di Giuseppe Lubrino
Gianfranco Ravasi noto biblista afferma che la “sapienza” nella Bibbia ha due significati fondamentali: accrescere la conoscenza e assaporare il “gusto” delle cose. Quest’ultima accezione risulta più appropriata per approfondire il corpus degli Scritti sapienziali dell’Antico Testamento. Acquisire il “gusto” delle cose, saggiarne il “sapore” significa imparare a conoscere, guardare, comprendere, interpretare, penetrare la realtà. La Bibbia è funzionale a tele scopo e a partire da questo presupposto che si tenterà di mettere in luce la sua perenne attualità.
Il libro del Qohelet (Colui che raduna un’assemblea) anche noto come l’Ecclesiaste è tra i testi più enigmatici e controversi della Sacra Scrittura. La Tradizione aveva attribuito questo scritto al re Salomone personaggio emblematico dei testi sapienziali. Tale paternità letteraria è da considerarsi inverosimile poiché si tratta di un evidente caso di pseudepigrafia pratica molto diffusa nell’antichità e all’interno dei testi biblici. L’opera del Qohelet è stata redatta con molta probabilità nel III secolo a.C., da un saggio, anziano, filosofo itinerante. In tale periodo la cultura greca si incontra con il pensiero biblico e ciò costituisce uno snodo cruciale dello sviluppo della civiltà. Si ritiene, inoltre, che l’autore abbia vissuto una profonda crisi interiore dovuta all’insostenibilità dei presupposti teologici della retribuzione terrena. Ciononostante egli dà vita a questo poema, che è tra i più affascinanti della storia della letteratura mondiale. Risulta emblematica la dichiarazione che la nota poetessa polacca, Wisława Szymborska, rilasciò durante la cerimonia di ricevimento del premio Nobel per la letteratura:
«Mi capita di sognare situazioni irrealizzabili. Nella mia temerarietà immagino per esempio di avere l’occasione di conversare con l’Ecclesiaste, autore di un lamento quanto mai profondo sulla vanità di ogni agire umano. Mi inchinerei profondamente avanti a lui, perché si tratta – almeno per me – di uno dei massimi poeti».
Qohelet, al pari di Giobbe, prende le distanze dalla teologia della retribuzione secondo cui “Dio premia i giusti e punisce i malvagi” (cf. Dt 28,1-46). Egli scrutando la realtà con discernimento e spirito critico giunge alla conclusione che tale assioma non è più sostenibile poiché viene puntualmente smentito dalla evidenza dell’esperienza quotidiana. Pertanto, si chiede perché l’uomo giusto e integro è soggetto ugualmente – alla pari dell’empio – a sperimentare la sofferenza, il dolore e la morte. A partire da tali acquisizioni, con uno spiccato senso del realismo, rileva che tutto è “soffio” e “vanità”. Tra questi due concetti è possibile cogliere l’essenza del messaggio del Qohelet. Egli ha una concezione della storia ciclica e non lineare, è un attento “osservatore” dell’esperienza della vita.
Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.
Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.
Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta,
i fiumi riprendono la loro marcia. (Cf. Ql 1,4-7).
Qohelet propone ai suoi lettori di affrontare con “distacco” quasi ascetico le varie vicissitudini che, cadenzano come il ritmo delle stagioni, le varie fasi dell’esistenza umana “sotto il sole”. Tutto è soggetto alla caducità e alla dissoluzione. Tutto quanto esiste agli occhi del saggio filosofo nasce, si evolve e poi svanisce. Stando agli studi del teologo Piero Stefani, Qohelet propone agli esseri umani di ogni tempo di imparare ad apprendere il “giusto equilibrio” tra la dimensione verticale (spirituale) e la dimensione orizzontale (sociale) della vita. In medio stat virtus! Porsi in ascolto della Sacra Scrittura equivale ad intraprendere un vero e proprio percorso di “paideia” per la vita così da destreggiarsi abilmente tra i suoi molteplici naufragi. In tal senso, appare suggestiva l’affermazione di Kafka: «Una libro deve essere un'ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi».
L’invito di Qohelet è un’esortazione ad evitare gli eccessi e le estremizzazioni. Apprendere l’equilibrio significa evitare qualsiasi tipo di assolutismo e imparare ad abitare la complessità della vita con tutte le sue apparenti contraddizioni, accettando l’imprevisto e l’assurdo che, talvolta, essa riserva.
Porsi dinanzi alle pagine del Qohelet è come ammirare un dipinto del Caravaggio all’interno della quale se ne può cogliere la bellezza e la peculiarità solo captando la tecnica del chiaroscuro posta in risalto dal contrasto tra luci e ombre. L’armonia dei dettagli è costituita dall’insieme dei colori. Il leitmotiv del testo è costituito dal celebre motto: «Vanitas vanitatum, et omnia vanitas», Vanità delle vanità tutto è vanità (Cf. Ql 1,1).
Qohelet è un testo dalla struttura letteraria circolare e si alterna tra la prosa e la poesia. L’agiografo sacro attraverso delle acute riflessioni pone in evidenza che la precarietà è una condizione ineluttabile dell’esistenza. Egli detesta la banalità in tutte le sue forme ed è intento a porsi delle domande di senso. La cultura del suo tempo gli appare insufficiente per sviscerare a fondo il mistero della vita. Ricercare il senso, affaticarsi nel lavoro, prodigarsi in una qualsivoglia attività costituisce un inutile affanno. Tuttavia, nel comprendere e metabolizzare questa amara verità si può “imparare” ad apprezzare e dare maggior valore alle piccole gioie della vita.
Da quanto detto emerge chiaramente l’attualità e il valore educativo incomparabile di questo scritto biblico. Zygmunt Bauman (1925-2017) noto sociologo di fama mondiale ha il merito di aver definito l’attuale società “liquida” e con visione lungimirante ha teorizzato che le relazioni interpersonali si definiscono in termini di mercato e sembrano essere regolate dalla logica del consumismo, della convenienza e della precarietà. Sulla base di ciò, “riscoprire” l’attualità del Qohelet appare interessante dal momento che da un’attenta disamina del testo si può ricavare una solida esortazione a recuperare l’essenzialità della vita. Si legga quanto segue: «Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo» (cf. Ql 3,1ss).
L’importanza di fermarsi, “Respirare”, per recuperare la giusta dimensione del tempo. Oggi molti sono alla ricerca ossessiva compulsiva della felicità e poi basta un “soffio” perché tutto l’edificio sui cui si sono edificate le proprie fragili certezze crolla. Qohelet insegna a costruire un’identità personale definita e matura. Egli esorta a porre le basi della propria esistenza su dei fondamenti solidi: la vita è effimera, fugace e per quanto ci si sforza non là si potrà mai comprendere pienamente! “Il troppo storpia”! Recita un proverbio popolare. Tale massima, facilita il compito di decodificare il messaggio biblico. Il Qohelet al pari di altri testi biblici è stato ed è oggetto di ispirazione tra numerosi autori, poeti, pensatori, artisti tra cui – ricordiamo- Tolstoj, Pascal, Leopardi e tanti altri.