Fotografia, l'arte figlia della luce nata per squarciare il buio del presente

In occasione della Giornata mondiale della fotografia, la riflessione della docente di storia dell'arte, Antonella Iovino, appassionata di fotografia

di Antonella Iovino*

Daniel Barenboim diceva: «Ogni grande opera d'arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l'eternità».

Ciò per spiegare come ogni epoca sia stata in grado di raccontare sé stessa attraverso narrazioni che hanno dato vita a ritratti spesso diametralmente opposti, perché non sempre ciò che un'epoca ha voluto raccontare a sé stessa è equivalso a quello che desiderava tramandare. È solo immergendosi nella lettura delle grandi opere d'arte, indagandole e cercando di scorgere in esse quanto gli artisti hanno voluto celare o tramandare che si può conoscere la reale essenza di un tempo, la sua identità, la sua verità. Perché la verità è un concetto labile; spesso ha più volti e non la si può cogliere fermandosi alla superficie. Per trovare la verità occorre guardare con occhi nuovi, cercare nuovi punti di vista, nuove prospettive. Occorre pazienza e coraggio per rompere coi dogmi del passato ritenuti assoluti. E l'arte, tra tutte le attività umane, è stata da sempre quella che maggiormente ha spinto l'uomo a porsi delle domande, a svelare l'ambivalente natura delle cose mostrandone luci e ombre, a creare disequilibri indispensabili a raggiungere nuovi ordini, a dare una forma a desideri irraccontabili, emozioni e concetti inesprimibili attraverso le sole parole. Da sempre, dunque, come un dio benevolo, l'arte ha concesso all'uomo il duplice dono di narrare, nei più disparati modi, le più svariate verità, o di celarle con abile maestria, fornendo alle menzogne volti accattivanti e desiderabili, spesso più reali del reale.

Oggettività e creatività, due facce di una stessa medaglia, due modalità di narrazione che hanno diviso artisti di ogni spazio e tempo, logorati dalla ricerca di un loro personale e riconoscibile racconto, che fosse in grado di impressionare, emozionare. Cosa emoziona, cosa colpisce di più? Il racconto minuzioso della realtà o quello tanto menzognero quanto meraviglioso di ciò che non esiste? Se è vero che trovare una risposta univoca è impossibile, è altrettanto vero che la realtà, con le sue bizzarrie e le sue stravaganze, spesso è riuscita a superare di gran lunga la fantasia catalizzando su di sé l'attenzione.

Sarà stato probabilmente l'amore per la realtà intrisa di contraddizioni e meraviglie e il profondo desiderio di imitarla che ha fatto sì che si giungesse il 19 agosto 1839 alla nascita della fotografia. Forma d'espressione che meglio ha incarnato lo spirito di verità, ricerca e rivoluzione del XIX secolo, la fotografia ha avuto un cammino lungo e tortuoso che ha visto susseguirsi nomi, esperimenti, intuizioni geniali. E poi ancora errori e profonde riflessioni, perché la meraviglia è si figlia del tempo, ma anche del modo in cui si reagisce ai fallimenti. Forma d'arte completamente diversa dalle precedenti, la fotografia ha avuto il coraggio di rivoluzionare il concetto di arte e artista. Non più le mani dell'artista il fulcro dell'opera d'arte, non più la sua mente, ma il suo occhio e la sua capacità di scovare e selezionare nel mondo frammenti di bellezza, manifesta o nascosta, perché non c'è forma del creato che non abbia in sé qualcosa che valga la pena raccontare. Un invito ad aprire gli occhi, ad amare il filo d'erba, la nuvola di passaggio, la ruga impressa sul volto, l'uscio che oltrepassato conduce a casa. La fotografia come atto d'amore del presente, ma anche monito e testamento per il futuro.

Un'arte che ha saputo nutrirsi di pazienza, riflessione e lunghissimi tempi di elaborazione. Un'arte figlia della luce che libera le forme dal buio rendendole vive.

Sono trascorsi ben 185 anni dalla nascita della fotografia, anni in cui tutto è cambiato. È cambiato il mondo, è cambiato il modo di leggere la realtà, di percepire il tempo inteso non più come prezioso maestro, ma nemico da temere e allontanare. Sono cambiati i corpi macchina, sempre più piccoli e leggeri, le modalità di stampa, i soggetti da fotografare. Tutto è diventato veloce. L'osservazione, la selezione, lo scatto. Tutto è diventato orizzontale. Scattare la foto a un tramonto è diventato indispensabile come scattare la foto ad un cappuccino al bar, a uno sconosciuto incrociato per strada che ha bisogno di aiuto. Perché l'altro va si aiutato, ma solo dopo aver raccolto le prove che possano testimoniare l'accaduto. Tutto va immortalato, subito. Poi va modificato, stravolto e raccontato affinché si creda che la verità sia quella racchiusa in quel singolo e ben costruito frammento d'immagine.

Daniel Barenboim si sbagliava. Non solo le grandi opere d'arte ma anche quelle piccole e insignificanti del nostro tempo hanno due facce. Perché nonostante le nostre fotografie si ostinino a voler raccontare un mondo perfetto in cui l'errore non è contemplato, così come non lo è la vecchiaia, la bruttezza e la diversità, all'eternità stiamo consegnando il ritratto di un'epoca piatta, ingannevole, spaventata dal dissimile e dalla vecchiaia fatta di volti simili a maschere su cui il tempo non ha lasciato alcun segno. Ma è davvero questa la bellezza?

* docente di storia dell'arte e appassionata di fotografia 

Giornata mondiale della fotografia

La Giornata mondiale della fotografia è stata istituita nel 2010 su inizitiva del fotografo Korske Ara. Fu infatti il 19 agosto 1839 che l'invenzine della nuova tecnica di riproduzione d'immagini venne presentata all'Accademia delle Scienze e delle Arti visive di Parigi: si trattava del procedimento fotografico messo a punto dal pittore e fisico, Louis-Jacques-Mandé Daguerre, e per questo chiamato "dagherrotipia".

In realtà, Daguerre riuscì a portare a buon fine i suoi studi grazie all'apporto dell'inventore Joseph Nicéphore Niépce, con cui intrattennne una fitta corrispondenza. Niépce riuscì per primo, nel 1826, a riprodurre su una lastra di stagno un'immagine: una vista sui tetti a Le Gras, in Borgogna. Quando la tecnica, perfezionata da Daguerre, fu presentata nel 1839, Niépce era però già morto da anni. 




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