di Vincenzo Formisano
Probabilmente non poteva essere altrimenti: la canonizzazione di Pier Giorgio Frassati avverrà durante il Giubileo dei giovani che cade nel centenario della sua morte. Una canonizzazione attesa, che riempie di gioia e gratitudine tutta l’Azione cattolica e le tante persone che hanno avuto modo di incrociare la storia di questo torinese che ha vissuto la sua breve vita come un dono continuo.
Ma come inquadrare il valore e l’importanza della canonizzazione di Frassati al di là di una logica di “appartenenza”? Se proviamo a pensare al tempo storico in cui Pier Giorgio visse e al ceto sociale a cui apparteneva può sembrare che la sua vita abbia poco da dire ai giovani di oggi, a differenza di altre figure percepibili come più vicine e affini. Chiedersi cosa possa testimoniare un giovane vissuto agli inizi del secolo scorso, figlio dell’alta borghesia torinese, è davvero più che legittimo.
Sono convinto che il valore della vita di Pier Giorgio stia esattamente in questa dissonanza: la sua breve vita parla con forza alla vita di tutti noi, la sua testimonianza scavalca le pieghe della storia, perché è profondamente incarnata nell’ordinarietà e si basa sugli elementi essenziali della nostra fede. Non è questo il luogo in cui ripercorrere le tappe biografiche di Frassati, anche perché i suoi ventiquattro anni non sono segnati da eventi personali particolarmente eclatanti: la sua è stata una vita fatta di un’ordinarietà senza grossi stravolgimenti, ma solida, fatta di interiorità, generosità, relazioni belle e gioiose, entusiasmo, cura e sollecitudine verso il prossimo, missionarietà.
Quello che colpisce di questa ordinarietà semplice è che Pier Giorgio ha avuto la capacità di viverla facendosi dono continuo, generoso, costante, coinvolgendosi nella vita di chi incontrava - i poveri, soprattutto - e delle vicende storiche del Paese.
La sua profonda consapevolezza che ha senso vivere solo se in relazione con gli altri e l’Altro, altrimenti si “vivacchia”, mi pare essere il filo rosso che dà coerenza a tutto ciò che ha contraddistinto una vita che altrimenti appare difficilmente “inquadrabile”, quasi schizofrenica ma che invece non lo è. Un filo rosso che unisce il suo iscriversi alla Conferenza di san Vincenzo e al Partito Popolare; lo scegliere gli studi in ingegneria - portati avanti con fatica - per aiutare i minatori e il farsi espellere dal “Cesare Balbo” - circolo Fuci - per indisciplina per aver provato a sollevare l’atmosfera di una riunione noiosa che stava spegnendo l’entusiasmo degli amici che con fatica era riuscito a far partecipare; il suo fare a pugni coi fascisti e tenere nascosta la malattia nei giorni in cui la famiglia soffriva per il lutto della nonna; l’Eucarestia quotidiana e le uscite in montagna con la Compagnia dei Tipi Loschi; le incomprensioni con i suoi genitori e l’allegria travolgente.
Questo filo rosso è il motivo per cui Pier Giorgio parla a tutti noi ancora e soprattutto oggi. In un momento in cui si tende sempre più all’individualismo, all’autocentramento, al disimpegno, in cui il tempo è sempre troppo poco e quel poco che avanza non è destinabile alle esigenze degli altri la figura di Pier Giorgio ci dimostra che non solo è possibile scegliere un orizzonte di senso diverso, ma che si può farlo con gioia. Per questo Pier Giorgio ci provoca e probabilmente ci mette anche in crisi: è un Santo che ci mostra come mettere Dio e gli altri al centro sia sconvolgente per la nostra vita, non tanto per quello che facciamo, ma per il fuoco interiore che ci muove e dà un sapore diverso ai nostri giorni. Pier Giorgio, infatti, è stato ed è rimasto nella sua straordinarietà un giovane come tutti possono esserlo: aveva i suoi dubbi e le sue certezze, i suoi tormenti e i suoi slanci, le sue contraddizioni e la sua voglia di non accontentarsi di una vita insipida. Era un giovane “normale” - se così possiamo definirlo - in cui tutti possono riconoscersi e proprio per questo offre la testimonianza di una santità grande, ma alla portata di ognuno perché come ha scritto Karl Rahner: :«Frassati è un cristiano, lo è semplicemente, [...] in maniera assolutamente spontanea, come se ciò fosse una cosa spontanea per tutti. Egli trae la forza e il coraggio di essere qual è non dall’opposizione alla generazione dei genitori, non da una diagnosi o da una prognosi della cultura di allora, o da cose simili, bensì dalla realtà cristiana: che Dio c’è, che ciò che ci sostiene è la preghiera, che il sacramento nutre l’eterno nell’uomo, che tutti gli uomini sono fratelli».