di Giuseppe Lubrino
Giobbe è uno dei personaggi biblici più noti, numerosi sono gli scrittori, i poeti, gli esegeti che hanno approfondito il suo “dramma”, hanno riflettuto sull’inestimabile ricchezza che il Libro di Giobbe - che insieme a Qoélet, Proverbi, Siracide e Sapienza forma il corpus sapienziale dell'Antico testamento - ha lasciato all’umanità di tutti i tempi.
È interessante rilevare quanto afferma in proposito il professore Vincenzo Arnone noto studioso del rapporto tra Bibbia e Letteratura: «Già san Girolamo diceva: "Spiegare Giobbe è come tentare di tenere nelle mani un’anguilla: più forte la si preme, più velocemente sfugge di mano", l’uomo provato e piegato nel dolore diviene artefice del proprio futuro, per chi non crede; trova invece immensa fiducia in Dio, per chi crede. Ma nell’uno e nell’altro caso, è l’uomo di sempre: Giobbe come homo patiens delle pagine di La leggenda del grande inquisitore di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, che vive l’esperienza del dolore e della ribellione, della fede e del grido rivolto contro Dio. Giobbe come homo patiens nei versi e nelle prose dello Zibaldone di Leopardi, nelle pagine di Le livre de Job, 1947, di Paul Claudel, nelle pagine di Giobbe di Joseph Roth, romanzo pubblicato nel 1930 e rimasto ancora uno dei più belli e commoventi del nostro tempo».
Come si può notare i riferimenti del mondo della letteratura al “dramma” del Giobbe biblico sono molteplici e abbondanti. Tali acquisizioni forniscono una prova “tangibile” di come Bibbia ha costituito e costituisce un punto di riferimento fondamentale per la storia e il progredire del pensiero umano. In tal senso, la definizione del libro di Giobbe che offre il noto scrittore Gustave Flaubert risulta emblematica: «È uno dei più bei libri che si siano scritti da quando se ne scrivono».
Allo stato attuale proporre una lettura in chiave esistenziale del racconto di Giobbe significa porsi di fronte al dramma di uomo che “apparentemente” era pienamente realizzato ma a cui mancava “qualcosa” per sentirsi completo, per poter dire di essere stato un uomo che aveva vissuto realmente e totalmente. A Giobbe mancava – probabilmente – l’esperienza del dolore dovuto alla perdita. Aveva bisogno di imparare a perdere per apprezzare appieno il senso della vittoria nella vita. In questo senso confrontarsi con il racconto biblico di Giobbe aiuta a trarre profonde e mature riflessioni per crescere ed evolvere, per apprendere ed acquisire competenze spendibili nella vita: imparare ad imparare, agire in modo autonomo e responsabile, ampliare i propri orizzonti sociali e civili.
A questo punto, appare notevole considerare gli apporti degli studi del noto psicologo tedesco Erik Erikson (1902-1994) il quale, nella sua teorizzazione delle otto fasi dell’età evolutiva definisce l’adolescenza (12-18 anni) come una stagione dell’esistenza caratterizzata – prevalentemente – dalla crisi d’identità e dall’incertezza che a loro volta generano nei giovani la confusione. Tale situazione fa sì che essi abbiano difficoltà a scegliere il loro “posto” nel mondo. Si delineano alcuni “sintomi” che caratterizzano il vissuto di molti adolescenti: disorientamento, dipendenze da alcol e droghe; conflitti emotivi, relazioni tossiche, problemi di bullismo e cyberbullismo, fragilità caratteriali, disturbi alimentari, episodi di violenza, attacchi di ansia e, infine, autolesionismo.
Imbattersi in Giobbe confrontarsi con il suo dolore, porsi le sue domande, ricercare le sue risposte può risultare terapeutico ai fini di una maggiore comprensione di sé e della realtà circostante.
Giobbe: un libro che insegna la resilienza aiutando a porsi domande
Il testo del libro di Giobbe è costruito sul genere letterario forense tipico dell’antichità: si svolge un processo in cui Dio è il giudice, satana l’accusatore e Giobbe è l’imputato; i suoi amici, invece, svolgono la funzione dei testimoni. Giobbe era un uomo ricco, svolgeva una vita serena, agiata, non mancava di nulla proprio come afferma il celebre Salmo 23. Tale racconto è appartenente alla sezione sapienziale della Scrittura ed ha una finalità prettamente pedagogica-educativa per accrescere, rinsaldare la fede in Dio anche nei momenti più brutti della vita. L’opera di Giobbe è stata redatta nella sua forma attuale nel III secolo a.C. ed è diventata nel tempo un vero e proprio paradigma della fede di Israele. Questo l’incipit della trama narrativa:
Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese a satana: «Da dove vieni?». Satana rispose al Signore: «Da un giro sulla terra, che ho percorsa». Il Signore disse a satana: «Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male». Satana rispose al Signore e disse: «Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda di terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia!». Il Signore disse a satana: «Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui». Satana si allontanò dal Signore. [Cf. Gb 1,6-12].
Dinanzi all’esistenza di quest’uomo vi si pongono due opzioni per la vita: maledire Dio o abbracciare la fede pur restando nell’oscurità. Cosa sceglierà Giobbe? Come emerge dal testo si nota che il male è presente ed operante nella storia umana così come nella vita di tutti e di ciascuno. Inoltre, da una lettura attenta del racconto biblico, si può dedurre che proprio quando si cerca di temere Dio, di compiere il bene e di vivere all’insegna della felicità, puntualmente, il male fa la sua comparsa sul palcoscenico della vita.
Tale racconto preserva nei secoli la sua perenne attualità. Il mistero dell’umanità attraversa queste pagine bibliche: perché Dio permette il male? Una domanda che da sempre interpella e per certi aspetti inquieta e tormenta il cuore dell’uomo. Dio perché resta in silenzio mentre uno dei suoi servi più giusti ed integri soffre?
Il racconto di Giobbe più che fornire delle riposte in merito alla comprensione di Dio e del suo mistero insegna a porsi delle domande. In quanti si possono riconoscere ed identificare attraverso le emozioni e i sentimenti di Giobbe? Quando si ha tutto facilmente ci si lascia ammaliare dall’egoismo, dal desiderio di non aver bisogno di nulla e di nessuno. Ci si sente autosufficienti e si iniziano a coltivare manie di grandezze, sentimenti di astio verso gli altri, predomina il desiderio di possesso. La storia di Giobbe porta all’attenzione dei lettori la virtù dell’umiltà cara ed esclusiva alla letteratura biblica. Occorre vivere con la certezza che tutto di quanto si dispone in termini di affetti, averi e la vita stessa può essere perso in un soffio di vento. La lezione del racconto di Giobbe è che nulla è permanente e tutto può mutare, cambiare, svanire. Ciononostante, ci si può mantenere “fedeli” ed “ancorati” a quelli che sono gli ideali e principi su cui si intende impostare il proprio modo di essere e di agire. Il racconto di Giobbe insegna il “coraggio “e la “resistenza” nella vita anche quando essa sembra schiantarsi contro con tutte le sue forze, si presta ad essere un valido contributo ai fini di accrescere e sviluppare nei lettori la capacità di “resilienza”, a reggere agli urti della vita, incrementare il “problem solving” ossia, l’abilità di destreggiarsi all’interno di situazioni problematiche e di prodigarsi per ricercare una risoluzione adeguata. Tutto quanto esiste è frutto di un “dono” e come tale va accolto, curato e custodito.
La Bibbia insegna – pedagogicamente – ad aprirsi alla logica del dono, educa all’accoglienza consapevole; la libertà non è come spesso la si intende frutto di azioni predeterminate ma è limitata dalla dimensione creaturale, precaria, incompleta propria della condizione umana in quanto tale. È nel dolore vero che si diventa pessimisti, si fa esperienza dell’amarezza si cede alla collera e alla disperazione! Tali sono i sentimenti e le emozioni che attraversano l’interiorità di Giobbe durante le prove a cui è sottoposto. In tale contesto egli può definirsi un amico degli uomini, un compagno di viaggio, può proporsi come una guida - così come Virgilio con Dante – nei meandri dell’esistenza. Egli, come capita a molti giovani oggi e non solo, sperimenta l’emarginazione, l’abbandono e l’incomprensione da parte di coloro che gli stanno intorno. Giobbe, infatti, ad un certo punto inizia a dubitare anche della veridicità dei suoi “amici” e diventa verso di loro sospettoso e diffidente. Essi tentano di offrire il loro supporto e di esprimere la loro vicinanza all’amico - palesemente caduto in disgrazia- con tutti i mezzi e gli strumenti che hanno a disposizione ma il loro “intervento” risulterà inefficace e non sufficiente.
Giobbe è alla ricerca della verità dell’essere, vuole comprendere e penetrare il mistero dell’esistenza umana. Egli non maledice Dio, ma lo “sfida” dal profondo dell’abisso in cui i tragici eventi della vita lo hanno indotto, leva la sua voce, apre il suo “io” più intimo alla preghiera, cerca e invoca il colloquio e pretende un dialogo con Dio. Da questi aspetti, quanti spunti di riflessione interessanti si possono rilevare: gli amici, le persone a noi più prossime, parenti, conoscenti non sempre possono risolvere i nostri “conflitti” e fornire una risoluzione definitiva ai nostri problemi. Talvolta, nonostante le persone che ci circondano praticano l’empatia nei nostri riguardi, possono rivelarsi “limitati”, “miopi” poiché pur sforzandosi non riescono a comprendere a pieno la “causa” del nostro dolore. Pertanto, non è sempre vero (come comunemente si pensa) che ognuno pensa a sé e che l’amicizia autentica non esiste ed è una chimera. Nulla affatto! Essa è possibile!
In tal senso, il rapporto di Gesù con i discepoli e gli apostoli è paradigmatico. Certe volte la “risoluzione” ai problemi di tipo esistenziale non è da ricercarsi fuori ma dentro di noi, risiede dentro il “cuore” della persona umana. La verità è lì, bussa alla porta della coscienza ma non sempre si è disposti ad accettare tali dinamiche dell’interiorità. In tale contesto la lettura del racconto di Giobbe può contribuire notevolmente a sviluppare nei lettori un itinerario di consapevolezza, accettazione del dato del reale. L’impatto con la vicenda di Giobbe svolge una funzione propedeutica in merito alla sensibilizzazione circa il valore “catartico” delle esperienze personali negative. I giovani necessitano di un approccio realistico e funzionale alla realtà e canalizzare anche esperienze negative come il fallimento, la delusione, l’insuccesso, il rifiuto, è un elemento indispensabile per la loro crescita e formazione umana, sociale e culturale.
Giobbe alla fine della sua storia, dopo che ha imprecato, sofferto e si è disperato trova dentro di sé la forza e la risposta: questa vita è di passaggio, è un banco di prova, è effimera rispetto a quanto il Creatore, in cui egli ha da sempre riposto tutte le sue speranze, ha in serbo per lui.
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro.
La speranza che non delude e non conosce tramonto, la verità dell’essere e il dono infinto della vita! L’essere umano ha il privilegio e la grazia di essere un “partner” speciale per Dio. La capacità insita di ogni persona è la prerogativa massima consiste nel poter interloquire con il divino. Ciò fornisce la certezza che nessuno è mai veramente solo anche quando sembra che intorno si sia attraversati dal deserto del l’incomprensione e della sofferenza. Sviluppare e acquisire la capacità di resilienza è il messaggio che Giobbe consegna ai suoi posteri. L’esistenza terrena nel “qui” ed “ora” ha la sua importanza poiché determina chi siamo e chi vogliamo essere al cospetto di Dio e degli altri! La vita nella sua dimensione terrestre e temporale però non si riduce ad essere l’unica esistenza possibile.
La Bibbia esorta ad andare oltre ed è così che poi inizia a balenare in questa parte della Bibbia la speranza della vita ultraterrena che sarà ripersa e portata avanti poi da altri testi biblici e in modo particolare dal Nuovo Testamento e dai Vangeli.