Dopo pochi mesi dall’inizio di un nuovo percorso, anche la parrocchia San Francesco d’Assisi di Pomigliano d’Arco ha dovuto rivedere il proprio modo di essere Chiesa durante l’emergenza Coronavirus. Ma lo ha fatto senza perdere l’energia necessaria per continuare ad essere presenza viva presso la comunità e nel territorio circostante. Questo traspare dalle parole del nuovo parroco don Pasquale Giannino, alla guida di questa realtà dallo scorso novembre: «Per me si tratta di un’esperienza particolare, a volte spiazzante, stavo iniziando proprio adesso a conoscere meglio le persone. Mi sento un po’ come un prodotto congelato, in attesa di essere consumato. Sono sacerdote dal 2000, in pochissime occasioni mi è capitato di celebrare la messa da solo. Ricordo una volta quando mi trovavo in Lituania, non comprendendo la loro lingua la celebrai da solo in camera, era di domenica. Poi ho un vago ricordo di un’altra volta al cimitero. Invece le messe che ho celebrato soprattutto all’inizio della quarantena, con la parrocchia completamente priva di persone, le porterò per sempre nel cuore e nella mente. La comunità parrocchiale ha dovuto fare i conti con una situazione limitante. Senza il corpo e l’esperienza dell’ecclesia, dello stare insieme, non è la stessa cosa. Però allo stesso tempo ha risposto bene fin dall’inizio, attraverso varie modalità. Dall’esperienza della carità a quella della prossimità. Se da un lato la nostra comunità è stata ‘chiusa’ per quanto riguarda le attività celebrative – sottolinea don Pasquale -, dall’altro è stata profondamente aperta all’accoglienza. È come se fosse stata un porto di mare, in questo periodo la parrocchia si è svestita della sua figura canonica per vestire dei panni umani, quelli del servizio. Come dice Papa Francesco, sta diventando un pronto soccorso».
Gli sforzi maggiori sono concentrati sull’aiuto alle famiglie più disagiate: «Tutte le parrocchie di Pomigliano si stanno preoccupando di chi in questo periodo aveva un lavoro precario o non retribuito regolarmente, sperimentando una pandemia non meno grave. Quella di rimanere a casa e senza un reddito per soddisfare i bisogni primari. Da noi sono venute persone che hanno richiesto non solo generi alimentari e prodotti legati all’igiene personale, per sé o per i propri cari. Ma anche chi, perdendo il lavoro o vivendo una situazione di precarietà, ha chiesto una mano per pagare l’affitto e le varie utenze. La mia comunità ha risposto concretamente, anche grazie alla sinergia con i vari enti preposti. Penso alle autorità comunali, la Protezione Civile e la Croce Rossa, hanno mostrato una profonda attenzione in proposito».
Anche l’attività pastorale, nei modi e nelle forme consentite, non si è mai fermata: «In questo periodo sto riscoprendo la dimensione della prossimità, per esempio attraverso una semplice telefonata che arricchisce tantissimo. Ho fatto un elenco delle persone da chiamare, giorno dopo giorno. Il rendersi prossimi agli altri attraverso questo atteggiamento di attenzione, far sentire la tua voce permette ai rapporti di rimanere vivi, nonostante le attuali limitazioni. Con i gruppi di Azione Cattolica e le altre realtà parrocchiali abbiamo le dirette sulle varie piattaforme digitali, per incontrarci e dialogare. Senza contare il nostro giornalino, ‘In Uscita’, un altro modo per restare in contatto con la comunità».
Riguardo l’immediato futuro, don Pasquale si augura che possa essere all’insegna della responsabilità e dell’unità: «La ripartenza presenta il grande rischio del nostro tempo, quello di cercare di dimenticare in fretta le esperienze vissute, nel tentativo di esorcizzarle. Spero che la nuova fase sia contraddistinta da un forte senso di responsabilità, per sé stessi e per gli altri, cercando di rispettare tutte le normative di sicurezza. Poi mi auguro che questo cammino postumo possa essere l’occasione per qualificare di più i nostri rapporti con gli altri, sia all’interno della mia comunità che nella Chiesa in generale. Bisogna trovare i punti di forza e gli elementi positivi su cui lavorare insieme. Torno a citare alcune parole del Papa, quando dice che siamo tutti sulla stessa barca. Proprio per questo dobbiamo imparare l’arte della relazione e del camminare uniti».
Una ripartenza caratterizzata dal rispetto del protocollo ministeriale, in vigore dal 18 maggio. Ma le limitazioni non pregiudicano la gioia per il ritorno in parrocchia della comunità: «Devo dire che in questo periodo c’è stata una buona dose di confusione, non solo per quanto riguarda l’attesa dei vari decreti da parte del Ministero, ma anche circa l’interpretazione da dare alle varie norme. È comprensibile che possano presentare dei cavilli e delle difficoltà di adattamento, visto il momento straordinario e problematico. La riapertura è stata molto soft, il primo giorno abbiamo avuto la presenza di 45 persone. Da una parte traspariva la voglia di tornare, dall’altra sono attenti ad evitare contatti con gli altri, mossi dalla paura per l’emergenza che stiamo vivendo. È stata un’esperienza positiva, sinceramente mi sono sentito un po’ intontito e stralunato. Vedere quei banchi finalmente pieni, mi è sembrato un ‘ritorno di sogno’. Un po’ come all’inizio della pandemia, quando giorno per giorno si moltiplicavano le chiusure e i divieti, spesso mi domandavo se fosse tutto vero. Proprio come un sogno da cui credevo che qualcuno mi venisse a svegliare da un momento all’altro. La nostra parrocchia può contenere fino a 90 persone, tenendo presente che tra ognuno deve esserci la distanza di un metro, sia frontale sia laterale. Per il momento non abbiamo riscontrato nessuna difficoltà, la prova del nove sarà la domenica. Ho lasciato le tre messe domenicali come prima dell’emergenza, la mattina alle dieci e a mezzogiorno, mentre di sera è in programma alle diciannove. Ad ogni celebrazione è prevista l’igienizzazione delle panche. Poi ho chiesto alle signore che si occupano delle pulizie di utilizzare, una volta a settimana, i prodotti a base di candeggina. In ogni caso, riguardo la sanificazione, non vedo grosse problematiche all’orizzonte. Domenica spero di rivedere i bambini e le famiglie dopo questo forte distacco, così come attendiamo di tornare a celebrare qualche sacramento, ad esempio i battesimi. Con la nuova normativa è già possibile celebrarli, ad esclusione di comunioni e cresime, su questi due punti aspettiamo delle indicazioni».
Infine don Pasquale punta l’attenzione su una nota positiva, che lascia ben sperare in vista di un periodo di convivenza con il virus a medio-lungo termine: «Per i matrimoni che erano stati programmati tra luglio e settembre, alcune coppie hanno deciso di confermare la propria data nonostante tutto. Una verso la fine di luglio e un’altra verso il 12 settembre. Sanno bene quali sono le varie prescrizioni, dalla mascherina alle distanze, sia al ristorante che in parrocchia. Stiamo pensando a delle panche dedicate alle famiglie, dove ciascun nucleo familiare avrà la propria panca, per assicurare il distanziamento. Mi ha fatto piacere vedere il desiderio di questi ragazzi di voler celebrare il loro amore come un qualcosa che unisce, invece di dividere. È una pagina pastorale bella, da scrivere a caratteri cubitali. È positivo vedere la voglia di due persone di far prevalere la forza della loro unione, rispetto ai tanti limiti a cui vanno incontro».
L’Azione Cattolica, una delle colonne portanti della parrocchia, è rimasta fedele ai valori principali della sua missione anche durante questi mesi particolari. Come spiega la presidente Assunta Nappo: «Prendo in prestito le parole di don Bosco, ‘la prima felicità di un fanciullo è sapersi amato’. Questa frase racchiude due splendide verità. L’amore rende felici fin da fanciulli, ma è il saperlo che fa la differenza. In questo tempo abbiamo dovuto gridare forte il nostro amore per l’altro, proprio quando ci è stato tolto. Il dolore e la distanza potevano abbatterci, invece grazie a tutti e ciascuno l’Ac si è reinventata, restando sempre una grande famiglia che si vuole bene. Personalmente, non avrei mai pensato di vivere i primi mesi da presidente parrocchiale in questo modo, per me il calore umano è un bene inscindibile dall’associazione. Ma è stato proprio quel bene che, con responsabilità e coraggio, mi ha donato la forza per intraprendere una strada nuova e necessaria, grazie anche all’appoggio costante della mia famiglia e degli amici di sempre».
La proposta formativa si è spostata dalle sale parrocchiali a quelle virtuali senza perdere i suoi tratti distintivi, come la vicinanza e la condivisione: «Abbiamo capito fin da subito che non bisognava fermarsi. Così, grazie al prezioso sostegno della presidenza diocesana e ai suoi materiali, per non parlare dell’infinito entusiasmo degli educatori parrocchiali, è nata l’AC 2.0. Il cammino associativo, anche se nel piccolo e virtualmente poteva, doveva ma soprattutto voleva continuare con il sorriso. È nato il gruppo WhatsApp degli adultissimi, ricco di meditazioni sul brano evangelico del giorno, e le telefonate più frequenti a quelli meno tecnologici. Poi le riunioni Skype degli accierrini e la grande passione di tutto il settore giovani. È stata speciale anche la riscoperta del valore di unirci nella preghiera. Il tutto accompagnato dall’affettuosa vicinanza di don Pasquale. L’ Azione Cattolica continua ad essere un ‘noi’ che agisce, mettendo al centro l’altro, con gratuità ed umiltà. Forti della speranza che presto ritorneremo insieme, circondati da quel calore umano che oggi manca così tanto».