di Vladimir Montante
Per la ricchezza dei simboli e dei testi, biblici e liturgici, il Mercoledì delle Ceneri può essere a buon diritto considerato la «porta» della Quaresima.
La prima lettura della Messa (tratta dal profeta Gioele: Gl 2,12-18) e il Salmo responsoriale (il Miserere) formano un dittico penitenziale, che mette in risalto come all’origine di ogni ingiustizia materiale e sociale vi sia quella che la Bibbia chiama “iniquità”, cioè il peccato, che consiste fondamentalmente in una disobbedienza a Dio, vale a dire in una mancanza d’amore. “Sì – confessa il Salmista – le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi” (Sal 50/51, 5-6).
Il primo atto di giustizia è dunque riconoscere la propria iniquità, e riconoscere che questa è radicata nel “cuore”, nel centro stesso della persona umana. I “digiuni”, i “pianti”, i “lamenti” (cfr Gl 2,12) ed ogni espressione penitenziale hanno valore agli occhi di Dio solo se sono segno di cuori sinceramente pentiti.
Il Mercoledì delle Ceneri la comunità cristiana si riscopre allora assemblea penitente, che implora umilmente la misericordia di Dio per i suoi peccati.
Penitenza, peccato: termini desueti, stranamente accantonati, ma non dal vocabolario divino. La perdita del senso del peccato, lo ricordava già papa Pacelli in un radiomessaggio del 1946, è uno dei più gravi segni del decadimento morale della cultura in cui siamo immersi.
L’uomo contemporaneo, nella sua insana rivendicazione di una totale autonomia da Dio, è giunto a negare che esiste un problema chiamato “peccato”, o a pretendere di assolversi da solo («Io stesso oggi mi accuso, e solo io posso anche assolvermi» così grida un personaggio di un dramma di Sartre).
La Quaresima, tempo di pensieri seri e profondi, ci ricorda che il più grande male dell’uomo è il peccato, offesa a Dio, offesa alla nostra dignità, offesa al nostro «io» personale, offesa al nostro «io» ecclesiale.
Ma la riflessione sulla triste realtà del peccato non è mai per il cristiano motivo di pessimismo o di sterile autocommiserazione. Con sapiente pedagogia, la Chiesa, nel “tempo favorevole” della Quaresima, invita i suoi figli a intraprendere un cammino di conversione, per sperimentare la gioia di tornare tra le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, e di lasciarsi rigenerare dal Suo amore.
Le parole, belle e consolanti, dell’antifona d’ingresso della Messa del giorno delle Ceneri, ci ricordano che il nostro cammino penitenziale trova la sua motivazione più profonda nella fiducia filiale: “Tu ami tutte le tue creature, Signore, / e nulla disprezzi di ciò che hai creato; / Tu dimentichi i peccati di quanti si convertono e li perdoni, / perché Tu sei il Signore, nostro Dio” (cfr Sap 11, 24.23.26).
Il rito simbolico dell’imposizione delle Ceneri, proprio ed esclusivo di questo giorno, riassume tutto il senso del cammino quaresimale.
La prima formula prevista dal Messale per il rito dell’imposizione (“Ricordati, o uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai” cfr Gen 3, 19) ci riporta agli inizi della storia umana, quando il Signore, dopo la colpa delle origini, si rivolge ad Adamo. Quelle parole sono un richiamo alla fragilità dell’uomo, e alla sua forma estrema che è la morte. Ma quelle parole trovano la pienezza del loro significato in Cristo, nuovo Adamo. Egli ha voluto liberamente condividere con ogni uomo la sorte della fragilità e l’ha condivisa fino in fondo, attraverso la morte di Croce.
Quella morte, colma del Suo amore per il Padre e per l’umanità, è diventata la via della Sua gloriosa Risurrezione. Pertanto, il gesto di ricevere le Ceneri è un invito a percorrere il tempo quaresimale come un’immersione più consapevole e più intensa nel mistero della morte e Risurrezione di Cristo. Con il rito delle Ceneri noi rinnoviamo il nostro impegno di seguire Gesù, di lasciarsi trasformare dal Suo mistero pasquale, per far morire il nostro “uomo vecchio”, legato al peccato, e far nascere l’“uomo nuovo”, trasformato dalla grazia di Dio.