di Giuseppe Lubrino
Gli scritti sapienziali sono il frutto delle riflessioni filosofiche che si svilupparono all’interno della scuola pubblica in Israele dall’VIII-I secolo a.C.. In tale istituzione i “maestri” formavano i “giovani inesperti” alla sapienza. Essi impartivano loro la “disciplina” per educarli all’arte del saper vivere. Così come l’artigiano sa forgiare il vaso con la creta, il saggio sa decodificare gli enigmi della vita ed è in grado di destreggiarsi all’interno della complessità del reale. I sapienti biblici vogliono trasmettere ai loro discenti l’insegnamento che hanno appreso dalla loro esperienza di vita, le riflessioni che hanno maturato nell’osservare e contemplare le vicende della storia, la realtà, l’identità personale degli esseri umani. Il saggio é colui che ci sa fare nella vita, colui che ha “appreso” l’arte del vivere bene.
Il Siracide (Giosué figlio di Sirach), maestro di Gerusalemme, raccoglie le sue dispense scolastiche all’incirca verso il 180 a.C, dando vita così alla sua opera letteraria, il Libro del Siracide, appunto, allo scopo di “formare” ed “educare” i suoi allievi ad “esplorare” e “padroneggiare” la saggezza. Si legga questo detto riportato dal filosofo ebreo Martin Buber: «Voglio indicarvi il modo migliore per insegnare la Torah. Bisogna non sentire più affatto se stessi, non essere niente di più di un orecchio che ascolta ciò che il mondo della Torah dice in lui. Ma non appena si cominciano a sentire le proprie parole, si cessi».
Il Siracide è stato denominato dalla Tradizione “ecclesiastico” poiché nella Chiesa antica il libro era un testo molto letto e meditato durante le celebrazioni liturgiche. Ciò a causa della sua impronta marcatamente pedagogica-educativa e sapienziale per la vita. Tale opera si inserisce sulla lunga scia dei testi sapienziali di Proverbi e Sapienza poiché a differenza di Giobbe e Qohelet che costituiscono all’interno di questo corpus di scritti, delle voci fuori dal coro, il Siracide è strettamente ancorato alla tradizione di Israele.
L’uomo può conseguire la felicità e il successo nella vita solo ed esclusivamente se si lascia “guidare” dagli insegnamenti della Torah e si mantiene “fedele” alla tradizione dei padri. Le esperienze di fallimento pregresse che hanno cadenzato il vissuto del popolo di Israele, hanno fatto sì che, essi prendessero “coscienza” dell’importanza di preservare la propria identità culturale, di non contaminare le loro tradizioni, di “custodire” gli insegnamenti appresi e tramandati dai propri avi. Allo stesso tempo in questo periodo il popolo ebraico conosce anche la cultura greca e avviene con essa un confronto che produce tra i due popoli un’influenza reciproca.
L’opera del Siracide contiene un codice etico che vuole essere un manuale di formazione ed educazione per le giovani generazioni: per l’élite come giovani aspiranti a cariche governative o amministrative, sacerdoti o ministri del culto, insegnanti; esso però si rivolge anche a coloro che fanno parte di un ceto sociale più umile. Il Siracide si rivolge - prevalentemente- ai giovani, ai quali intende consegnare la sua esperienza di vita, i suoi insegnamenti allo scopo di “formarli” alla giustizia e alla fede in Dio, fonte inesauribile di saggezza e di successo nella vita.
«Figlio, se ti presenti per servire il Signore,prepàrati alla tentazione.[…]. Accetta quanto ti capita e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l'oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore» si legge nel capitolo secondo del Siracide (2,1.4-5). In tale brano é possibile cogliere - ad esempio - un aspetto molto interessante della cultura biblica: il dolore non viene più percepito come un “castigo” da parte della divinità, ma assume, invece, una funzione catartica e propedeutica alla felicità. Il dolore, la sofferenza, il male stesso del vivere vengono concepiti come delle “strade” di cui Dio si serve per “educare”, “formare” e “forgiare” al meglio la personalità dei suoi fedeli. Il “dolore” acquista, dunque, un valore pedagogico e funzionale alla crescita e alla maturazione nella vita e nella fede. In ciò, si può intercettare un chiaro indizio di quella che sarà poi la teologia relativa al mistero della passione di Cristo. Oltre ciò, comparando alcune tracce di questi scritti con la filosofia greca se ne può cogliere il legame. In tal senso, si pensa ai dialoghi di Socrate contenuti nel Fedone durante la sua prigionia. Platone fa dire al suo mentore che l’esperienza delle catene che gli ha procurato dolore è stata come una preparazione al piacere, al sollievo che ne è poi scaturito quando é stato liberato dal legaccio. Tale concezione di matrice greca é penetrata in maniera prorompente all’interno della visione biblica e il Siracide ne costituisce una prova inequivocabile in merito.
«Il cuore sapiente medita le parabole, un orecchio attento è quanto desidera il saggio», si legge ancora nel capitolo terzo (Siracide 3,29). Rilevare queste “tracce” di sapienza comuni alla cultura greca e al pensiero biblico è interessante al fine di comprendere la portata culturale della letteratura sacra e ciò può essere stimolante ai fini di un’attualizzazione della Parola di Dio nel contesto educativo odierno. Leggere la Bibbia, scrutare il senso delle Scritture è un’esperienza formativa utile per accrescere le proprie conoscenze, ampliare i propri orizzonti culturali, sviluppare e maturare la propria personalità.