E al popolo stava a cuore il lavoro

Il vicario per la carità e la giustizia, ci guida nella lettura del Messaggio dei vescovi italiani per il Primo maggio

Porta la data del 19 marzo 2021,  Solennità di San Giuseppe, a cura della  Commissione episcopale per i problemi sociali, la giustizia e la pace della Cei,  il tradizionale Messaggio dei Vescovi per la Festa del 1° maggio 2021 E AL POPOLO STAVA A CUORE IL LAVORO (Ne 3,38) Abitare una nuova stagione economico-sociale.

Neemia

Il messaggio parte dal  Libro di Neemia, che, nella Bibbia, "racconta l’impegno del popolo d’Israele intento a ricostruire le mura di Gerusalemme. Al lavoro generativo della gente, però, si oppongono le  derisioni  e  le  critiche  dei  popoli  nemici (Ne 3,34-35)”. E, a questi - continua il messaggio - “Neemia, invece, ricorda l’unità e la caparbietà del popolo nel portare a termine l’opera intrapresa, commentando che «al popolo stava a cuore il  lavoro»  (Ne  3,38)”.

I vescovi rammentano che “il brano biblico presenta la forte opposizione tra chi sta a guardare criticando e chi invece mette tutto l’impegno possibile perché nasca qualcosa di nuovo. È la contrapposizione tra il lavoro parlato e il lavoro realizzato concretamente, tra modelli vecchi di lavoro e nuove opportunità che si affacciano”. A questo punto il messaggio ricorda a tutti che “in un contesto molto diverso, oggi scopriamo l’importanza della generatività, che si fonda sull’«amore pieno di verità» (CV 79)",  generando un naturale “conflitto tra il vecchio che resiste e il nuovo che s’impone con la sua forza di cambiamento” e rendendo necessario un “rinnovato impegno verso nuovi stili di vita”.

La terribile prova della pandemia

“La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico”- fanno notare i vescovi - per cui “nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà”.

Il mondo del lavoro

A questo punto del messaggio i vescovi affrontano concretamente i gravi e attuali problemi dei lavoratori, conseguenza della pandemia.
“Già prima di essa il Paese appariva diviso in tre grandi categorie. Una composta da lavoratori di alta qualifica o comunque tutelati e privilegiati che non hanno visto la loro posizione a rischio. Essi hanno potuto continuare a svolgere il loro lavoro a distanza e hanno perfino realizzato dei risparmi avendo ridotto gli spostamenti durante il periodo di restrizioni alla mobilità”. Una seconda categoria, per la Cei, è composta “di lavoratori in settori o attività a forte rischio o comunque con possibilità di azione ridotta è entrata in crisi: commercio, spettacoli, ristorazione, artigiani, servizi vari”. “L’intervento pubblico sul fronte della cassa integrazione, delle agevolazioni al prestito, dei ristori e della sospensione di pagamenti di rate e obblighi fiscali ha alleviato in parte, ma non del tutto, i problemi di questa categoria”. Un terzo gruppo, infine, “è rappresentato dai disoccupati, dagli inattivi o dai lavoratori irregolari e coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento”: “Sono gli ultimi – commentano i vescovi – ad aver vissuto la situazione più difficile perché fuori dalle reti di protezione ufficiali del welfare. Va anche considerato il fatto che il Governo ha bloccato i licenziamenti, ma quando il blocco verrà tolto la situazione diventerà realmente drammatica”.

Speranza nella solidarietà

“È fondamentale, pertanto, - proseguono i vescovi -   che tutte le reti di protezione siano attivate.  Il «vaccino   sociale»  della pandemia,  infatti, è rappresentato dalla rete di legami di  solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili. La pandemia, infatti, ci ha permesso di sperimentare quanto siamo tutti legati ed   interdipendenti”.

Come non sprecare la crisi

E il messaggio continua con un forte invito: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi» ci ha avvertiti  papa Francesco. I periodi di prova sono anche momenti preziosi che ci insegnano molto. La crisi ci ha spinto a scoprire e percorrere sentieri inediti nelle politiche economiche”.

Imparare a diventare “imprenditori del nostro tempo”

“Da   questa terribile prova  sta nascendo una nuova era nella quale impareremo a diventare «imprenditori del nostro tempo» e più capaci di ripartirlo in modo armonico tra esigenze di lavoro, di formazione, di cura delle relazioni e della vita spirituale e di tempo libero. Se le relazioni faccia a faccia in presenza restano quelle più ricche e privilegiate, abbiamo compreso che  in molte circostanze nei rapporti di   lavoro è possibile risparmiare tempi di spostamento mantenendo o persino aumentando la nostra operosità e combinandola con la cura di relazioni e affetti”.

La voglia di ripartire

Per i vescovi, “il mondo del lavoro dopo la pandemia ha bisogno di trovare strade di conversione e riconversione, anche per superare la questione della produzione di armi. Conversione alla transizione ecologica e riconversione alla centralità dell’uomo, che spesso rischia di essere considerato come numero e non come volto nella sua unicità”.

Il cammino della Chiesa italiana. Tutti per il bene comune : le due bussole

Per la Chiesa italiana, infine, due sono le bussole da seguire nel cammino pastorale e nel servizio al mondo del lavoro: la prima è l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, dalla quale si impara che “la fraternità illumina anche i luoghi di lavoro, che sono esperienze di comunità e di condivisione” e che “in tempo di crisi la fraternità è tanto più necessaria perché si trasforma in solidarietà con chi rischia di rimanere fuori dalla società”; la seconda è il cammino verso la Settimana Sociale di Taranto (21-24 ottobre 2021) sul tema del rapporto tra l’ambiente e il lavoro, il cui Instrumentum laboris afferma che “la conversione che ci è chiesta è quella di passare dalla centralità della produzione - dove l’essere umano pretende di dominare la realtà - a quella della generazione - dove ciò che facciamo non può mai essere slegato dal legame con ciò e con chi ci circonda, oltre che con le future generazioni” (n. 25).

La festa di San Giuseppe

La festa di San Giuseppe lavoratore, per i presuli, deve essere una spinta “a vivere questa difficile fase senza disimpegno e senza rassegnazione”, ad abitare le diocesi “con le loro potenzialità di innovazione ma anche nelle ferite che emergono e che si rendono visibili sui volti di molte famiglie e persone”. Ma nel condividere le preoccupazioni della gente, la Chiesa italiana vuole anche farsi carico “di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura”.

E noi, come Chiesa diocesana, vogliamo accogliere, (con più impegno e senza rassegnazione), l’invito dei nostri vescovi ad “abitare “i nostri territori. Il lavoro nero, precario, sottopagato, sfruttato, la mancanza di lavoro, il pericolo di cadere tra le grinfie della criminalità o degli usurai per quanti in questo anno hanno chiuso i battenti, richiedono da parte di tutti un ulteriore sforzo e coraggio nella solidarietà. Ecco, allora, anche per noi il richiamo a non lasciare nessuno indietro.  Se «tutto è connesso» (LS 117), lo è anche la Chiesa di Nola con la sorte dei propri figli che lavorano o soffrono la mancanza di lavoro. Ci stanno a cuore. 

Il Messaggio dei vescovi italiani




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