Nessuno ci ha detto perché è successo. Nessuno scienziato, politico, sociologo, filosofo, storico e ricercatore scientifico ci ha fatto riflettere sulle cause della catastrofe causata dal Covid–19. Nessuno ha avuto il coraggio di far fare un esame di coscienza per arrivare alla confessione della nostra irresponsabilità verso l’umanità e l’universo che essa abita! Tutti si sono preoccupati di una sola cosa: il danno finanziario delle nostre economie piccole e grandi. Le paure maggiori sono state di non avere più a disposizione ventiquattro ore al giorno i luoghi di piacere, di non poter realizzare le vacanze programmate, la chiusure dei centri di guadagno e di spasso. Nessuno è stato così coraggioso da far riflettere che questa pandemia è il risultato di un’economia senza freni che ci ha portato nel baratro della morte. L’attesa sprigionata da questa frenesia mortale è stata: «passerà e allora…»; allora torneremo a quello che c’era prima, alla corsa edonistica che governa i nuovi regni economici del mondo? Nessuno ha cercato di far rileggere quello che le grandi e piccole guerre, le tragiche pestilenze, le crisi economiche delle nazioni hanno causato in tante persone: la forza della rivoluzione, una rivoluzione ‘pandemica’ della felicità. In questo tempo sembra che non è preoccupante trovare le ragioni della morte di oltre 200.000 persone inermi.
Nel 1917 Benedetto XV dichiarò la prima guerra mondiale (diciassette milioni di morti) «un’inutile strage». Eduardo De Filippo nel 1945 con Napoli milionaria rifletté sulla seconda guerra
mondiale (sessantotto milioni di morti) che si stava concludendo al grido euforico «Nun ce penzate cchiù», con la battuta: «A guerra nun è fernuta… E nun è fernuto niente!» Eduardo cercò di dare uno schiaffo per il risveglio sociale. Oggi sembra che neanche la paura di essere infettati e morire in modo atroce sia capace di svegliare dal sonno narcotizzante della ricerca del piacere ad ogni costo. Cantiamo insieme: «passerà, perché passerà e allora…» con la sola speranza di ritornare al tempo di prima, al tempo dell’economia del piacere, dello sfrenato egoismo, dell’asservimento della vita ad attimi di appagamento di desideri inumani.
La morte per Covid–19 di Luis Sepulveda, il grandissimo scrittore cileno, può essere l’occasione per riflettere su quello che è stato rubato in questi mesi: la felicità. Il giurista napoletano, Gaetano Filangieri, fu l’ideatore della sentenza inserita poi nella costituzione americana da Benjamin Franklin «del diritto alla ricerca della felicità». Sia il Filangieri che Sepulveda ci danno però un’idea di felicità che non è quella che circola oggi. Essi sottolinearono che la felicità è un bene collettivo, non egoistico; nessuno può essere felice se altri sono in schiavitù, in povertà e fatti morire in nome del capitalismo folle. La felicità non è uno stato empirico ma una faticosa ricerca quotidiana. Si è felici quando si è persone giuste, quando faccio cose giuste. In questo senso la felicità coincide con la comunità. Non è possibile una felicità senza paragone, se la mia felicità non si riflette nell’altro non è felicità, essa non esiste senza empatia, senza quell’amore visto e creduto nelle piaghe sempre aperte di Cristo!