La trovi all’improvviso lungo la via Zabatta, al confine tra Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano con il gigante addormentato che sorveglia qualche chilometro più in là. La chiesa di Santa Maria La Pietà mostra la sua facciata luminosa e il campanile che svetta, mentre ad accoglierci c’è don Francesco Feola che ci apre le porte dell’edificio sacro e ci racconta della fondazione: «É stata fondata nel 1500 ed è stata da sempre dedicata alla Pietà; prende il nome “della Scala”, dalla scala rappresentata nel quadro di Angelo Mozzillo, del 1793, che si trova sull’altare maggiore. Dal 1939 la chiesa è diventata parrocchia e il primo parroco è stato don Guerino Bussone che subito si è adoperato per ingrandire la cappella originaria e adeguarla alle necessità pastorali: in particolare la fece adornare con la statua della Pietà».
Una delle parti più belle è proprio il coro rialzato nella controfacciata. Ed è lì che fra qualche minuto, per la messa delle 10, prenderanno posto Andrea, Daniela e Emanuela, tre dei ragazzi impegnati nelle tante attività portate avanti dalla Parrocchia, anche in questo periodo dove tutto è più complicato e complesso. Sono proprio loro, insieme a don Francesco Feola, a mostrarci l’ampio spazio sul retro con asilo, campo di calcetto e oratorio, sorto già nel 1950 per volere sempre di don Guerino Bussone che voleva un luogo in cui ragazzi del paese potessero socializzare e formarsi.
«Durante questo periodo possiamo ritenerci fortunati - dice Daniela - perché siamo riusciti comunque a portare avanti gli appuntamenti importanti per la comunità anche a distanza». Ovviamente non è stato tutto semplice, come sottolinea Emanuela, «anche perché l’impossibilità di fare tutto questo in presenza ha avuto un peso. Ma nonostante questo, siamo comunque speranzosi che tutto possa finire a breve, anche perché abbiamo un progetto importante da completare». Questo progetto un cortometraggio che, aggiunge Andrea, «stiamo sviluppando assieme a don Francesco e ai nostri animatori e che ha un messaggio ben preciso: la libertà quella che abbiamo perso in questo periodo e che vogliamo assolutamente riconquistare».
Si potrebbero trascorrere ore ed ore ad ascoltare questi ragazzi così pieni di vita e di voglia di fare, ma l’orologio corre e le lancette ricordano che manca un quarto d’ora alla messa e don Francesco deve prepararsi. Nel frattempo la Chiesa si è riempita alla spicciolata, in maniera ordinata e nel pieno rispetto delle norme anticovid. Lunghe corde attraversano i banchi e delimitano lo spazio fisico entro il quale sedersi per rispettare la giusta distanza. Eh, già: funziona proprio così in questo periodo, la comunità si stringe spiritualmente la domenica mattina anche se non può scambiarsi il segno della pace. Durante l’omelia don Francesco Feola sottolinea la forza dell’amore, costruendo un ponte tra la letteratura e l’attualità, tra i Promessi Sposi e un tragico fatto di cronaca, tra don Rodrigo e chi confonde l’amore genuino con il possesso. Sono distanti nel tempo e nello spazio, reali o meno, ma lanciano un messaggio ben chiaro
«l'amore non ha condizioni, ma va portato in tutte le sfide che ci troviamo ad affrontare. Non è quello che riceviamo a dare senso all'amore che doniamo ma è l'amore che doniamo a dare senso alla nostra esistenza».
Dopo la benedizione finale non c’è il fuggi-fuggi generale per godersi la splendida giornata di sole nella zona gialla. Le ragazze, armate di pazienza, stracci e gel, passano al setaccio i banchi per 'sanificare' anche questa domenica che scivola via beatificata dall’amore.