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È ancora Natale. È apparsa la speranza nel cuore dell'uomo e lungo i sentieri della sua storia che da quell'avvenimento traggono la forza di convergere in unità. Così il grande avvenimento della venuta di Dio nell'uomo ha di nuovo la sua commemorazione annuale.
Anche se, pur da credenti, rimaniamo uomini dibattuti. Da un lato siamo certi che il Signore è già venuto e che la sua morte e la sua resurrezione costituiscono il fatto centrale e risolutore della storia. D'altro lato constatiamo che – anche dopo l'incarnazione, la morte e risurrezione del Cristo – la storia sembra continuare come prima: ancora l'ingiustizia, la sopraffazione, la dimenticanza di Dio, il peccato. La speranza sembra delusa.
Racconta un'antica storia ebraica che, un giorno, alcuni discepoli riferirono al loro vecchio maestro di aver sentito alcuni sostenere che il Messia fosse già venuto. Il maestro non rispose, ma aprì la finestra e guardò sulla strada, poi si girò e scosse il capo. Se il Messia fosse davvero venuto, il mondo sarebbe necessariamente diverso!
Il Vangelo conosce questa domanda, e risponde raccontando le parabole del seme. Il discepolo di Gesù è invitato a vivere una feconda tensione, spezzando la quale non comprenderebbe più se stesso né la storia: il compimento e l'attesa, la pienezza del tempo e la storia che è tuttora incompiuta. La grande svolta è avvenuta e Dio è fra noi, ma il suo Regno è deposto nella nostra storia come un seme, come il Figlio di Maria è deposto in una mangiatoia. Il suo compimento è certo, ne esistono anche i segni, anzi il segno nella persona dell'Uomo Dio, ma esso non è ancora manifestato in noi.
Ma come sostenere fedelmente questa tensione, nella concretezza della nostra vita? Come mantenersi fedeli alla promessa di Dio nelle vicende della nostra storia che sembrano smentirla ripetutamente? Il Vangelo ci è di aiuto, perché esso stesso presenta questi interrogativi. La nascita del nostro Messia nel silenzio e nella povertà di Betlemme mette in crisi i poteri e i sistemi autosufficienti e orgogliosi dell'uomo di tutti i tempi. Gesù stesso descrive il passare della scena di questo mondo: guerre, carestie, catastrofi, crolli di imperi e religioni.
La storia umana, quando si configura come idolatria perché si rifiuta al progetto di Dio, raccoglie i frutti della disgregazione insita nell'autosufficienza. Su questi crolli può però nascere il nuovo, che Dio sempre suscita perché il suo disegno possa proseguire. Di qui la fiducia e la speranza anche quando l'arroganza dell'idolatria sembra prevalere nella vicenda umana. Il lieto annuncio degli angeli fa emerge continuamente la certezza che tutto è nelle mani di Dio. Nonostante l'infedeltà degli uomini, nonostante il peccato, il disegno di Dio non si interrompe. La fedeltà di Dio è più solida della roccia.
La liturgia del Natale celebra la sovranità di Dio e il dono della pace «agli uomini che egli ama». Con questo ci vien detto che la parola di Dio, che sostiene il mondo e gli impone una direzione, è una parola fedele e alleata. Il diluvio e le forze della distruzione non avranno mai l'ultima parola. Prima del tumulto e delle contraddizioni della storia, ecco l'apparizione di Dio nella carne agli umili d'Israele (ma anche ai popoli in cammino) in una calma sublime che avvolge l'universo: egli regge imperturbabile il destino del mondo e della comunità. Gli uomini si agitano, ma non Dio.
La Nascita contiene una profezia che è visione di pace. La storia va da pace a pace: il peccato e l'idolatria degli uomini non possono infrangere questo disegno. Dunque serenità. La paura e lo scoraggiamento, oltre che mancanza di fede, sono cattivi consiglieri, perché accecano e disimpegnano. La parola di Dio suggerisce serenità e pazienza. Oggi, come sempre, il seme del Regno di Dio è presente. Cresce necessariamente, come necessariamente si apre alla vita un seme deposto nella terra. Un seme carico di avvenire.
Dunque vigilanza e coraggio: il coraggio di una proposta evangelica fiduciosa, il coraggio di sacrificarsi per valori che vengono costantemente trascurati, il coraggio di amare questo mondo anche se sfigurato dalla violenza e dal peccato, il coraggio di tentare ostinatamente di cambiarlo. «Ritorna il Natale, ed a chi lascia che il suo misterioso fascino lo invada par di rinascere» (Beato Paolo VI).
+ Francesco Marino
Vescovo di Nola