di mons. Francesco Iannone
Un anno fa, in occasione della celebrazione dell’Immacolata Concezione in cattedrale a Nola, raccontammo su questa pagina la difesa che del dogma mariano fece il beato Giovanni Duns Scoto all’Università di Parigi, suggestionati da quello che ci parve un “incrocio di sguardi” tra la statua della Madonna e l’immagine del Beato venerata in Duomo. E ci ripromettemmo di soffermarci su questo singolare rapporto che la nostra Diocesi intrattiene da circa otto secoli con il beato Giovanni (come viene affettuosamente chiamato dai suoi devoti), testimoniato, oltre che dall’altare in cattedrale, da statue e dipinti disseminati in varie nostre parrocchie e dalla solenne annuale celebrazione della Sua memoria il prossimo 8 novembre.
Come è arrivato a Nola Duns Scoto (Duns, Scozia, 1265/66 – Colonia, 8 novembre 1308), Lui che non ha mai messo piede in Italia? Come ha fatto la Sua dottrina a radicarsi nel comune sentire del nostro popolo, ispirandone la profonda devozione all’Immacolata ben sei secoli prima della definizione dogmatica da parte di Pio IX nel 1854?
Dobbiamo chiederlo a un nobile napoletano divenuto francescano e alunno di Scoto a Parigi, Landolfo Caracciolo. Rientrato a Napoli e divenuto prima Vescovo di Castellammare (1327) e poi di Amalfi (1331), fu entusiasta e convinto divulgatore del pensiero del suo Maestro. Il suo Commentarium in duos Libros Sententiarum secundum doctrinam Scotiispirò tanti centri di cultura scotista nei conventi napoletani che culminarono nella fondazione dello Studio generale di Napoli nel 1379. Addirittura nell’Università partenopea fu eretta una Cattedra scotista che ha avuto vita fiorente fino al 1879.
Da Napoli a Nola il passo fu breve. Tanti frati formatisi nel capoluogo campano e divenuti eminenti studiosi non tardarono a farsi animatori, ad mentem Scoti, della vita religiosa e culturale della città nel convento nolano di S. Angelo (che divenne Studio Generale dell’Ordine), diffondendo in particolare la devozione all’Immacolata e la fama di santità e il culto di Scoto. Da padre Bonaventura Passeri da Nola al Teologo fondato p. Angelo Visciola da Nola, i secoli XIV e XVI furono attraversati da una “corrente scotista” che fecero di Nola e della Diocesi il centro propulsore della venerazione per il Teologo dell’Immacolata.
Fin dal 1522, infatti, sull’altare dell’Immacolata nella chiesa di Lauro, viene raffigurata l’immagine di Scoto con l’aureola dei santi. Nello stesso anno, una immagine identica viene posta nella chiesa parrocchiale di Liveri, con l’iscrizione: Beatus Joannes Scotus. Dopo l’immagine di Napoli del 1482, queste due immagini sono una chiara testimonianza di un “devoto scambio” tra il capoluogo e l’entroterra campano. Da Liveri il culto passò a Somma Vesuviana, dove nel chiostro del locale convento Scoto è raffigurato con il titolo di Beato. È tra il 1625 e il 1630, però, che Duns Scoto avrà a Nola un devoto di eccezione, sant’Umile da Bisignano, che aveva posto la sua vita e il suo ministero proprio sotto la protezione del nostro Beato. Dal convento di Sant’Angelo egli percorse tutta la diocesi diffondendo il culto e l’amore al Difensore dell’Immacolata.
Non stupisce allora che fu proprio la Diocesi di Nola, nel 1710, la sede del primo, regolare processo canonico per il riconoscimento della santità del Dottore sottile, in virtù del culto antichissimo a Lui tributato appunto “ab immemorabili” nella nostra Chiesa. Il 12 aprile 1710 il vescovo di Nola Francesco Maria Carafa firmò il decreto che certificava il culto secolare a Scoto Beato. Due secoli dopo, l’8 febbraio 1906, un Piccolo Processo addizionale confermò il precedente, riaffermando la continuità ininterrotta in Diocesi del culto al Cavaliere dell’Immacolata. Ed è vanto della nostra Chiesa che è “Nolano e Coloniense” il Decreto di canonizzazione del 20 marzo 1993 con cui il papa san Giovanni Paolo II volle confermare il culto a Scoto.
Una lunga storia di amicizia dunque lega Scoto a Nola. D’altronde è questa la grazia e la gioia della comunione dei santi che unisce tutti i credenti in Cristo oltre lo spazio e il tempo. Come direbbe a ragione il nostro Paolino: «Non c’è da meravigliarsi se noi, pur lontani, siamo presenti l’uno all’altro e senza esserci conosciuti ci conosciamo, poiché siamo membra di un solo Corpo, abbiamo un unico Capo, siamo inondati di un’unica Grazia, viviviamo di un solo Pane, commaniamo su un’unica strada, abitiamo nella medesima casa» (Ep. 6, 2).