«Nulla sarà più come prima». Se si tratti di una sentenza emessa dal tribunale della storia, oppure semplicemente di un’espressione pronunciata con troppa leggerezza, chi può dirlo?
Fatto sta che tali parole risuonano in queste settimane sulla scorta di un’esperienza, quella della pandemia, che ci sta innegabilmente segnando, anche perché presenta una nota di universalità che, per certi versi, appare inedita.
«Siamo tutti sulla stessa barca». Lo ha ricordato il Papa nel discorso pronunciato il 27 marzo sul sagrato della Basilica di San Pietro. Immaginare, però, che quello che stiamo vivendo
abbia trasformato per sempre la nostra realtà non fa certo a tutti lo stesso effetto. Per qualcuno quelle parole suoneranno alquanto minacciose. Il sentirsi privati delle abitudini e delle certezze sulle quali avevamo fondato la nostra quotidianità mette un po’ di ansia anche a chi tenta di mostrarsi distaccato e imperturbabile. Per altri invece – e ci sarebbe da augurarsi che sia così per tanti – pensare che «nulla sarà più come prima» porta in sé soprattutto i crismi della ‘promessa’, si presenta cioè come una possibilità di futuro.
Abbiamo sentito parlare così tante volte della crisi come opportunità, sia a livello umano che spirituale, da credere di essere pronti a tutto. Esserci ritrovati a viverne una così profonda ci ha probabilmente destabilizzato a tal punto da rischiare di indurci a battere in ritirata, pur di sfuggire alla sfida di ripensare non tanto le cose da fare, quanto soprattutto noi stessi a partire da ciò che stiamo vivendo. Nella cosiddetta ‘fase 1’ ci siamo ritrovati costretti a fermarci e abbiamo avuto il tempo di chiederci cosa stesse cambiando, cosa fosse essenziale, cosa conservare e cosa invece lasciare. Tutto questo sembra ormai essere venuto meno. In verità, c’è chi ha provato a surrogare online le attività che non si potevano svolgere in presenza, e ora è tormentato dall’assillo di capire come riprendere esattamente le cose di prima in un contesto ormai mutato, stando attenti a rispettare i protocolli di sicurezza. Si sta facendo largo il terrore che tutto improvvisamente riparta lasciandoci al palo, mentre altri riprendono la corsa. Ma la fretta di ripartire ci potrebbe sottrarre una grande occasione. Sant’Agostino diceva di avere timore che il Signore passasse nella sua vita senza che lui se ne accorgesse. Forse sarebbe il caso di lasciarci ‘contagiare’ tutti da questo sano timore. Se crediamo in un Dio che è il Signore della storia e che ci parla attraverso le vicende della vita, non possiamo non credere che anche in questi tempi Egli stia passando e ci stia parlando.
Il cambiamento, che per un cristiano assume le tonalità decise e necessarie di una conversione continua, non può essere imposto dall’emergenza. Se così fosse rischieremmo di fare come i gamberi, tornando al passato non appena le condizioni mutano. Il cambiamento autentico è questione invece di discernimento, di decisioni radicali e radicate che traggono origine anche da circostanze contingenti, ma vanno ben oltre. Un po’ di sano darwinismo in questo caso non ci farebbe male. L’evoluzione non è tanto ricerca di strategie per resistere al meglio in condizioni sfavorevoli, ma è capacità di ripensare se stessi in una prospettiva dinamica, alla luce di una realtà che di statico non ha proprio nulla. Non si tratta semplicemente di sopravvivere alla crisi, cedendo alle logiche dell’autoconservazione e del trasformismo, ma di lasciare che essa ci insegni qualcosa. L’audacia e la creatività dei giovani non possono che essere un’arma fondamentale e irrinunciabile in questo senso. È tempo di lasciare che diventino protagonisti del cambiamento, assumendosi la responsabilità di additare alla Chiesa e all’umanità intera quel futuro di cui loro posseggono le chiavi.