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Questa sera alle 19.30, presso la Cattedrale di Nola, il vescovo Francesco Marino, presiederà la Santa Messa a conclusione del convegno diocesano di inizio anno, svoltosi venerdì e sabato a Madonna dell'Arco.
Nell'attesa delle parole di monsignor Marino durante l'omelia di questa sera, pubblichiamo il magnifico testo dell'introduzione da lui tenuta venerdì, in apertura del convegno.
Carissimi fratelli nel presbiterato e nel diaconato,
religiosi e religiose, consacrati e fedeli laici della Chiesa di Nola,
è un dono particolare per la nostra Chiesa poter riprendere il cammino sotto lo sguardo e l’intercessione di Maria, presso questo suo Santuario che nel nome dell’Arco richiama il segno dell’Alleanza e della Pace indefettibile di Dio con noi.
Convenire in questo luogo per iniziare un nuovo anno pastorale è già di per sé espressione di un disegno divino e della sua grazia. La presenza di Maria nella chiesa ha un fondamento reale nella storia di Dio con l’uomo. Maria è colei che ha accettato fin da principio di concepire se stessa come serva di Dio (cfr. Lc 1, 38.48). Questa era la fonte della sua gioia e la comprensione di se stessa di fronte al mondo. Allo stesso modo anche la nostra chiesa santa di Nola vuole esplicitare il suo cammino nel tempo e nella storia che ci è data di vivere.
Un anno pastorale non significa innanzitutto un tempo cronologico e neppure una scatola di iniziative. Esso, invece, ha per noi il valore di una ripresa profonda, energica e felice della ragione per cui siamo assieme: il Signore Risorto ci ha scelto attraverso il battesimo e ci ha confermati con i sacramenti della Chiesa per mandarci in tutte le occasioni della vita, annunciatori e testimoni suoi, del Redentore dell’uomo e della storia. Il riferimento a Maria trova qui, dunque, la sua spiegazione più profonda: come Maria, siamo chiamati a generare Cristo per gli uomini del mondo. Siamo in continuità con il Convegno pastorale dell’anno scorso, “Cristo in noi”. Con questo mi rendo conto di aver già detto molto.
Il Vangelo del Risorto nostro punto di partenza. In realtà Gesù non ci ha lasciati mai soli: questa è una certezza e non ci ha mai abbandonati. Il Signore ha sentito il nostro grido di dolore, ci ha sempre accompagnati come ai due discepoli di Emmaus. Perciò necessario ripartire dalla Parola, l’unica che ci può aiutare a capire ed interpretare il nostro vissuto, ciò che ci è capitato e ci sta ancora capitando. “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” ci dice Gesù. Dall’emergenza vissuta e che (non dimentichiamolo) stiamo ancora vivendo è nata un’urgenza per tutti: la compassione e soffrire insieme con gli altri. L’esperienza di questi mesi rappresenta uno spartiacque: la comunità cristiana è chiamata a un cammino di rigenerazione, perché è ricondotta sempre di più all’essenziale. Ecco perché la pastorale di domani del dopo Covid non dovrà essere più come la pastorale del prima Covid.
Nei decenni passati, in molte Chiese e in molti discorsi, la pastorale si era progressivamente ridotta ad un insieme di tecniche comunicative, relazionali e gestionali. La concezione che ha generato questa visione della vita della Chiesa, in analogia alle imprese che funzionano bene, che magari gestiscono soldi, riducendo così le vocazioni stesse a dei compiti prestabiliti e temporanei mostra ora tutta la propria inadeguatezza.
La chiesa di Nola in questi anni con il Sinodo e la sua ripresa nei Convegni pastorali sta cercando faticosamente di ritrovare il respiro ampio dell’iniziativa di Dio verso l’uomo. Egli ha voluto la creazione dell’universo, e in esso della persona umana, per un misterioso disegno di cui non conosciamo l’origine, ma che possiamo vedere nei suoi frutti: la creazione di un popolo nuovo, inizio di una ricapitolazione di tutte le cose, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Cor 15, 28; Col 3, 11). Il secolarismo dei nostri tempi ci ha a poco a poco disabituati, anche noi consacrati, a questo sguardo profondo e gioioso. Vediamo solo la superficie degli eventi e non sappiamo leggere in profondità ciò che accade. Per esempio, qual è il bene che Dio vuol trarre dagli avvenimenti consequenziali all’epidemia? In questo contesto, desidero ricordare l’enorme sforzo fatto anche dalla nostra Diocesi per coniugare l’ottemperanza alle giuste richieste di igiene e distanziamento con il servizio alla fede, anche e soprattutto attraverso la celebrazione dei sacramenti, in particolare dell’Eucarestia. In realtà, le privazioni a cui siamo stati sottoposti in Quaresima, a Pasqua, fino a Pentecoste hanno fatto risaltare alla coscienza che la dimensione fisica, materiale e comunitaria della realtà ecclesiale non può essere mai dimenticata o sminuita, pena la perdita della logica sacramentale che governa la Chiesa.
Ecco perché oggi non possiamo essere tranquilli: un buon numero di persone non sono tornate alla Messa domenicale dopo la riapertura delle celebrazioni in presenza. Né possiamo accontentarci solo di preghiere domestiche, sostitutive della celebrazione eucaristica. Non voglio con ciò sminuire, né dimenticare il bene di tante iniziative nate dalla creatività cristiana durante il tempo del lockdown ma, il cristianesimo è per sua natura comunitario. Non dobbiamo mai stancarci di radunare il nostro popolo nell’esperienza comunitaria della fede: sulla terra, senza fisicità non ci può essere gioia; anche nel cielo i nostri corpi saranno trasfigurati ma non eliminati.
Vi invito perciò a superare ogni ingiusta paura e a stimolare i nostri fedeli alla partecipazione fisica alla Messa domenicale.
Un’altra raccomandazione emerge ancora una volta dalla condizione che stiamo vivendo. La valorizzazione della vocazione profetica, sacerdotale e regale di ogni battezzato, come anche si è provvidenzialmente espresso il nuovo documento sullaConversione pastorale della comunità parrocchialea cura della Congregazione per il Clero. «La storica istituzione parrocchiale – è l’invito sintetico di questo documento – non rimanga prigioniera dell’immobilismo o di una preoccupante ripetitività pastorale ma, invece, metta in atto quel “dinamismo in uscita” che, attraverso la collaborazione tra comunità parrocchiali diverse e una rinsaldata comunione tra chierici e laici, la renda effettivamente orientata alla missione evangelizzatrice, compito dell’intero Popolo di Dio». Perché un laico non potrebbe guidare la preghiera? Perché non potrebbe commentare la Parola di Dio (al di fuori dell’omelia)? Perché non potrebbe diventare attore di una convocazione di piccole comunità, di una cura dei problemi delle persone, non in sostituzione del prete, ma in riferimento a un parroco talvolta in difficoltà e molto oberato? Ascolteremo dalla parola di Mons. Sorrentino, che ringraziamo della sua presenza, il racconto e la presentazione di un metodo esperienziale di evangelizzazione al riguardo. Sarebbe poi importante trovare insieme, nei vari Consigli diocesani e parrocchiali le forme di attuazione di questo auspicio.
Al cuore di ogni slancio pastorale sono le persone, l’annuncio della fede e il cammino verso la sua maturità. Questo deve essere il centro della nostra ansia apostolica, di ogni nostro discorrere e di ogni nostra iniziativa. Paradossalmente, questa non è una conversione facile, né immediata, ma assolutamente necessaria. È questo il cuore dell’Evangelii Gaudium, di cui vorrei riportare qui alcune espressioni. «Il mandato missionario del Signore comprende l’appello alla crescita della fede», afferma il Papa. «L’evangelizzazione è compito della Chiesa. Ma questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio». «Non voglio una chiesa preoccupata di stare al centro e che finisce in un groviglio di ossessioni e procedure». Occorre «una conversione pastorale e missionaria che non può lasciare le cose come stanno». «Non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!». L’Evangelii Gaudiumè un testo che, a distanza di sette anni, è ben lontano dall’essere compreso e accolto, come d’altronde capita a tutti i grandi cambiamenti nella storia della Chiesa.
Infine, desidero qui rinnovare il mio ringraziamento sincero e commosso per la fedeltà e la laboriosità di voi presbiteri e diaconi, di tanti religiosi e laici durante questi mesi difficili. Si apre davanti a noi un tempo forse ancor più complesso. Penso anche alla crisi economica e morale che ha investito il nostro Paese, come tante altre parti del mondo. Non ci risolleveremo senza un piano adeguato per il futuro della nostra Italia. Non è questo un compito che spetta a noi direttamente, anche se possiamo aiutarlo con la nostra preghiera e la nostra maturità politica. Parlo di una rinascita morale in senso forte: laddove non c’è più spazio pubblico per Dio nella società civile, si riduce progressivamente anche lo spazio per l’uomo. Tutto ciò che la Chiesa dice e fa per questo non ha il colore di una scelta politica di campo, ma nasce dalla considerazione grave che i valori più decisivi per la vita dell’uomo sono oggi in discussione. I principi cosiddetti “non negoziabili” ricordati durante il pontificato di papa Benedetto XVI devono essere ripresi e coniugati con le attenzioni sociali più volte ricordate durante il pontificato di papa Francesco. In realtà mai il magistero pontificio di nessun papa del Novecento e del nuovo Millennio ha trascurato o addirittura negato gli uni e gli altri. Con accenti diversi, tutto è stato richiamato in una visione antropologica ed ecologica che non può che essere totale: è l’esperienza che l’Antico e Nuovo Testamento ci hanno presentato nella persona di Gesù, non innanzitutto come una dottrina sterile e opprimente, ma come una promessa di bene e di felicità che ci è donata già nella vita presente e che si compirà oltre il tempo. La predicazione integrale a riguardo del Regno di Dio, del bene e del male, della grazia e della colpa, deve rimanere sempre al centro delle nostre attenzioni pastorali, pur con tutta la gradualità che riconosce ciò che è centrale e ciò che è secondario e che tiene conto delle diverse stagioni della vita.
Rimettendo ogni speranza e attesa nelle braccia di Maria, nostra madre, regina del nostro popolo e richiamando la mai sopita integrale testimonianza di San Paolino, iniziamo questo nuovo periodo della nostra vita e della nostra Chiesa, così ricca di riferimenti alla Parola di Dio e all’Eucarestia, così generosa nell’incontro quotidiano con i poveri, sacramento di Cristo, e insegnamento per tutti noi.
Affidiamo allo Spirito del Risorto i frutti di questo nostro convegno. Così sia.
+ Francesco Marino