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Il 27 settembre, l'Azione Cattolica diocesana, vivrà il consueto “restart” associativo. Presidenti parrocchiali, responsabili e animatori Adulti, responsabili ed educatori Giovani e Giovanissimi, coordinatori ed educatori Acr sono invitati a prendere parte all'incontro che apre il nuovo anno associativo e che quest'anno si sovlgerà a livello zonale, alle 19.30. I gruppi della prima zona pastorale, si ritroveranno presso la parrocchia Immacolata di Piazzolla (via Tommasoni, località Piazzolla), quelli dela seconda zona pastorale, presso la parrocchia S.M. Suffragio di Pomigliano (via Nazionale delle Puglie, Pomigliano), quelli della terza zona pastorale, presso la parrrochia Maria SS. Liberatrice dai Flagelli (via dei Gesuiti 11, Boscoreale).
Il tema unitario dell'anno è racchiuso nel versetto "Lo avete fatto a me" tratto dal Vangelo di Matteo (Mt 25, 31-46). Un tema che provoca e impegna: "È forse più facile, quest’anno, - scrivono il presidente diocesano di Ac, Marco Iasevoli, e l'assistente unitario, don Luigi Vitale nella lettera indirizzata ai soci - trovare un punto di contatto tra l’icona biblica e il verbo che guiderà l’anno associativo. Il Vangelo di Matteo che dà il “titolo” all’anno (“Lo avete fatto a me”) ci dice infatti, senza troppi giri di parole, che la relazione con Gesù parte da uno “stare” con gli altri, da una presenza concreta in un luogo concreto a fianco ai nostri fratelli. [...] Nei nostri quartieri, nelle nostre città, lo sappiamo bene, ci sono affamati e assetati di cibo e acqua materiali e spirituali; ci sono forestieri nel senso letterale del termine (stranieri, immigrati…) e persone che si sentono interiormente forestiere rispetto alle convenzioni dei nostri stili di vita; ci sono persone che sono state spogliate di tutto per avidità o indifferenza, così come abbondano persone malate nel corpo e nell’anima; ci sono carcerati in senso stretto, ci sono le loro famiglie sospese in una bolla di vergogna e paura, e ci sono moltitudini di prigionieri che pensano di essere liberi ma non lo sono. L’elenco è lungo ed esigente. E la domanda che ci accompagnerà quest’anno è una sola: “Ma a noi, tutto questo, interessa davvero?”.
Il testo della lettera scritta dal presidente diocesano di Ac, Marco Iasevoli, e dall'assistente unitario, don Luigi Vitale
È forse più facile, quest’anno, trovare un punto di contatto tra l’icona biblica e il verbo che guiderà l’anno associativo. Il Vangelo di Matteo che dà il “titolo” all’anno (“Lo avete fatto a me”) ci dice infatti, senza troppi giri di parole, che la relazione con Gesù parte da uno “stare” con gli altri, da una presenza concreta in un luogo concreto a fianco ai nostri fratelli. E il verbo che l’Ac ci suggerisce di sviluppare, “abitare”, indica le stesse dimensioni: stare insieme nei luoghi che il Signore ci ha consegnato, impegnarsi in una presenza concreta, operosa, che è già, di per sé, servizio all’altro. Si è a tutti gli effetti “abitanti” di un lembo di terra solo e unicamente quando si sentono proprie le passioni, le gioie, le sofferenze e le fragilità che su quel lembo di terra gridano silenziosamente la loro presenza. E quando si riesce davvero a farsene carico, ecco allora che si rafforza l’amicizia con il Signore.
Nei nostri quartieri, nelle nostre città, lo sappiamo bene, ci sono affamati e assetati di cibo e acqua materiali e spirituali; ci sono forestieri nel senso letterale del termine (stranieri, immigrati…) e persone che si sentono interiormente forestiere rispetto alle convenzioni dei nostri stili di vita; ci sono persone che sono state spogliate di tutto per avidità o indifferenza, così come abbondano persone malate nel corpo e nell’anima; ci sono carcerati in senso stretto, ci sono le loro famiglie sospese in una bolla di vergogna e paura, e ci sono moltitudini di prigionieri che pensano di essere liberi ma non lo sono.
L’elenco è lungo ed esigente. E la domanda che ci accompagnerà quest’anno è una sola: “Ma a noi, tutto questo, interessa davvero?”. O ci interessa, in associazione e in parrocchia, vivere qualche momento buono solo per noi e per le persone che ci stanno più a cuore. La vita intorno, ci interpella o ci lascia indifferenti? Ce lo chiediamo come associazione, come laici corresponsabili, e allarghiamo questo nostro “esame di coscienza” alle comunità parrocchiali a cui apparteniamo.
Ma forse, a ben vedere, c’è anche un’altra domanda che ci scuote, in quest’anno associativo: “Ma abbiamo capito che a Gesù, proprio a lui, stanno a cuore innanzitutto i fragili, gli ultimi e i penultimi?”. Insomma, lo comprendiamo o no che nella sfida della prossimità, delle relazioni, della compassione, della dignità dei più fragili, della Carità, si gioca la nostra stessa fede? O davvero ci illudiamo che qualche distaccata opera pia e qualche emozione spirituale, unita ad una assiduità di presenza nei locali della parrocchia, ci consegni dei diritti da esigere dinanzi al Signore?
È una grazia che questo tema capiti nell’anno delle assemblee elettive. Ricorderà a tutti noi che rispondere alla chiamata al servizio vuol dire prima di tutto predisporre il cuore ad abitare fino in fondo e senza riserve la fragilità che è a noi prossima.
Ma è una grazia, questo tema, anche perché ci darà l’opportunità di mettere meglio a fuoco quelle fragilità che, con i nostri umanissimi mezzi, come Ac già serviamo e “abitiamo”: le fragilità dei bambini e dei ragazzi, che sono tante e crescenti e che interessano a pochissime persone e istituzioni; le fragilità dell’adolescenza, dei giovani, che vengono a galla solo quando ci sono emergenze e casi di cronaca eclatanti; le fragilità di un mondo adulto a volte confuso dalla rapidità dei cambiamenti, le fragilità delle famiglie, delle giovani coppie, degli anziani soli e malati. Nel mentre, con onestà intellettuale, ci chiediamo se siamo all’altezza del compito che Gesù ci affida con il brano biblico di Matteo, con altrettanta onestà e consapevolezza proviamo a puntellare e rafforzare quella nostra presenza preziosa e silenziosa che già genera la speranza in tante vite di ogni età e ogni condizione sociale, economica e culturale.
Tutto sommato, si tratta, come al solito, di operare una scelta: vivere le nostre terre come fossero dormitori, in attesa di opportunità che ci portino altrove; o viverle come fossero un accenno del Regno che vogliamo abitare per l’eternità. La differenza tra queste due opzioni è Gesù. Scegliendo un’esistenza da “dormitorio”, rinunciamo a servire Gesù nell’altro e quindi a essere suoi amici. Stando dentro la nostra realtà come fosse un angolo di Cielo, incontreremo Gesù nei fratelli e la nostra relazione con il Signore crescerà di qualità.
Vi auguriamo buon anno!