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Prima dell’ultima domenica dell’anno liturgico, quella di Cristo Re, papa Francesco ci ha invitato a celebrare la Giornata mondiale dei poveri, quasi un preludio liturgico ed esistenziale al tempo di Avvento. Certamente non sfugge a nessuno di noi che proprio le figure di questo tempo liturgico ci indicano questa via preferenziale in preparazione alla celebrazione del grande mistero dell’Incarnazione che è il Natale. È un tempo in cui i poveri d’Israele ci accompagnano.
Ci accompagna la povertà dell’ultimo dei profeti dell’antico testamento e precursore di ogni altra profezia, Giovanni il Battista. Creduto da peccatori che chiedono la conversione e il battesimo egli si presenta come l’ultimo, il servo dei calzari, neanche degno di questa umile mansione. Voce che grida nel de- serto, è uomo dell’attesa che fin dal grembo della propria madre Elisabetta ha riconosciuto il Signore danzando coi suoi piccoli piedi la gioia di quell’incontro. Vestito di peli di cammello ha saputo dire la verità senza piegarsi alla menzogna, ha dato la vita pur di annunciare la venuta del Regno. Muore da povero, il corpo mutilato della testa, ma voce che mai smetterà di provocare il cuore degli uomini. Un’attesa che potrebbe sembrare vana, ma che in verità riecheggerà per sempre nella storia.
Ci guida la povertà di Giuseppe, uomo giusto, che ama la sua sposa promessa, che crede alla forza dei sogni, che ha fiducia in Dio perché mai viene meno alla promessa. Lui crede in quella giovane fanciulla di nome Maria che porta in grembo un figlio non suo, ma che lui è pronto ad accogliere come il frutto dello Spirito. La sua fede caparbia, insistente e al tempo stesso interrogante, disposta al rischio e alla responsabilità di assumersi il futuro di una famiglia. Con sé porterà un quotidiano interrogativo fino alla consumazione dei suoi giorni, di un coraggio pari a quello di pochi. Di lui si perderanno le tracce, nessuno saprà della sua morte, semplicemente non lo incontreremo più nella testimonianza dei Vangeli, eppure quanta ricchezza la sua persona e le poche parole, i grandi silenzi di cui è portatore.
Ci accompagna la povertà di Maria, giovane donna, che ha l’acerba sfrontatezza di affrontare Dio (come è possibile non conosco uomo) insieme alla remissività della vera credente (si compia in me). La sua povertà data dagli anni troppo giovani, dalla responsabilità di dare un nome al Figlio, dalla capacità di crescerlo nel minuscolo villaggio di Nazaret educandolo ad avere un cuore grande, capace di amare la legge e i profeti, di imparare l’umanità, ad essere umano. Reggerà fino alla fine la Madre, attenta ai tentennamenti del suo giovane nuovo frutto, la Chiesa, di cui sarà parte e modello, sempre pronta ad indicare nel Figlio la salvezza a farsi mediatrice.
Infine la nostra povertà, quella di noi uomini di questo tempo e di questa storia, credenti tiepidi, testimoni poco credibile e tuttavia uomini e donne attraverso cui il Signore vuole annunciare il suo Regno. Noi che questo tempo di attesa vorremmo giungesse ad un risultato concreto, e che ci ritroveremo infine con mani forse nemmeno piene.
Accompagnati da un desiderio facciamo vivere in noi l’attesa, così che anche la povertà non sia ostacolo ma piuttosto via preferenziale attraverso cui ci accorgiamo che il Signore viene. L’Avvento, tempo propizio in compagnia di poveri – perché questa realtà divenga non una situazione subita ma uno stato esistenziale e spirituale cercato e scelto – per un cuore povero tutto diventa dono e, guardare l’esistenza come un dono, ci riconcilia con la vita e con i fratelli.