si vive di solo pane: vagliamo prudentemente i nostri bisogni materiali e i nostri desideri, anche legittimi, alla luce della testimonianza di sobrietà e di condivisione che siamo chiamati ad offrire. È questo anche il cuore del magistero luminoso di Papa Francesco, che ci ha aiutato a riscoprire l’urgenza dell’attenzione agli ultimi e al quale in questo momento in cui è provato dalla fragilità fisica va il nostro affettuoso abbraccio di gratitudine e di preghiera.

La seconda tentazione che Gesù aveva vinto, la chiamerei così: l’illusione del “massimo rendimento con minimo sforzo”. È quello che gli aveva proposto Satana quando, mostrandogli in un attimo tutti i regni della terra, gli promette tutto a patto che si inchini a lui. Non si scende a patti con il diavolo! Nessuno ci inganni: le conquiste nel ministero sono possibili attraverso il duro lavoro quotidiano, fatto di sacrifici e impegni, di studio e preghiera, di passione e abnegazione. La pastorale chiede tempi lunghi di apprendimento e di sedimentazione. Fasciare le piaghe dei cuori spezzati, favorire processi di liberazione e promozione umana non è cosa da subito. Non poche volte si tratta anche di saper attraversare le incomprensioni e le discussioni, abitandole con stile e maturità, chiedendo allo Spirito Santo la virtù di fortezza. Lo vediamo nell’atteggiamento di Gesù nelle dispute con i Giudei del suo tempo. Significa, pazientare e accettare che le cose importanti abbiano il loro tempo di maturazione. Bisogna oltretutto resistere a quella tentazione di manipolare persone e situazioni per raggiungere in tempi brevi quei presunti cambiamenti che immaginiamo nella nostra mente e che spesso servono più a noi per non avere troppi fastidi, che alla reale crescita delle comunità che ci sono affidate. Il nostro obbiettivo è la santificazione e non il consenso sui social. È a questo livello che si comprende l’urgenza dello zelo pastorale che, attualizzato, significa spendersi senza lesinare mai. Fa sempre impressione ascoltare che i discepoli erano così impegnati nell’attività missionaria da non avere tempo neanche per mangiare (cfr. Mc 6, 31). Per loro e anche per noi è il Signore stesso a diventare riposo e ripresa, nella misura in cui accettiamo sempre di seguirlo in disparte, attraverso una curata e significativa intimità spirituale. Non inchiniamoci al falso idolo di una tempistica mondana che pretende di ottenere tutto senza sacrifico e ascesi. 

Ma anche in questo c’è un pericolo da evitare e che ritroviamo nella terza tentazione. È il rischio di tentare Dio, volendo verificare se realmente sta dalla nostra parte. È questa una questione di maturità nella fede. Il Signore ci ha chiamati amici, gli apparteniamo, siamo oggetto e destinatari della sua promessa d’amore. Razionalmente ne siamo convinti, ma potremmo chiederci: nello scorrere degli anni di vita e di ministero quanto stiamo curando l’amicizia con il Signore Gesù? Gli apparteniamo, egli ci ha promesso che non inciamperà mai il nostro piede nella pietra, ma siamo attenti a curare questo rapporto evitando di essere noi per altri quelle pietre di inciampo, che si può dire anche di “scandalo”? Dall’amicizia con il Signore attingiamo la qualità delle nostre amicizie. Per un prete, come per chiunque, è fondamentale curare le relazioni interpersonali. L’amicizia è preziosa con i laici e anche tra gli stessi sacerdoti. Sappiamo bene che ci sono rapporti più personali, più intensi a altri più occasionali, meno stretti; ma non per questo meno veri. Non sarà questo il problema, nella misura in cui ci ricordiamo sempre che l’amicizia può essere esclusiva – come è umano che avvenga – ma mai deve essere escludente. Bisogna evitare la tentazione di chiudersi in ristretti circoletti d’interesse o di opinione: non dimentichiamo che gli ingranaggi della nostra fraternità non sono lubrificati dalla semplice affinità caratteriale, ma dall’olio del crisma che, in maniera più profonda della semplice dimensione psichica, crea e realizza una comunione tra noi a livello sacramentale.  

Carissimi confratelli, Gesù non solo vince le tentazioni con la Parola di Dio, ma ritornando fisicamente a Nazareth, ci insegna anche ad affrontarle rincasando nei luoghi della familiarità, e dunque nelle nostre Nazareth. Recuperiamo questa dinamica esistenziale e sacramentale. Il ministero sacerdotale con le sue bellezze e le sue inevitabili tentazioni ci chiede di camminare insieme, di sentire come nostra casa il seminario, la cattedrale, l’episcopio. Questi luoghi sono il principio e fondamento della sequela che successivamente ci ha condotti per itinerari diversi. Non siamo mai dei battitori liberi, ma dei pellegrini di Speranza e nella vita diocesana abbiamo la nostra àncora. Per questo stamattina il vescovo, che gioisce nel vedervi ritornare qui, vuole dirvi grazie per il vostro ministero faticoso e affascinante. Grazie perché le vostre mani, consacrate dall’unzione dello Spirito, fasciano generosamente le ferite dei cuori spezzati e accarezzano con parole di speranza i poveri. Grazie perché nei sacramenti che celebrate liberate tanti schiavi del peccato. Grazie perché restituite la vista a tanti accecati dalle difficolta e vi fate carico di ascoltare quanti sono oppressi dai pesi del quotidiano.

Oggi vi rinnovo il mio paterno affetto: sentitemi sempre vicino! La mia porta è sempre aperta per tutti. Qualora la mia discrezione, vi dovesse sembrare distanza, aiutatimi a coinvolgermi nella vostra vita, perché è questo il mio profondo desiderio, confrontiamoci sempre con parresia. Ci è affidata una missione difficile, soprattutto nella complessità di questo tempo di cambiamenti, ma insieme possiamo ungere di speranza il mondo intero.

Carissimi fratelli e sorelle nell’unica fede battesimale, mi perdonerete se ho voluto richiamare queste tentazioni in questo contesto comunitario, tuttavia sono certo che non riguardano solo i presbiteri, voi ci potete capire bene. Ciascuno nel suo cammino vocazionale si trova a fare i conti con queste umane fragilità dalle quali solo la grazia di Dio e la familiarità con la Sacra Scrittura ci possono salvare. Vi affido questi presbiteri. Diciamo a loro: “Grazie!”. Amiamo i nostri sacerdoti, accompagniamoli con la preghiera e incoraggiamoli con il sostegno; ungiamo di tenerezza le loro stanchezze e profumiamo di comprensione le loro umane solitudini. L’olio del crisma che tra poco emanerà la sua fragranza in questa Cattedrale ci impregni, come nella casa dell’amicizia di Betania, del buon profumo di Cristo. 
Affidiamoci alla Vergine Maria, Madre della Speranza, lei che nel cenacolo tra l’ascensione e la pentecoste abbraccia i discepoli timorosi e li prepara con amore materno alla missione, sostenga tutti noi nella nostra sequela di Cristo e nel nostro ministero sacerdotale. 

X  Francesco 

Omelia del vescovo Marino per la Messa Crismale 2025

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