La vocazione del profeta Geremia (Ger 1, 4-17) è il brano scelto da don Emilio Salvatore, biblista e Vicario episcopale per la Formazione, la Cultura e le Comunicazioni Sociali delle diocesi sorelle di Teano–Calvi, Alife – Caiazzo e Sessa Aurunca, per la meditazione offerta ai consacrati della diocesi di Nola, nella mattinata dello scorso 1 febbraio, in occasione della celebrazione diocesana della Giornata mondiale della vita consacrata, svoltasi presso la parrocchia San Sebastiano martire in Brusciano.
I consacrati sono un dono di profezia prima di tutto per la comunità ecclesiale
«Vorrei invitarvi a riflettere sul dono prezioso che siete per la Chiesa: profezia della speranza o, per dirla con monsignor Bruno Forte, la speranza che è la grande profezia del nostro tempo», ha esordito don Salvatore, per delineare lo scenario temporale in cui si colloca la chiamata e l’azione del profeta Geremia: «Siamo all’inizio della vocazione del profeta Geremia, anche se lui la racconta dopo tanto tempo. Il profeta è presentato nei primi quattro versetti, come discente di una famiglia sacerdotale marginale, i sacerdoti di Anatot, appartenenti alla tribù di Beniamino. Siamo prima dell’esilio babilonese, tra il 627 e il 587 a. C. Il ministero profetico di Geremia si colloca in un contesto di riforma religiosa ad opera del re Giosia, tragicamente precipitata in una politica dissennata di Ioachim e Sedecia che avrebbe portato alla deportazione e all’esilio. Geremia è presentato come un profeta dal profilo umano fragile e drammatico, in tempo di crisi e devastazione. Siamo di fronte a una visione profetica in forma di dialogo, un banco di prova (Ger 1, 4-5). È una vocazione strana. Non c’è nessuna teofania del Signore, non c’è nessuna visione percettiva, ma l’azione di Dio è espressa attraverso quattro verbi, formare, plasmare, conoscere, consacrare, stabilire, da cui discende la missione del profeta».
E poi il profeta Geremia presenta due visioni: il mandorlo, «in ebraico, mandorlo e vigilare suonano come una assonanza per sottolineare il messaggio finale – ha precisato don Emilio Salvatore -. Come il mandorlo è il primo a indicare la primavera, vigilando in attesa del tempo nuovo, così Dio continuamente vigila sull’umanità e suscita il profeta perché annunciando converta i cuori e si realizzi la parola divina dell’alleanza; la caldai di fuoco, «che Dio stesso spiega come tempo afflizione perché si è venuti meno all’alleanza: Dio illumina e rafforza quelli che entrano in relazione con lui. Il profeta viene chiamato, è consacrato, a dare testimonianza di ciò in mezzo a un popolo chiuso. Le somiglianze sono facili da cogliere, a volte ci sembra di essere nella stessa situazione e che il mondo si sia bloccato, dentro e fuori dalla Chiesa: tante monadi, ogniuno chiuso nel suo guscio, ognuno a leccarsi le proprie ferite. E il rischio è anche i consacrati vedano così il mondo: rintanarsi sembra la soluzione migliore. Non per la vita dei consacrati – ha sottolineato don Salvatore - perché la vita religiosa è nata in controtendenza rispetto a tutto quello che la stessa Chiesa si è manifestato nel corso della storia, nasce, sempre inserita nel battesimo, come risposta storica ad una crisi interna della comunità ecclesiale. La vita consacrata è profetica non solo rispetto a chi consideriamo ‘lontano’ ma prima di tutto per la Chiesa: è una profezia prima di tutto ad intra per richiamare alla responsabilità della missione battesimale».
Il mondo non è in debito con chi sceglie la vita consacrata
Scegliere la vita consacrata, ha continuato il biblista Salvatore, «non significa dirsi migliore degli altri ma vivere il battesimo con la coscienza di essere quello che anche gli altri sono chiamati a comprendere e riscoprire. Pensiamo alla castità: se è motivata dall’esterno come fa a esprimersi come segno profetico, a essere generativa, feconda. Può essere solo l’eros spirituale a rendere il legame tra consacrato e Dio forza portante della propria vita. A volte sembra che il voto di castità ci ponga in credito per il mondo, come se avessimo diritto a un risarcimento perpetuo, un rammarico. I giovani che accettano di camminare da consacrati devono essere consapevoli di “scommettere” sul Regno di Dio accettandone il rischio con consapevolezza ma accettandolo in una logica di libertà, facendo cogliere di essere per qualcuno che è il reale e il virtuale della nostra vita».
Anche i principi della povertà e dell’obbedienza, ha aggiunto don Emilio Salvatore, possono essere testimoniati attraverso uno stile di vita che «alimenti la libertà dalla preoccupazione per se stessi, la propria carriera, per la propria immagine. Spesso nei nostri luoghi ci sono tensioni, difficoltà tra generazioni e anche di relazione con chi viene da altri paesi. Questi non sono i problemi, questi sono i luoghi nei quali emerge la carica profetica. Povertà e obbedienza è mettere Dio al primo posto. La vita consacrata è profetica perché rovescia i parametri della logica del mondo. Ecco perché è un laboratorio della speranza. Perché è qui che si può sperimentare e proporre quanto anche per la comunità cristiana può apparire come modello».
È il tempo di aprirsi al cambiamento: Cristo è l’ancora al Regno di Dio
La vita consacrata, la vita religiosa è nata per il bene delle comunità. La crisi che la vita religiosa sta attraversando va affrontato in questa logica «accettando anche che sia un altro carisma a portare avanti la testimonianza», ha concluso don Emilio Salvatore, invitando a guardare a Geremia che «sa che il suo popolo non lo amerà, soprattutto quando porterà parole dure. Ma Geremia sa anche che Dio veglia, come un mandorlo, perché si realizzi il suo progetto. Ecco perché il progetto della vita consacrata non sfiorirà ma subirà trasformazioni che sul tronco antico innestino nuovi virgulti, nuove modalità per altri frutti, rispondendo ad altre necessità del nostro tempo. Penso che una vita consacrata, capace di essere libera da tutte le preoccupazioni con uno spirito di comunioni e di avventura, aiuti a rinvigorire un contesto ecclesiale che si sta deprimendo. E non tanto per le difficoltà esterne, ma per la perdita del radicamento nel primato di Dio che porta sempre di più a sentirsi disancorati, privi di speranza. E la speranza viene dalla morte e risurrezione di Gesù, è lui l’ancora gettata in avanti verso il compimento del Regno che è già presente in mezzo a noi. Voi potete insegnare alla comunità ecclesiale cosa significhi vivere nel respiro più grande della Chiesa testimoniando la nostalgia del Regno, che ha percorsi sempre nuovi che lo Spirito suggerisce».