a cura di don Raffaele Rianna
direttore Ufficio Liturigico
“Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme”. Così leggiamo in un’antica Omelia sul Sabato Santo.
È il silenzio del mondo che tace davanti alla morte del Signore; è il silenzio della Chiesa che sosta presso il suo sepolcro; è il silenzio della liturgia che attende di cantare “Alleluia” nel cuore della notte che corre verso l’alba del “primo giorno dopo il sabato” (Mc 16,2; Lc 24,1; Gv 20,1), nel cuore di una notte che è diversa da tutte le altre. “Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?”. Facciamo nostro l’interrogativo che il più piccolo membro di una famiglia ebrea rivolge all’anziano di casa per introdurre il rito familiare della Pasqua ebraica, celebrazione che si compie con l’Haggadah, il racconto cantato dell’uscita dall’Egitto degli Ebrei che Dio libera dal giogo della schiavitù, affinché la memoria si trasmetta di generazione in generazione.
Questa notte è diversa da tutte le altre, perché questa è la notte in cui il Crocifisso Risorto irradia la sua luce per disperdere le tenebre del cuore e dello spirito, anticipo sacramentale della liberazione dalla morte e da ogni forma di dolore, di preoccupazione, di schiavitù… sguardo profetico sulla fine di questa pandemia. Una notte illuminata dal fuoco che desidera “accendere il desiderio del cielo” e dalla fiamma del grande Cero nuovo “ferito” da cinque grani di incenso che ci racconta di Cristo “Principio e Fine, Alfa e Omega” al quale “appartengono il tempo e i secoli” (dalla Liturgia). “Hæc nox est - Questa è la notte” è il ritornello del solenne annunzio Pasquale che fin dall’VII secolo canta la gioia “della terra che si ricongiunge al cielo e l’uomo al suo Creatore!” “Exsúltet iam angélica turba caelórum”. Sì, “esulti il coro degli angeli... gioisca la terra inondata da così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo”.
Quest’anno non potremo accendere le nostre luci al Cero pasquale, le nostre chiese non saranno illuminate dalle deboli fiammelle delle candele ma, ne siamo consapevoli, c’è una luce che “non estingue il suo vivo splendore, ma si accresce” sempre di più: è la luce della fede che sta guidando i passi di molti e che come sentinella annuncerà l’alba radiosa della fine dell’epidemia e del ritorno alla tanto desiderata normalità.
Questa è la notte delle lunghe letture, del dono abbondante di una Parola, quella di Dio che ci permettere di compiere il grande viaggio nel tempo della storia della salvezza. La Chiesa ci dà la possibilità di sceglierne alcune, che secondo il nostro giudizio sarebbero più significative. Mi chiedo se è davvero necessario. Mai come in questo tempo, anche noi sacerdoti, abbiamo fortemente bisogno di nutrirci della Parola di Dio; di ascoltare la Sua voce che attraversa i secoli e giunge a noi con energica vitalità: “Svègliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). L’armonia della creazione (Gen 1,1-2,2), il sacrificio di Isacco (Gen 22,1-18), il passaggio del Mar Rosso (Es 14,15-15,1), l’annunzio della fine della schiavitù (Is 54,5-14), l’invito ad accogliere con fiducia la salvezza (Is 55,1-11) e a ricercare la saggezza (Bar 3,9-15.32-4,4), la conferma promessa di liberazione (Ez 36.16-17.18-28), la catechesi battesimale di Paolo (Rm 6,3-11), in un continuo crescendo alimentano in noi l’ardente desiderio di cantare finalmente: Alleluia, lodate il Signore, “Questo è il giorno fatto dal Signore, una meraviglia ai nostri occhi” (Sal 118,24).
Avevamo dimenticato la semplice bellezza di questa lode che fin dall’inizio della Quaresima, per noi lunga e difficile, non ha accompagnato più la nostra preghiera. È un “Alleluia” nuovo, quello che canteremo e che “esprime l’esultanza silenziosa dell’universo, e soprattutto l’anelito di ogni anima umana sinceramente aperta a Dio, anzi, riconoscente per la sua infinita bontà, bellezza e verità” (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi. Pasqua 2011). È una lode colma di speranza che riassume l’intensa preghiera del nostro Vescovo Francesco “Fa Signore che non avvenga più, fa che questi giorni passino, che l’Eucaristia sia piena e raggiunga il cuore di tutti, che la Chiesa sia sempre nutrita dal tuo corpo, che possiamo sperimentare la liberazione da ogni male, che possiamo intravedere sempre la gioia e la pienezza di vita che solo tu puoi dare. Fa che non avvenga mai più”. (Omelia della Messa in Coena Domini 9.4.2020). È una buona notizia di consolazione e di coraggio che ricorda a noi e al mondo intero ciò che l’angelo disse alle donne nel primo mattino di Pasqua: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto”. (Mt 28,5-6)
Questa emergenza sanitaria ci ha privati di tante cose: di abbracci, di strette di mano, di incontri, di volti, di dialoghi. Certamente i mezzi di comunicazione ci aiutano, ma le nostre relazioni sono complete quando anche il corpo vi partecipa in pienezza. Persino la liturgia di questa notte condivide questa “mancanza”. Il fonte battesimale rimarrà asciutto, non sarà traboccante di acqua come le altre notti; i nomi dei Santi non saranno invocati per accompagnaci al luogo del Battesimo; il grande Cero rimarrà presso l’ambone… tutto in attesa che le porte delle nostre chiese si spalanchino, che la vita riprenda il suo ritmo e, finalmente radunati in assemblea, essere aspersi dell’acqua “che sgorga dal tempio santo di Dio”. Un’acqua che “rinfresca la memoria”, perché ci ricorda che il Battesimo, Sacramento dell’illuminazione, ci ha collegati inscindibilmente con la risurrezione di Cristo. “Il Battesimo — dice Papa Francesco — è il miglior regalo che abbiamo ricevuto: ci fa appartenere a Dio e ci dona la gioia della salvezza”. Un’acqua che ci ricorda Cristo, vera Luce che illumina anche la nostra luce; la luce delle opere buone, della solidarietà, della carità della vicinanza. Il Risorto è la luce nelle tenebre di questa situazione di pandemia; è la luce di chi soffre, di chi muore in silenzio, di chi si consegna per salvare vite… ecco la Luce di Cristo che risplendere nel battezzato con la certezza che nessuna tenebra potrà vincere, mai! Le Promesse Battesimali che in questa notte luminosa di Pasqua avremo tutti la possibilità di rinnovare, ci aiuteranno a prendere consapevolezza di quello che siamo: rinati dalla vera Acqua che è Cristo: con-sepolti nella sua morte e con-risorti in lui alla vita nuova (cfr. Rm 6,4).
Avremo sicuramente in un altro momento la possibilità, come i primi cristiani, di contemplare nella vasca battesimale la nostra risurrezione. Adesso, invece, abbiamo l’opportunità di celebrare il Risorto rinunziando al peccato e al male e di vivere da risorti, camminando con Lui che ha promesso di rimanere con noi per sempre: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20), ha detto il Signore.
Al centro del Mistero Pasquale sta l’Eucarestia, presenza del Risorto in mezzo alla Chiesa fino al compimento della storia. Sono i suoi gesti che ci permettono di “riconoscerlo” ancora oggi tra noi; è vivendo la medesima esperienza dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-53) che potremo comprendere il senso del mistero eucaristico; è sempre il Risorto che spezza il Pane e apre i nostri occhi, affinché vediamo la sua presenza nell’oggi della nostra storia provata. È lui che consola e dona speranza a chi è sfiduciato inviandoci ad essere accanto a chi soffre. È dall’Eucarestia pasquale che tutto di noi sarà trasformato, anche le fatiche, le sofferenze, il lavoro quotidiano, il pane guadagnato con il sudore della fronte. Tutto diverrà risurrezione in Cristo.
La liturgia, dimensione dell’identità della Chiesa che tiene unito il popolo Santo al suo Capo-Cristo, nasce dalla vita stessa di Gesù Risorto, dai suoi gesti e dalle sue parole. Con la celebrazione dei Santi Misteri, noi tutti entriamo nei suoi sentimenti, ne percepiamo la bellezza, il calore… Per questo tutti noi dobbiamo sentire la necessità di celebrare bene, senza fretta, entrando nel mistero per esserne trasformati, trasfigurati. Celebrare bene significa custodire, meditare, contemplare le parole e i gesti del Maestro in obbedienza al suo comando: “come ho fatto io fate anche voi” (Gv 13,15), “con la stessa passione, con la stessa forza, con la stessa fedeltà” (C. Chieffo). Servire all’altare è servire Cristo, servire la Chiesa, servire l’umanità attraverso la ricchezza della preghiera e la forza della fede, consapevoli che il Signore non ha bisogno della nostra lode, ma per un dono del suo amore ci chiama ogni giorno a rendergli grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva (cfr. Prefazio Comune IV)
In questo tempo di dolore e di preoccupazione stiamo facendo l’esperienza del popolo d’Israele che durante l’esilio ha vissuto “senza il tempio, ma non senza Dio”. E, come Israele ha scoperto una “ritualità familiare” così anche noi siamo chiamati a celebrare la Pasqua nelle nostre case, anzi a far diventare le nostre famiglie delle “chiese domestiche”, luogo della presenza di Dio. Il cammino di santità che stiamo percorrendo, senza dubbio, è esigente, ma ci sta aiutando a vivere pienamente la fede in questo tempo difficile, con la voglia di vivere la bellezza dell’essere Chiesa del Risorto.
“Mane nobiscum Domine” - “Resta con noi Signore”,
in questa lunga sera, in questa intesa notte.
Scalda il nostro cuore con l’ardore della tua parola.
Spezza tra noi il pane della fraternità.
Donaci la forza e il coraggio di raccontare,
oltre la fatica e il dolore,
che la Vita è più forte della morte.
Amen. Alleluia.