Il primo maggio sia la festa della Carità

L'editoriale del vescovo Marino per l'ultimo numero del mensile diocesano inDialogo

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In occasione del primo maggio, festa di San Giuseppe lavoratore, patrono dei lavoratori, pubblichiamo l'editoriale scritto dal vescovo Francesco per il numero di aprile di inDialogo, il mensile della diocesi di Nola, in edicola con Avvenire, ogni quarta domenica del mese.

Il lavoro rende l'uomo cooperatore di Dio

Il prossimo lunedì ricorrerà la festa di san Giuseppe lavoratore e allo stesso tempo inizierà il mese dedicato alla Vergine Maria. Mi piace soffermarmi su questa coincidenza di ricorrenze, apparentemente indipendenti, prive di qualsiasi legame. Non credo sia infatti così. Come ricorda papa Paolo VI al n.27 della Populorum progressio, il lavoro «consente all’uomo di cooperare col Creatore al compimento della creazione e a segnare a sua volta la terra dell’impronta spirituale che egli stesso ha ricevuto»: non è forse questo che Giuseppe e Maria hanno trasmesso a Gesù? E non è forse questo che il Signore ci ha testimoniato invitandoci a fare qualunque cosa «rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre» (Col 3 ,17)?

I tempi che viviamo sono segnati dalla precarietà lavorativa e dalla crescente povertà: in una umanità progredita e che annuncia nel prossimo futuro cambiamenti ancora più forti legati allo sviluppo delle nuove tecnologie, l’ingiustizia la fa da padrona e i deboli continuano ad essere sempre più schiavi. Non sembra che Giuseppe e Maria possano ancora avere qualcosa da dire. Non credo sia così. Le poche ma fondamentali scelte da loro operate e riportate dai Vangeli sono segnate dalla carità. Rivestiti di carità hanno ‘scardinato’ le regole sociali del proprio tempo portando avanti una gravidanza difficile da spiegare, hanno messo i propri talenti a servizio l’uno dell’altro anche in una terra straniera, hanno aperto le porte della propria famiglia al mondo. In un tempo storico segnato da altri disordini e altre crisi, Giuseppe e Maria hanno scelto la carità per cambiare il mondo: un umile falegname e un’umile casalinga hanno lavorato perché Dio potesse chinarsi per lavare i piedi agli uomini.

La festa del prossimo primo maggio dovrebbe essere quindi una festa  della carità, un momento di sosta, di riflessione e preghiera perché coloro che hanno <possibilità d’azione> (PP 32) pongano in atto riforme serie ed audaci; perché quanti hanno un lavoro si adoperino per quanti ne sono privi, mettendo parte della propria esperienza e dei propri talenti per suggerire nuove strade da percorrere ma anche per vigilare sul rispetto dei diritti; perché chi oltre ad essere lavoratore è anche datore di lavoro faccia della propria impresa una <comunità di persone> alla pari, pur nella diversità delle funzioni e dei ruoli (cfr. PP 28). Sia il primo maggio una possibilità quindi per ricordare che il «lavoro unisce le volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo gli uomini si scoprono fratelli» (PP 27).

Editoriale Marino inDialogo Avvenire


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