Un’esperienza di ‘casa’ per tenere accesa la fiamma della memoria. Questa la proposta del campo E!State Liberi – promosso dall’associazione Libera - che si è tenuto a Scafati dal 13 al 17 luglio. Il campo, dal titolo Questa è la mia casa, è stato dedicato, per la prima volta, al bene confiscato La Casa di Francesco – Don Peppe Diana. Si tratta di un appartamento, dato in gestione nel 2019 all’Associazione Emmaus della parrocchia San Francesco di Paola, e destinato all’ospitalità di padri separati in difficoltà.
Sei i campisti, provenienti da diverse città italiane, che hanno scelto il territorio campano, per formarsi sulla confisca e la valorizzazione dei beni strappati alla criminalità organizzata; ma non solo. Come ospiti della comunità parrocchiale – nel rispetto delle norme di prevenzione – hanno avuto anche la possibilità di partecipare alla vita quotidiana della struttura di prima accoglienza La Casa di Francesco.
Familiarità, accoglienza e memoria sono stati i fili conduttori dell’esperienza. Accompagnati dalle storie di Nicola Nappo e don Peppe Diana, raccontate dalle voci di chi ogni giorno si rimbocca le maniche a vantaggio del bene comune, i campisti hanno scoperto le grandi possibilità di rinascita che un bene confiscato può offrire alla comunità civile.
Dopo la prima giornata di formazione sul riutilizzo sociale dei beni, su temi di antimafia e su aspetti sociali del territorio, il giorno successivo la sveglia suona alle 6,15 e si raggiunge in bici il Fondo Agricolo Nicola Nappo, dedicato alla memoria del giovane ventitreenne ucciso in un agguato, vittima di uno scambio di persona.
«Scafati ha saputo mostrarmi le sue ombre e le sue luci nella sua ricca e onesta complessità. Mi ha fatto sentire a casa, accolta tra le braccia della collettività e dell’inclusione. Ho vissuto emozioni forti, sincere e umane attraverso la memoria di chi ha lasciato questa vita troppo presto, e il coraggio delle testimonianze di chi continua a rimanere. Non dimenticherò gli occhi della mamma di Nicola» ci racconta Greta, cremonese, che a 21 anni è alla sua terza esperienza estiva con Libera.
Terminata la mattinata di lavoro negli orti agricoli del Fondo, nel pomeriggio, il gruppo è giunto a Poggiomarino, sul luogo dove Nicola ha perso la vita nel 2009. «Mi ha colpito la storia di Nicola, ed ora che sono tornato nel mio piccolo paese in Brianza ho deciso che continuerò a raccontare di lui. Tenere vivo il ricordo è l’unico antidoto contro la malavita. Porto con me ricordi preziosi. Mi sono sentito a casa; le persone che ho incontrato mi hanno restituito un’immagine così bella di famiglia che mi ha trasmesso l’energia per mettermi in gioco in prima persona nel mio territorio» commenta Lorenzo, 19 anni, pieno di entusiasmo e commozione.
Il penultimo giorno, invece, ha visto i campisti protagonisti nella cura degli ambienti del progetto dedicato a don Peppe Diana, attraverso i lavori di manutenzione, la creazione di un quadro e cartelloni da lasciare alle pareti dell’appartamento. Il parroco della comunità, don Peppino De Luca, ha raccontato dell’amore “inquieto” che ha caratterizzato la vita di don Peppe, commentando la lettura del famoso documento firmato dal sacerdote aversano Per amore del mio popolo. Nel pomeriggio, invece, hanno percorso insieme le strade della città, visitando i luoghi della Resistenza, nel ricordo del 28 settembre 1943, giorno in cui, proprio a Scafati, è nato il primo gruppo di resistenza del Sud-Italia.
Pochi giorni che hanno alimentato la voglia di realizzare il sogno di una comunità costruita sulla solidarietà e sulla giustizia. È quanto afferma Katia, insegnante di scuola dell’infanzia, proveniente da Botticino, in provincia di Brescia: «Qual è la motivazione che spinge una donna di cinquant’anni a partecipare ad un campo estivo di impegno e formazione di Libera, in Campania, a Scafati? Il desiderio di rimettersi in gioco ogni giorno per i propri ideali, e la ferma convinzione che non possa esistere vita senza condivisione ed amore per l’altro. Il ‘noi’ ci rende migliori. Ecco, se dovessero chiedermi di esprimere in una frase questa mia esperienza, non potrei che rispondere: assolutamente credibili, probabilmente credenti, ma più di tutto innamorati del dono della vita».
Le esperienze vissute, insieme ai momenti di condivisione e a gesti di semplici di gentilezza e solidarietà, secondo Antonio, agronomo di 29 anni, hanno raggiunto il fine desiderato: «Io sono di Angri, e il confronto con altri, provenienti da regioni diverse, mi ha arricchito molto. Più di tutte le attività, sono state le persone che ho conosciuto a lasciarmi un segno. Sono sincero: ho alcune riserve rispetto alla Chiesa, ma in questa esperienza ho compreso che qualunque sia il colore politico, la bandiera o la “categoria” cui si appartiene, si può collaborare ed impegnarsi insieme per le idee e i valori che ci accomunano». Allo stesso modo, Camilla, venticinquenne cremonese e studentessa di cooperazione internazionale a Roma, sottolinea: «Mi è piaciuto approfondire la realtà locale e i temi della memoria e della valorizzazione dei beni. Ma in particolare, ciò che mi ha colpito di più è stata l’accoglienza incondizionata di una comunità ospitale ed aperta a tutti, senza discriminazioni».
«Questi giorni vissuti rappresentano un importante momento di crescita per la città e per le associazioni del territorio: guardarsi con gli occhi di chi viene dall’esterno, aiuta a riscoprire la bellezza che ci circonda, ma anche a fare ammenda delle cose che non vanno» commenta Gerardo Illustrazione, referente del presidio scafatese di Libera Nicola Nappo.
Arrivati all’ultimo giorno, il gruppo ha visitato gli scavi archeologici di Pompei, mentre la sera c’è stato un momento di condivisione più ampio, attraverso i diari scritti dai partecipanti durante il campo. Don Peppino, al termine della serata, consegna loro due segni, una bottiglina con il simbolo dell’ulivo ed il testo della parabola delle dieci vergini, a conclusione di un’esperienza breve ma intensa: «Spesso, come le vergini stolte, ci addormentiamo per stanchezza o per sfiducia, chiudendo gli occhi di fronte alla realtà. Nella parabola si addormentano tutti, sia le fanciulle stolte che le sagge: ‘addormentarsi’ è una dimensione che attraversa la nostra vita. Ma non è nel sonno che si trova il senso dell’esistenza. Al centro della parabola, infatti, c’è l’immagine della lampada e dell’olio: la lampada ci ricorda l’invito di Gesù ad essere luce del mondo, non possiamo nasconderci sotto il moggio ed evitare di vivere; ci ricorda ancora la città sul monte che fa luce al viandante per indicargli la meta, come la nostra vita dovrebbe aiutare gli altri a ritrovare la direzione del cammino».