Quella maestosità che ispira saggezza

La giornata mondiale dell’elefante, celebrata ieri, è stata spunto per la riflessione della storica dell'arte, Luisa Panagrosso, sul significato che questo poderoso animale ha assunto nell'immaginario sociale.

di Luisa Panagrosso*

Istituita nel 2012 per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sopravvivenza degli elefanti, sempre più minacciati dal bracconaggio e dalla perdita del proprio habitat, la giornata mondiale dedicata a questi mammiferi, celebrata ieri, è stata spunto di riflessione sul significato che questo poderoso animale ha assunto nell'immaginario sociale.

Si dice “memoria da elefante” per indicare la capacità di archiviare una grande quantità di ricordi e informazioni, “elefante in un negozio porcellane” in riferimento a chi non è particolarmente leggiadro. Ma al di là dei detti popolari, c’è una molteplicità di significati attribuiti nel corso dei secoli a questo straordinario animale, tra sacro e profano.

Già nelle caverne gli uomini rappresentavano gli antenati degli elefanti, i mammut, che destavano impressione per la loro mole; per la stessa ragione divennero il colpo di teatro delle imprese belliche di Pirro e Annibale, fino a essere utilizzati come elefanti da guerra, con tanto di piccola torre sul dorso per agevolare la cavalcata, come si nota nella statuina conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Fu nel Medioevo che a questo poderoso animale furono attribuiti significati che andavano ben oltre le caratteristiche fisiche. Infatti oltre a stupire gli avversari per la sua possanza, questo animale ad un certo punto divenne uno stravagante oggetto del desiderio: è il caso di Carlo Magno e del suo elefante Abul Abbas. Le cronache dell’epoca raccontano dell’arrivo di un rarissimo esemplare di elefante albino dall’Asia come dono per il novello imperatore da parte del califfo di Baghdad.

Dopo un viaggio di circa cinque anni l’animale giunse ad Aquisgrana nell’802 esaudendo così la singolare richiesta di Carlo Magno: non si trattava solo di una stramberia, ma di una consapevole ostentazione dell’attributo di regalità associato all’elefante.

Ne era altrettanto a conoscenza Federico II di Svevia che nel serraglio di animali esotici che lo accompagnava durante le parate aveva voluto anche degli elefanti. Nel caso dell’imperatore svevo il valore simbolico dell’animale era determinante per sottolineare la sua posizione politica e religiosa.

Nel Medioevo l’elefante era considerato come un animale obbediente e pio nonché caratterizzato da una naturale pudicizia. Questa lettura in chiave simbolica dell’animale si diffonde a partire da libri come il Fisiologo, un’opera risalente al sec. II-III d.C. e molto apprezzata al tempo. «Esiste nei monti un animale detto elefante. In questo animale non c’è brama di congiungimento carnale: quando vuol generare dei figli, si reca in oriente, vicino al paradiso. Ivi si trova un albero detto mandragora: vi vanno dunque la femmina e il maschio, e la femmina coglie per prima il frutto dell’albero, e ne porge anche al maschio e lo alletta, finché anche questi ne prenda, e dopo aver mangiato, il maschio si avvicina alla femmina e si congiunge con essa, ed essa subito concepisce nel ventre». Da questa descrizione è evidente non solo l’aspetto della pudicizia riconosciuta all’elefante, ma anche il riferimento biblico ad Adamo e Eva.

Ed ecco che, proprio nel Medioevo, l’elefante, insieme con il leone, compare sulle facciate delle chiese come elemento scultoreo o all’interno di esse come stiloforo, oppure decora eleganti capitelli come nel caso del Chiostro di Santa Sofia a Benevento, dove si trova la cosiddetta “cavalcata degli elefanti”, da cui il l’omonimo maestro. Tra il ciclo dei mesi e le lotte tra animali più o meno fantastici trova spazio anche la rappresentazioni di elefanti montanti da uomini che indossano i berretti frigi, tipici del mondo mediorientale, che decorano uno dei pulvini del meraviglioso chiostro.

Anche l’uomo più curioso del Rinascimento, Leonardo da Vinci, restò affascinato da questi straordinari animali e nel suo bestiario sottolinea, oltre alle già note virtù, la bonarietà e la saggezza del leofante.

L’elefante entra infine nel presepe napoletano settecentesco, e anche in questo caso c’è di mezzo il potere regio. Nel Museo di Capodimonte a Napoli nella ricca sezione dedicata al presepe napoletano trovano spazio, tra le altre, statuine che rappresentano animali esotici, testimonianza degli angoli del Mondo giunti a rendere omaggio al Bambino. Tra questi un elefante ispirato all’esemplare in carne ed ossa giunto a Napoli nel 1742 come dono per Carlo III. Anche in questo caso, come per gli altri esempi citati, l’arrivo dell’animale a corte destò non poco stupore, e l’elefante, che era sistemato presso la Reggia di Portici, suo malgrado, divenne protagonista di parate, finanche al Teatro San Carlo in occasione dell’opera di Metastasio “Alessandro delle Indie”.

Animali saggi, pudichi, pii e soprattutto pazienti questi elefanti!

*storica dell'arte e guida turistica





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