da inDialogo, dorso di Avvenire del 28 febbraio 2021
Oggi il nome di Mimmo Beneventano risuona forte a Ottaviano. Forte come forti erano le sue aperte denunce dei tentativi di gestione speculativa del territorio da parte di camorra e malapolitica. E quella forza infastidì la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e gli affaristi delle istituzioni che decretarono la sua condanna a morte il 7 novembre 1980. «Mio fratello - racconta la sorella Rosalba, oggi presidente della Fondazione a lui intitolata - pagò con la vita la scelta del bene. Era consapevole dei rischi che correva, era stato anche minacciato, ma non avrebbe mai potuto cedere a quelle minacce. Sarebbe stato per lui come un tradimento, avrebbe significato tradire se stesso e le persone che avevano riposto in lui fiducia». Beneventano, medico e consigliere comunale del Pci, fu ucciso, sotto gli occhi della madre, mentre si accingeva a salire in auto per recarsi in ospedale: aveva trentadue anni, per il suo delitto nessuno ha mai pagato, per insufficienza di prove. «La verità sull’omicidio di Mimmo, Cutolo l’ha portata con sé nella tomba - continua la Beneventano -. Per questo quando ho appreso la notizia della sua morte ho provato profonda amarezza e anche indignazione: Mimmo ed altre vittime innocenti di camorra non potranno più avere piena giustizia».
Un’amarezza che ha poi dovuto lasciare spazio alla consolazione: «In tanti mi hanno scritto, anche persone che non hanno conosciuto Mimmo, esprimendo gratitudine per la sua testimonianza civile. Queste parole sono state di conforto. Sono frutti buoni della passione politica di Mimmo, della sua attenzione alla custodia del territorio, lui che è stato definito il primo politico ambientalista: il suo impegno continua ad essere da esempio per tanti, soprattutto per i giovani». Un esempio forte, più forte del ‘mito’ di Cutolo: «Un mito legato solo ad Ottaviano e solo ad alcuni che ancora lo osannano. Ma Ottaviano oggi non è più quella di Cutolo, oggi la città ha una posizione chiara rispetto alla camorra, anche se a fatica ha reagito e continua a reagire per rompere con il passato». Un nuovo corso della storia che è quel ‘cenno’ che Beneventano chiedeva in una delle sue poesie, quella intitolata Io urlo, per sentirsi più forte e ‘non soltanto un illuso’.
Cenni ne sono arrivati, la sua testimonianza ha fatto breccia «e lui ha continuato a vivere - aggiunge Rosalba -. Nei giovani che si sono avvicinanti alla politica leggendo e sentendo parlare di lui, nelle associazioni che portano avanti la sua attenzione all’ambiente, nelle scolaresche che frequentano la scuola a lui intitolata, nella fondazione che porta il suo nome, Mimmo ha continuato a vivere, mentre Cutolo ha vissuto da morto». Per Rosalba Beneventano questo è il tempo per una nuova nuova narrazione: «È il tempo di raccontare l’impegno di associazioni e singoli per il bene comune, impegno spesso silenzioso e sconosciuto che è però fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata», che non è morta con Cutolo.