Era un giorno di nove anni fa. Salvatore Ferrigno era un uomo di cinquant’anni che, senza speranza, girovagava per le strade di San Giuseppe Vesuviano, comune napoletano con poco più di 30000 abitanti.
Dietro al portone del Dormitorio Caritas, un nuovo futuro
«All’improvviso mi sono ritrovato davanti ad un portone. Era aperto, sono entrato. C’erano tante persone. Era la mensa della Caritas - racconta oggi Ferrigno -. Non conoscevo quel posto e la Caritas era per me “il pacco viveri”. Sono stato accolto e mi hanno dato da mangiare. Il giorno dopo sono ritornato e ho appreso che lì c’era anche un luogo dove poter dormire la notte. Avevo paura ed ero stanco di vivere per strada. Dormire per strada mi aveva annientato: senza potermi lavare, senza poter parlare con nessuno. Per tutti ero quello che aveva meritato di essere un senza dimora. Così, stanco di essere considerato ‘un errore’, sono entrato nel Centro di ascolto della Caritas, e ho trovato il coraggio di raccontarmi e raccontare la mia vita. Ho chiesto aiuto. Senza nascondere nulla. Da quel giorno ho deciso di ricominciare, di ritentare! Sono stato accolto in questa grande casa dove è iniziata per me una nuova vita».
Quello che Ferrigno aveva trovato aperto era il portone di uno dei tre centri Caritas della diocesi di Nola: il Centro Don Tonino Bello in San Giuseppe Vesuviano. Un luogo che oggi ospita il progetto «Mondominio » che ha permesso alla Caritas di non limitarsi all’accoglienza in prima soglia ma di mettere in campo l’accompagnamento - attraverso un progetto individuale e il coinvolgimento delle istituzioni territoriali - e il reinserimento sociale degli ospiti. Anche Ferrigno ad un certo punto ha dovuto lasciare il Centro diocesano e inizialmente non aveva compreso perché gli stessero dicendo che doveva ‘tornare nel mondo’: in Caritas aveva trovato la ‘sua casa’, quel posto che aveva sempre cercato.
«La droga ha fatto a pezzi i miei sogni. In Caritas mi sono scoperto persona»
«Da piccolo - racconta - ho fatto a pezzi i miei sogni crescendo troppo in fretta e prendendo strade sbagliate. Avevo 11 anni quando ho conosciuto la droga. Quando mia madre mi ha denunciato lo ha fatto con il desiderio di salvarmi perché nel carcere ha visto l’unica opportunità di salvezza. Grazie ai miei genitori sono riuscito a liberarmi dalla droga e, dopo la loro morte, ho cercato anche di crearmi una famiglia tutta mia: mi sono
sposato ma dopo un po’ ci siamo separati. Da questa relazione è nato mio figlio. Un figlio che non vedo da 22 anni, da quando è nato. Poi ho iniziato una nuova convivenza, con una donna che aveva già quattro figli. Anche questa relazione è finita e nello stesso periodo ho perso anche il lavoro, poi la casa. Mi sono riperso».
Poi quel portone del Centro Caritas aperto. Salvatore Ferrigno ha potuto ricominciare a vivere. E oggi dona ad altri quanto ha ricevuto, come volontario Caritas. «Mi sono ritrovato, un giorno - ricorda - ad accogliere la mia ex-compagna e i suoi quattro figli. Mi trovavo avanti proprio le persone che mi avevano messo in strada anni prima. Ma non ero arrabbiato, mi sono sentito triste. Ho cercato di rincuorarli nonostante il male che mi avevano fatto e la ferita che ancora ho nel cuore. Ecco, in quel momento ho sentito che l’esperienza di accoglienza che stavo vivendo in Caritas mi stava aiutando ad andare oltre. Oltre l’odio, oltre l’errore. Perché l’errore non identifica la persona che lo ha commesso. Ecco questo ho imparato. In Caritas mi sono scoperto persona, figlio di Dio, amato e compreso. Il mio cammino non è finito, sono ancora in viaggio, per provare a diventare quell’uomo nel quale mio padre ha sempre creduto».
A San Giuseppe il dormitorio è diventato «Mondominio»
Il progetto della Caritas di Nola, «Mondominio» è uno dei frutti del modello di servizio generativo, e non più assistenzialistico, che l’ente diocesano
ha scelto di adottare per far sì che le persone in difficoltà siano protagoniste del proprio cambiamento. Sede del progetto è il Centro Don Tonino Bello a San Giuseppe Vesuviano (Na), che in questi anni ha ospitato il dormitorio diocesano.
L’idea di «Mondominio» nasce alla fine del 2019, «durante la prima verifica dei cinque anni di accoglienza - racconta il vicedirettore di Caritas Nola, Raffaele Cerciello - presso il dormitorio: gestivamo solo accessi senza dimora, non riuscivamo ad andare oltre la prima accoglienza. Avevamo
erogato un servizio per cinque anni con uno scarsissimo risultato di inclusione sociale. E così la mensa del centro è divenuta un laboratorio,
per il pane: gli ospiti venivano coinvolti nella gestione del centro e i donatori erano invogliati a donare farina e non pane».
Una scelta che ha determinato il cambiamento: il Centro e «Mondominio» non sono due realtà diverse, quest’ultimo è sostanzialmente il frutto della svolta verso il modello promozionale della carità che ha riguardato il Centro intitolato al sacerdote pugliese come gli altri Centri diocesani. Oggi, a San Giuseppe, gli ospiti sono accolti per sette giorni in prima soglia e poi si procede con loro all’elaborazione di un progetto individuale, che prevede anche il coinvolgimento delle istituzioni territoriali. Nasce così il patto educativo per accompagnare la persona a rivalutarsi prendendosi cura di sè, dall’igiene personale all’uso dei beni comuni.
«E anche dell’ambiente - aggiunge Cerciello -. Siamo una realtà plastic free, beviamo acqua depurata e prossimamente installeremo impianti fotovoltaici per l’energia e avvieremo il riutilizzo delle acque urbane per la cura degli orti urbani presenti in struttura». Il tempo di permanenza a «Mondominio» varia tra i 6 mesi e i due anni, a seconda della storia personale degli ospiti.
Il nuovo progetto Caritas Nola ha preso forma - grazie ai fondi dell’8xMille - nell’ex Casa di riposo gestita dalle Piccole figlie della visitazione, acquisita dieci anni fa dalla Fondazione Sicar - organismo gestionale della Caritas - per crearvi il dormitorio diocesano. Oggi i quattro
piani dell’edificio sono tutti gestiti dalla Fondazione: il secondo e terzo piano sono destinati ad housing sociale, il secondo è per l’accoglienza
serale dalle 20 alle 8, il terzo ospita quattro mini appartamenti e un modulo per esperienza alla pari cioè per la possibilità di fare volontariato condividendo la condizione di chi viene aiutato. Il primo piano ospita l’area di coworking mentre al piano terra ci sono laboratori e la cappella. Le attività non sono a pieno regime poiché la pandemia ha rallentato l’ultimazione dei lavori.