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Si è concluso questa mattina il corso di aggiornamento in due giornate del presbiterio nolano.
Il vescovo Marino ha introdotto il confronto nei gruppi di oggi con una riflessione sul documento della Conferenza Episcopale Campana Per una lettura sapienziale del tempo presente.
Di seguito il testo completo de documento Cec:
- Introduzione
Nel messaggio ai sacerdoti del 13 maggio noi vescovi ci impegnavamo ad offrire una lettura sapienziale di quanto sta accadendo: «Su questa lettura sapienziale e sulla ricaduta pastorale di quanto sta avvenendo noi vescovi ci impegniamo a riflettere per accompagnare le nostre comunità e aiutarle a leggere i segni dei tempi con gli occhi della fede». È quello che facciamo oggi, ed è un momento significativo della nostra Conferenza: non siamo riuniti per affrontare aspetti particolari, ma stiamo dedicando un intero incontro esclusivamente al discernimento, guidati dalle parole di Papa Francesco e tenendo lo sguardo fisso alle nostre comunità.
- Leggere questo tempo con gli occhi della fede
«Il popolo di Dio, mosso dalle fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio» (GS n. 11). Come interpretare la crisi attuale, quali lezioni ricavarne, e come riconoscere il “nuovo” di Dio? Quali cose lasciar cadere e quali mantenere? «Come cambieranno le cose? Come saremo? Cosa ci chiede il Signore in questo tempo? ... Senza dubbio, ci sarà una profonda cesura rispetto al passato. Per questo, sono necessari strumenti di riflessione per capire alla luce della fede quanto stiamo vivendo … Quello presente è un Kairós, che porta con sé delle opportunità» (Comunicato del Consiglio Permanente della CEI, 16 aprile).
Dobbiamo riconoscerlo: noi non siamo abituati a questo esercizio della fede, a leggere cioè i “segni dei tempi”, a cogliere, attraverso gli avvenimenti, i richiami, gli appelli. È un esercizio a cui non siamo abituati, come purtroppo dimostra il fatto che, anche in questa emergenza, siamo forse più preoccupati della ripresa della celebrazione dei sacramenti piuttosto che di “discernere l’oggi di Dio”.
Eppure una Chiesa dovrebbe essere capace di leggere in maniera sapienziale la storia. La storia è un luogo teologico, è il luogo di rivelazione, è il luogo attraverso il quale Dio interpella la nostra vita e la nostra missione. Il Signore chiama attraverso la storia, attraverso il vissuto del mondo e dell’umanità; oggi siamo tutti tentati, noi operatori pastorali, di portare avanti una pastorale di iniziative e di attività. La pastorale, prima di essere attività, è discernimento, ascolto dello Spirito e ascolto delle domande delle persone. Una corretta pastorale presuppone una corretta teologia.
- La barca nella tempesta
Vogliamo leggere quanto è accaduto e sta accadendo come un appello, un richiamo, e vedere la crisi come grazia. Leggere con gli occhi della fede la situazione presente significa chiedersi: cosa vuole il Signore da noi, cosa vuole dirci attraverso questi fatti, quale lezione imparare dagli avvenimenti che viviamo? È quello che ha fatto in questo tempo Papa Francesco, il quale ha accompagnato il popolo di Dio lungo il periodo della pandemia, in particolare in quella stupenda meditazione nella sera del 27 marzo. Già leggere e meditare quel testo sarebbe sufficiente per un esercizio di discernimento. Il Papa, in quella meditazione, dopo aver descritto quanto stava accadendo con l’immagine evangelica della “tempesta”, aggiunge: «Signore, tu ci rivolgi un appello, un appello alla fede. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “convertitevi”, “ritornate a me con tutto il cuore”. Ci chiami a cogliere questo tempo come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di te, Signore, e verso gli altri». La tempesta ci invita a rivedere “le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità”. E questo a livello personale, sociale, ed ecclesiale.
- “È il tempo di reimpostare la rotta della vita” (Papa Francesco)
Non è possibile qui indugiare analiticamente sulle cose da imparare da quanto stiamo vivendo. Le abbiamo lette o apprese dai tanti mezzi di comunicazione, dalla rete, ecc. Sia pure come esemplificazioni, tentiamo di esplicitarne alcune.
Il senso del limite, personale e sociale; il ridimensionamento dell’illusione di onnipotenza; nessuno si salva da solo; il valore del tempo che viviamo; l’importanza di essere vicini e di essere distanti; il grande sentimento di solidarietà…
Cosa siamo diventati dopo questa pandemia, sia come comunità ecclesiale sia come comunità civile? A cosa siamo chiamati? Cosa possiamo diventare? Quando potremo tornare finalmente alla normalità? Era “normale” il nostro modo di vivere prima? O forse Dio ci chiede proprio di non tornare a quella “normalità”, che fa sistematicamente a meno di Lui emarginandolo?
- “Perché tutto non sia come prima”
La crisi che stiamo vivendo è un giudizio, ma anche certamente una grande occasione che non possiamo permetterci di sprecare. Certo, essendo la situazione in evoluzione, non è possibile formulare programmi “ad ampio respiro” e indicare con precisione le cose da cambiare e quelle da assumere oggi e per l’immediato futuro.
In questo tempo di pandemia la Chiesa si è trovata a vivere un passaggio di grave difficoltà e insieme l’apertura di inattese possibilità. Questo tempo ha fatto emergere con più evidenza tutte le problematiche pastorali, teologiche e spirituali con cui la Chiesa si confronta da decenni.
Certamente, tuttavia, questa pandemia ci costringe a ripensare la pastorale e ad accelerare quel rinnovamento prospettato dal Concilio e continuamente sollecitato da Papa Francesco, il quale ci dice, in molti modi di ripensare le pratiche pastorali in nome di un cambiamento d’epoca che stiamo vivendo e nella direzione di una Chiesa “in uscita”: «La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”» (EG n. 33). «Ci troviamo dinanzi ad una situazione per noi nuova ed inattesa, che costringe a maturare un diverso modo di pensare, a cercare vie nuove per servire il popolo di Dio. Il Signore parla nella storia e ci chiede di accogliere con fiducia la Sua volontà, la quale si manifesta anzitutto nell’evidenza dei fatti» (Libanori). «Non è una parentesi! Questo tempo parla, ci parla, urla. Ci suggerisce di cambiare» (Derio Olivero). Insomma una lettura sapienziale dell’esperienza della pandemia «non può prospettare il semplice ritorno alla situazione di prima, augurandosi di riprendere l’aratro da dove si era stati costretti a lasciarlo» (Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede e la Catechesi, “È risorto il terzo giorno”. Una lettura biblico-spirituale dell’esperienza della pandemia, pag. 19).
Prima che sia troppo tardi: «Mi chiedo se questo tempo di chiese vuote e chiuse non rappresenti una sorta di monito per ciò che potrebbe accadere in un futuro non molto lontano: fra pochi anni esse potrebbero apparire così in gran parte del nostro mondo. Non ne siamo già stati avvertiti più volte da quanto è avvenuto in moti paesi, dove sempre più chiese, monasteri e seminari si sono svuotati o hanno chiuso? … Forse questo tempo di edifici ecclesiali vuoti mette simbolicamente in luce il vuoto nascosto delle chiese, e il loro possibile futuro se non si compie un serio tentativo per mostrare al mondo un volto del cristianesimo completamente diverso» (T. Halik, “Il segno delle chiese vuote. Per una ripartenza del cristianesimo”, Vita e pensiero – e-book).
- “Una nuova immaginazione del possibile” (Papa Francesco)
Come si è detto prima, non è possibile indicare con precisione le cose da cambiare e quelle da assumere oggi e per l’immediato futuro, considerata la situazione in evoluzione.
Più che il tempo di dare risposte, questo è il tempo di intercettare domande. Bisogna con coraggio innanzitutto cogliere le domande e, poi, con pazienza e costanza, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo e illuminare dalla Parola di Dio, operare un “discernimento comunitario”, che permetta alle nostre Chiese di rivedere il proprio cammino alla luce del passaggio doloroso del Covid-19.
Tuttavia, proviamo a suggerire forme nuove di azione pastorale, che sono state già sperimentate, anche se in piccolo, in questo periodo che abbiamo vissuto. Proprio in epoche come queste lo Spirito Santo ha suscitato nuovi santi, iniziative inedite, modelli nuovi di vita pastorale. Sviluppiamo quei germi di novità pastorale che già sono emersi in questi mesi. Proviamo ad elencarli velocemente.
- In questo periodo, per esempio, proprio grazie ai social media, le nostre comunità hanno raggiunto molte persone: come continuare a coinvolgerle anche dopo? La pandemia ha toccato nell’animo diverse persone: è a loro che dovremo guardare con nuove proposte di evangelizzazione. Il passaggio dell’epidemia, infatti, ha confermato, se ce n’era ancora bisogno, che “non siamo nella cristianità, non più!” (Papa Francesco).
- Da fine febbraio non abbiamo più potuto vivere la normalità del nostro essere gente di Chiesa: niente messe, niente catechismo, niente prove di canto, niente riunioni di ragazzi e giovani, di giovani sposi, niente attività di oratorio, niente feste parrocchiali, ma è nelle case che stava succedendo qualcosa di veramente buono ed è da lì che dobbiamo partire.
In preparazione alla Pasqua, le Diocesi hanno elaborato sussidi su come celebrarla in casa attraverso la preghiera, anche con i segni. Parecchi hanno pregato nelle case il Giovedì santo: hanno pregato sul pane, lo hanno spezzato, hanno lavato i piedi ai propri familiari; il Venerdì santo, l’adorazione della Croce al centro del tavolo; a Pasqua, la benedizione della mensa.
Abbiamo scoperto la preghiera in famiglia; non abbiamo mai visto tanta gente pregare in famiglia come adesso, malgrado non ci siano state le messe con i fedeli. Spesso nelle nostre parrocchie, al di là dei sacramenti e poco altro, non c’è più niente: sacramenti, messe, qualche gruppo, il catechismo. Invece sta nascendo e vivendo di più la dimensione domestica, familiare: questa sarà la nostra salvezza! Nelle famiglie, nella preghiera in famiglia.
Bisogna recuperare quello che il Concilio ha detto da cinquant’anni, ma che abbiamo trascurato: il sacerdozio battesimale. Tutti i battezzati sono sacerdoti: c’è un sacerdozio ministeriale, quello dei presbiteri certo, ma c’è un sacerdozio di tutti i battezzati. Ebbene, noi crediamo che questo non deve andare perduto! Dobbiamo riconoscerlo: come Chiesa ci siamo concentrati nel passato solo sulla Messa, a cui, riconosciamolo, è abbastanza facile “assistere”; e senza Messa non sappiamo più cosa dire al Signore! Solo Messa, e niente più? Tutto Messa? Certo, la Messa è il massimo, il culmine, è la forma più perfetta della preghiera cristiana ma non esiste solo la Messa!
Ecco: recuperare questo sacerdozio battesimale che si è manifestato in questi mesi, soprattutto in famiglia, nella preghiera in casa.
Ma le nostre comunità sono in grado di pregare con la Parola? Le abbiamo educate alla riflessione sulla Parola di Dio? A fare Centri del Vangelo nei condomini, nelle case, ad essere loro i protagonisti della vita pastorale?
- La catechesi
Le forme normali di catechesi sono state sospese, perché richiedevano il radunarsi di più persone in luoghi chiusi, ma forse sta nascendo un modo nuovo di formare un pensiero a partire dalla fede. In questi giorni è nata l’esigenza di interpretare il tempo che stiamo vivendo. Un desiderio di riflessione, pensieri, interpretazioni che, alla luce della fede, aiutino a dare un senso, a trovare una saggezza, a vivere da credenti il tempo perché diventi un tempo di grazia. Questo desiderio ha trovato nuove vie di comunicazione: sono circolate riflessioni, testimonianze che poi le persone facevano circolare per mezzo dei social media.
È vero, nella rete circola anche molta spazzatura, anche religiosa, forme di “devozionalismo selvaggio”. Ma se creassimo gruppi che invece selezionassero testi, riflessioni di qualità, e li proponessero ai fedeli, alla gente, per aiutare a riflettere e meditare, anche per un desiderio di confrontarsi, di incontrarsi, per scambiare le riflessioni, insieme o a piccoli gruppi: non è forse questa una forma di catechesi? Non potrebbe ispirare nuove modalità di formare un pensiero alla luce della fede?
- La liturgia
Non si può negare che siamo stati colti alla sprovvista da questa situazione. Il senso di smarrimento ha portato anche a forme di pseudoliturgia selvaggia. A chi, in queste settimane, non è capitato di ricevere sui social dei video di sacerdoti che hanno fatto un uso improprio della liturgia o di alcuni aspetti cultuali? Abbiamo visto di tutto e di più. Abbiamo sorriso di fronte a questi video, ma poi, riflettendoci, abbiamo pensato che il fenomeno potesse nascondere cause ben più serie sulle quali vale la pena interrogarsi. Comunque nei giorni della pandemia si sono aperti nuovi spazi di celebrazione che potrebbero essere valorizzati.
- La carità
Nel tempo dell’epidemia si è sviluppata la “fantasia della carità” (Giovanni Paolo II). Non solo il solito pacco – necessario, oggi la gente non riesce neanche a riempire la tavola! – ma anche nuove iniziative come: la disponibilità a fare la spesa per chi non poteva uscire di casa; un numero sempre attivo per il Centro di ascolto; un telefono amico per le persone sole, in difficoltà; l’arrivo di nuovi volontari; l’utilizzo dei social media per contattare e tenere in rete i bisogni; il legame con altri Centri di ascolto coordinandosi meglio.
- Prendersi cura delle relazioni
Ad essere stato provato in questa fase è il tessuto delle nostre comunità ecclesiali, a rischio di dispersione e di smarrimento. A questo scopo è necessario prendersi cura delle relazioni personali. I fedeli vanno cercati uno per uno, con la discrezione necessaria, ma anche con la cordialità e l’interessamento sincero. Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno, tra collaboratori, praticanti… Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello trovarsi. E che ciò traspaia all’esterno, a quelli che compaiono qualche volta per far celebrare i sacramenti. Ai nostri presbiteri bisogna dire che è emersa in questo tempo una forte domanda di ascolto che va recepita.
Abbiamo scoperto l’importanza delle relazioni. Se il vuoto di questi giorni ha fatto crescere in noi la nostalgia dell’amicizia, delle relazioni, perché non ci bastano le relazioni virtuali, allora chiediamo allo Spirito di farci tornare in comunità, non per riprendere il ritmo forsennato delle tante attività ma per curare meglio la qualità delle relazioni.
6.7 Impegno profetico
Insieme con gli uomini e le donne di buona volontà le nostre comunità sono chiamate ad un impegno profetico, denunciando il taglio che negli ultimi anni è stato operato nel nostro Paese verso la sanità.
Inoltre un impegno profetico per la salvaguardia del creato.
In questo tempo, infatti, si è constatato come è vero che c’è connessione tra gli uomini e il creato; la crisi del Covid-19 ha evidenziato che “tutto è connesso” e che «non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (Laudato si’ n. 139).
- Conclusione
Il periodo che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo ha fatto emergere quella crisi nella quale già vivevamo. Nella “ripartenza” stanno venendo fuori forti resistenze da parte di quelli che considerano questo periodo una parentesi da superare. Esortiamo presbiteri, religiosi e operatori pastorali a superare le resistenze e ad “investire” su quello che lo Spirito in questo tempo dice alle nostre Chiese.