Zuppi: «Siamo chiamati al futuro e ad evitare l'indietrismo»

Giubileo, Cammino sinodale e riforma della Cei alcuni dei temi affrontati ieri, in apertura dei lavori del Consiglio permanente, dal presidente della Conferenza episcopale italiana

È in corso a Roma il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, in programma fino a domani. Come di consueto, ad aprire i lavori, è stato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, che ha sottolineato la responsabilità del Consiglio permanente: «Siamo chiamati a guardare insieme al futuro. È il valore di questi nostri appuntamenti, esercizio di responsabilità che personalmente sento come luogo decisivo di confronto fraterno, pensoso, collegiale. A molti, davanti al futuro, viene da abbassare lo sguardo, perché si presentano situazioni difficili, anzi inestricabili, tra cui tutte le guerre, come in Ucraina e in Terra Santa, delle quali portiamo nel cuore il dramma e il gemito della nuova creazione che solo la pace può permettere. I nostri contemporanei scrutano inquieti il futuro e, senza speranza, si rifugiano facilmente nell’individualismo, non credono possibile un futuro migliore. Così abbassano lo sguardo per evitare di vedere. È un fenomeno di concentrazione su di sé e di estraniazione dai legami sociali. Un rischio è quello da cui sovente ci ha messo in guardia Papa Francesco: "State attenti all’indietrismo, che è la moda di oggi, che ci fa credere che tornando indietro si conserva l’umanesimo" (Saluto, 1° giugno 2022)».

Il «grazie» a papa Francesco, testimone dell'unità dei cattolici, garanzia di sinodalità

Il presidente Zuppi ha quindi rivolto parole di gratitudine al Santo Padre: le immagini e le parole dei suoi viaggi, ha detto, «sono il segno eloquente dell’impegno del Santo Padre a confermare nella fede i credenti di tutto il mondo. A lui siamo ancora una volta grati, perché testimonia quella cattolicità che è fatta da tutte le comunità cristiane sparse nei quattro angoli della terra: una unità che permette di aprirsi al dialogo con i fratelli di altre fedi e con tutti. Per questo l’unità, sempre dinamica e custode delle diversità, va continuamente difesa e amata, dono di Gesù, che ce l’affida. Solo l’unità ci rende forti ed è garanzia indispensabile di sinodalità. Solo nella comunione le differenze diventano una ricchezza, altrimenti si trasformano facilmente in modi autoreferenziali e sterili». 

Un'unità che viene anche dalla comune chiamata alla speranza: «Siamo chiamati al futuro. Non lo cerchiamo perché abbiamo accumulato garanzie sufficienti per il cammino o per la sicurezza che sarà senza problemi e fatiche. È sempre valido il monito di non prendere due tuniche, sapendo che non ci mancherà quanto ci servirà! Abramo si mette in cammino perché accoglie il Signore solo con un’indicazione e una promessa [...] Il cammino dell’Amico di Dio non è rettilineo. C’è sofferenza, racchiusa nella drammatica domanda che sgorga dal cuore di Abramo di fronte alla promessa di Dio ("la tua ricompensa sarà molto grande", Gn 15,1). Abramo guarda la sua realtà e non può non esclamare: "Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco" (Gn 15, 2). È la domanda di molti – penso anche ai nostri sacerdoti e a quanti hanno a cuore le nostre comunità – di fronte ai frutti del loro servizio e alle difficoltà quotidiane: "Un mio domestico sarà mio erede" (Gn 15,3). Cioè la fatica a generare figli, che vuol dire futuro. La risposta di Dio ad Abramo angosciato, pur partito fiducioso e dopo aver tanto camminato, è la proposta di una visione: "«Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle […] Tale sarà la tua discendenza"». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia" (Gn 15,5-6). È il dono di una visione del futuro di un popolo numeroso come le stelle del cielo. La visione non si riduce a un percorso o a un manifesto, ma anima il cammino da iniziare ed è la ragione del programma che deve realizzarla. È quanto testimoniano i martiri: nonostante la violenza contro di loro, vedono con gli occhi della fede il futuro nel presente. Stefano, primo martire, "vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti»" (At 7,55- 56)», ha aggiunto il cardinale Zuppi. 

Anche il Giubileo, ha ricordato ancora il presidente della Cei, «ci chiama alla speranza che nasce dall’amore di Cristo [..] Si può guardare al futuro con speranza perché la Chiesa è una comunità, nonostante le nostre fragilità e contraddizioni: famiglia in un mondo in cui la solitudine è lo stato esistenziale dell’uomo. C’è una grande responsabilità nel vivere la fraternità cristiana in un mondo di isolati, che vive una crisi di relazioni, per cui il singolo non sa vedere un futuro per sé, perché il futuro non lo si vede da soli, ma insieme».

Il Cammino sinodale e la riforma della Cei

Quindi, l'arcivescovo di Bologna, ha richiamato il Cammino sinodale -  giunto alla “fase profetica” che prevede, dal 15 al 17 novembre, la celebrazione della prima Assemblea sinodale nazionale - mentre a livello universale si avvicina la seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre).

«Lo scorso 6 settembre ho partecipato alla riunione della Presidenza del Comitato del Cammino sinodale, che stava lavorando sulla bozza dei Lineamenti. Lì ho riscontrato in piccolo quello che ho colto in questi anni a vari livelli e in vari ambiti: tanti uomini e donne stanno mettendo cuore e mente per realizzare il sogno di una Chiesa sinodale e missionaria e, quindi, più accogliente, aperta, snella, capace di camminare con le persone, umile. Quante attese, a volte segnate da una certa disillusione, ma in realtà fiduciose dei cambiamenti necessari per una Chiesa che, nella Babele del mondo, parli il linguaggio dell’amore e annunci la speranza di Cristo. Vedo persone che stanno dando molto e che molto si aspettano da noi: non possiamo deluderle! Il Cammino sinodale è una straordinaria opportunità per le nostre Chiese, che non dobbiamo perdere, a partire da noi Pastori. Di certo, non mancano i problemi. Ma ne eravamo consapevoli sin dall’inizio. Non solo perché sapevamo che camminare insieme è più difficile che andare ciascuno per la propria strada. Sapevamo anche che ci saremmo trovati di fronte a qualcosa di inedito: alcune prassi e regole ecclesiali non si adattano più alla realtà e vanno per questo riscritte. [...] Se è la speranza a guidarci e non la sfiducia o il disincanto, allora potremo affrontare anche le questioni ecclesiali più delicate e nuove con coraggio e intelligenza. Tra queste – non possiamo nasconderlo – c’è il tema dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa che richiede per tutti la decisione, sempre rinnovata, di servire, di donare sé stessi. A livello di Sinodo universale, questo tema assume i contorni del primato petrino (cfr. Instrumentum laboris per la seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 100-108), ma non solo: i delegati del Sinodo si stanno confrontando apertamente infatti anche su temi più rilevanti per noi come la trasparenza, il rendiconto, la valutazione esterna nei processi decisionali (cfr. Ivi, nn. 67-79)», ha detto l'arcivescovo di Bologna, aggiungendo che a «livello del nostro Cammino sinodale si pone la questione dell’esercizio del ministero di guida del Vescovo in Diocesi, come anche del ruolo della Cei nei confronti delle Chiese locali. Abbiamo bisogno di concretizzare in termini pastorali e anche giuridici le riflessioni che riguardano ad esempio il binomio “consultivo-deliberativo”, chiarendo la necessità di un discernimento comunitario maturo per preparare le scelte più delicate che competono ai Vescovi. È questo anche il tempo di essere propositivi e concreti nell’impostare la riforma della Cei, che ha celebrato il 60° anniversario della prima riunione di tutti i Vescovi residenziali d’Italia (14-16 aprile 1964) ma anche i 70 anni dalla promulgazione del primo Statuto (provvisorio), considerato l’atto di nascita della Conferenza Episcopale (1° agosto 1954). Tutti noi Vescovi sentiamo l’esigenza che la Cei divenga uno strumento ancora più adeguato a servire le nostre Diocesi, anche raccogliendo l’invito di Papa Francesco che sia uno strumento agile ed efficace, soggetto di comunione e che aiuti la Chiesa a rispondere adeguatamente alle attese così profonde della nostra gente e del mondo».

Il cardinale Matteo Zuppi (Foto: Siciliani-Gennari/Cei)

L'impegno per la promozione del bene dell'uomo e del bene comune

Non è mancato uno sguardo all'Europa: «Mentre si affrontano i problemi contingenti, mi piacerebbe che si aprisse una discussione più ampia: una “Camaldoli per l’Europa” per parlare di democrazia ed Europa. Potrebbe essere anche l’occasione per riflettere sul contributo che oggi può provenire dai cattolici in primis, come anche dai cristiani di tutte le Confessioni, dai credenti delle diverse Comunità religiose oggi presenti in Europa, dagli umanisti che hanno a cuore la cultura del nostro Continente, per uno sviluppo di una coscienza comune, che allarghi i confini dei cuori e delle menti e non ceda al nichilismo della persona, con tutte le conseguenze che questo comporta, e a sovranismi egoistici. Un’Europa nel segno della “Fratelli tutti”, coesa e solidale al suo interno e aperta al mondo», ha sottolineato il cardinale Zuppi richiamando anche la strordinaria esperienza della Settimana sociale di Trieste: «A Trieste abbiamo dedicato molto tempo al confronto nei “Tavoli della democrazia”, abbiamo vissuto la città mettendo in rilievo le buone pratiche e abbiamo animato le piazze con i dibattiti aperti a tutti: non abbiamo semplicemente parlato di partecipazione democratica, ma l’abbiamo realizzata concretamente. Da questi “Tavoli della democrazia” è emersa la richiesta pressante di un maggiore protagonismo dei giovani per il rinnovamento dello stile nell’impegno sociale e politico. Ci auguriamo di raccogliere i frutti di questo lavoro, soprattutto nella formazione delle coscienze alla partecipazione democratica del nostro Paese. Non dobbiamo disperdere energie e idee. Sappiamo che, quando la Chiesa non si chiude in sé stessa, ma abita i territori, costruisce reti e favorisce quella conversione al bene comune, che ha ricadute positive su tutti. Davvero la Dottrina sociale è un patrimonio che consente a tutti, in particolare ai laici cattolici, di avere un faro per una navigazione sicura nel mare della vita sociale a volte così burrascoso».

Urgenza educatica e servizio ai poveri

Il presidente Zuppi ha quindi ribadito l'impegno della Chiesa per l'urgenza educativa: «Come Chiesa ci sentiamo pienamente coinvolti e non smetteremo di mantenere alta l’attenzione, perché sono in gioco le persone, la loro realizzazione, la possibilità di vivere l’esistenza in pienezza. Nell’incontro con il Signore e camminando accanto a loro, siamo chiamati ad accompagnare le giovani generazioni in un percorso di riconciliazione con il proprio sé, di conoscenza e apprezzamento delle risorse personali, di appartenenza ad un gruppo, ad una persona. Sono necessari luoghi, fisici e non virtuali, in cui tornare a fare esperienza di gratuità e libertà personale e comunitaria. Penso, in modo particolare, al prezioso servizio degli Oratori, del dopo-scuola e di tante altre attività formative, che conservano intatta la loro attualità e chiedono un rilancio di progettualità e creatività». «Nei percorsi educativi delle nostre comunità e istituzioni il tratto distintivo deve essere la familiarità e il servizio ai poveri - ha aggiunto - Senza fare catechesi a nessuno, sono loro infatti a introdurre alle profondità della fede e dell’incontro con Gesù. Le nostre opere, iniziative, istituzioni, le nostre imprese in favore degli emarginati sono importanti. Ma tutte dovrebbero verificarsi nel confronto evangelico con la realtà del povero, dando valore al contatto personale con la sua persona. I poveri sono i fratelli più piccoli di Gesù, ma anche i nostri fratelli, i fratelli dei cristiani, segno eloquente della presenza del Signore. Il povero non può diventare numero, oggetto, caso sociale per noi. Almeno non solo questo! La sinodalità non può non riguardare i poveri e i loro bisogni, perché i nostri servizi sono alla luce della fraternità cristiana che è prima di tutto apertura a quanti sono amati dal Signore, pur essendo ultimi».

Consiglio permanente Cei: l'introduzione del cardinale Matteo Zuppi






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