Edith Stein e il filo rosso dell’empatia

Il seminarista nolano, Francesco Pacia, riflette su alcuni aspetti della coraggiosa vita della filosofa che visse la sua ricerca come esperienza esistenziale e spirituale oltre che intellettuale. Ebrea, si convertì al crisianesimo e si consacrò come monaca Carmelitana, assumendo il nome di Benedetta della Croce. Martire ad Auschwitz, è stata canonizzata nel 1998.

di Francesco Pacia*

Di fronte a una vicenda quale quella di Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce) c’è da rimanere davvero a corto di parole. La sua intensa vita, la sua altissima esperienza umana e spirituale, il suo alto profilo intellettuale, rappresentano qualcosa di unico nel panorama europeo della prima metà del Novecento.

Del resto unica fu anche la sua vita, sbocciata al sole di questa terra nel segno delloYom Kippur, il giorno ebraico dell’espiazione, il 12 ottobre 1891, a Breslavia, e sbocciata al sole dell’eternità, nel segno della Croce e del Carmelo, all’alba del 9 agosto 1942, in una camera a gas ad Auschwitz, diventata per la settima stanza teresiana.

Ebrea, poi atea, infine cristiana e carmelitana, l’ultimogenita della famiglia Stein, allieva di Husserl, visse in tutta la sua drammaticità l’odissea intellettuale europea del primo Novecento approdando, non diversamente da altri intellettuali dalla fede forse troppo borghese (del giudaismo, nel suo caso), all’ateismo convinto, ma non scettico o nichilistico, per poi risolverne il dramma – per il tramite dell’apertura coinvolgente della fenomenologia, sulle tracce di Teresa d’Avila e nei sentieri di un’interiorità riconosciuta come abitata – con l’approdo alla fede cristiana, a Cristo e questi Crocifisso: unica risposta sensata alla ricerca e al dolore dell’uomo.

La sua ricerca intellettuale incrociò la metafisica di Heidegger e la fenomenologia di Husserl, la germanistica con i suoi tesori letterari e la psicologia. Da giovane studiosa e filosofa alle prime armi, si concentrò sul problema dell’empatia, filo rosso che avrebbe segnato tutta la sua vita, fino all’approdo metafisico di Essere e tempo, e della fede, quasi percorrendo – esistenzialmente e spiritualmente, non solo intellettualmente – in direzione complementare a quella scolastica, il cammino dall’io a Dio, dall’umano al divino, fondamento e principio.

Empatia, accesso non originario all’originario dell’altro; empatia, attraverso i cui atti si costituisce in noi l’altra persona, riconoscendone il mistero e salvandone l’irriducibilità. Empatia, filo rosso che tenne socchiusa in Edith la porta del mistero, mantenne la serietà e l’onestà di una ricerca, salvaguardò il dono dell’altro, perché ci sono persone – come affermò ne La struttura della persona umana – che risucchiano gli altri e persone che danno energia e luce agli altri.

Edith fu una di queste. Lo fece con lo studio e l’insegnamento – da intellettuale sentiva tutta la responsabilità del grado raggiunto, segno per gli altri e non di distinzione individuale (cf. Edith Stein, Gli intellettuali, 1930); lo fece con la sua scelta di fede che culminò nella consacrazione verginale tra le carmelitane di Colonia, per mattinare lo Sposo (cf. Dante, Paradiso 10, 141) e, vegliando e dormendo con Lui, ch’ogne voto accetta / che caritate a suo piacer conforma (cf. Dante, Paradiso 3, 101-102), conformarsi così a Lui fino al martirio, sopraggiunto in un campo di concentramento una domenica di agosto.

Martirio scelto per amore del suo popolo mai rigettato. Martirio scelto per partecipare alla Passione di Cristo, perché come diceva non è l’attività umana che ci può salvare, ma solo la Passione di Cristo: parteciparvi, questa la mia aspirazione più grande. E così nel suo martirio, in una camera a gas trasformata dalla Pasqua in talamo nuziale, Edith diede carne alle sue parole, alla sua ricerca intellettuale, testimoniò la coerenza di tutta una vita, di pagine lette e scritte, pregate e vissute. Testimoniò la verità di quel sigillo che scelse nel suo nome di religione: benedicta a Cruce, cioè benedetta dalla croce, benedetta cioè da Colui che con un atto di amore unico e infinito diede carne e sangue a tutte le sue parole, a tutte le parole di Dio, le dimostrò vere, sensate, salvifiche; benedetta dalla Croce, perché solo dalla Croce, dall’umano amato e salvato dal divino, scaturisce una vita benedetta.

La Pasqua, che sorse su e in Edith il giorno del 9 agosto del 1942, continua a splendere sul nostro continente. Beatificata nel 1987, canonizzata nel 1998, dal 1 ottobre 1999 è compatrona di questa nostra Europa, patria da sempre di scienza e cultura, luogo di frontiera, di scontri e incontro, inquieta troppe volte, bramosa di verità eppure relativista, sospesa tra uomo e Dio, a volte negato, a volte bestemmiato, a volte riconosciuto e benedetto.


* seminarista




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