Discernere, accompagnare, purificare la pietà popolare

Possiamo pensare che tutte le manifestazioni di fede potranno continuare ad esprimersi come se nulla d’incisivo sia avvenuto in questo tempo di pandemia? Gli spunti di riflessione del direttore dell'Ufficio per la Pietà Popolare


a cura di don Francesco Feola

direttore Ufficio per la Pietà Popolare

 

Nell’ Evangelii Gudium, Papa Francesco  afferma che la pietà popolare è frutto della inculturazione del Vangelo. Nel corso dei secoli, i popoli hanno trovato modalità vicine alla loro cultura per esprimere i fondamenti della fede nel Signore Gesù (cfr. EG, 122). E infatti, se guardiamo alle diverse espressioni di pietà popolare nelle nostre zone, notiamo subito che queste sono frutto di ciò che da sempre il popolo santo di Dio ha accolto nella fede e quindi creduto ed espresso. Una perla preziosa che offre la possibilità di annuncio del Vangelo nella molteplicità culturale che il mondo globale oggi vive, se curata e accompagnata.

«… Non esiste la nuda fede o la pura religione. In termini concreti, quando la fede dice all’uomo chi egli è e come deve incominciare ad essere uomo, la fede crea cultura. La fede è essa stessa cultura …» ci ricorda Joseph Ratzinger (cfr. Cristo, la fede e la sfida delle culture, in «Nuova Umanità» 16, 1994, n°6). Questo binomio fede/cultura è consegnato alla Chiesa perché ne tragga giovamento l’annuncio del Vangelo e la Grazia di Dio nei Sacramenti. Scrive il Cardinale Scola:  «Il circolo cultura-fede rimarrebbe tuttavia senza carne né sangue se non si considerasse il ruolo delle tradizioni. Nulla infatti è più astratto dell’immagine di un individuo che edifichi, ogni volta da capo, la propria interpretazione culturale, nata con lui e con lui destinata a morire. Ben più concretamente, l’interpretazione culturale della fede si attua e si trasmette di generazione in generazione nelle tradizioni, offerte alla libera verifica dei singoli. Contrariamente a quanto una mentalità individualistica indurrebbe a pensare, appartenere a una tradizione non è una limitazione della libertà e inventiva personale ma, al contrario, è la condizione del loro miglior esercizio poiché fornisce un’ipotesi di partenza nella lettura del reale. Le tradizioni, nell’inesausta dialettica tra dare e ricevere che l’etimologia del termine suggerisce, si presentano pertanto come luogo del concreto esercizio dell’inevitabile interpretazione culturale di ogni fede. Proprio per questo esse appaiono sempre bisognose di purificazione e critica, poiché, come afferma Pascal, «per quanta forza abbia tale antichità, la verità deve sempre avere la meglio, quantunque di recente scoperta, giacché essa è sempre più antica di tutte le opinioni che se ne sono avute» (Oasis, 10, 2019).                                                                                           

Ancora Papa Francesco, ci ricorda che le espressioni nelle quali la pietà popolare si esprimono, sono luogo teologico, ovvero luogo dove Dio manifesta il suo amore misericordioso che - ci dice il Papa - diventa un punto di riferimento per ripensare la nuova evangelizzazione: «Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione » (EG, 126).

Anche il X sinodo della nostra Chiesa di Nola, sulla pietà popolare e le tradizioni e usanze afferma: «… le varie espressioni di religiosità popolare in occasione delle grandi Feste cristiane, possono rappresentare un’espressione autentica e comunitaria di fede e costituire così una preziosa occasione di evangelizzazione e di crescita nella fede, anzi, una vera e propria “pedagogia” verso una celebrazione liturgica consapevole e autentica. Non vanno perciò sottovalutate né soppresse. Non va però nemmeno sottovalutato il pericolo che queste manifestazioni della fede possano essere esposte a deformazioni superstiziose o a infiltrazioni di persone e mentalità estranee alla fede e alla Chiesa. Vanno perciò adeguatamente educate e, talvolta, purificate» (B. Depalma, La Chiesa di Nola ascolta e si interroga, X sinodo diocesano, pagg. 36-37).

In questo contesto si cala la mia lettura delle tradizioni della pietà popolare in questo tempo di quarantena e quali possibili strade ci spinge ad intraprendere.

Con l’inizio della quaresima, purtroppo la pandemia ha iniziato a contagiare e a mietere vittime, creando paure e timori in tutti. Le autorità hanno disposto il periodo della quarantena, che di fatto, ha posto la maggior parte della popolazione chiusa in casa. Al termine della quaresima, è iniziato il tempo Pasquale, che, con i riti e la liturgia che propone, da sempre, è il momento nel quale tante forme di pietà popolare trovano la loro manifestazione più genuina.

Se guardiamo alle diverse manifestazioni che le tante comunità della nostra diocesi hanno, ci rendiamo conto dell’enorme bagaglio di fede, cultura e tradizione che esprimono. Diverse, purtroppo hanno assunto una modalità che non esprime più la loro originaria struttura, ma pur sempre sono da curare e da tenere in considerazione. Il coronavirus ha di fatto imposto uno stop alla vita ordinaria di tutti noi. La vita si è fermata. Il lavoro, la scuola, la vita parrocchiale e ogni forma aggregativa è stata bandita. Apparentemente anche le espressioni di fede hanno subito tale sorte in un periodo particolare dell’anno liturgico che favorisce il ri-orientamento a Dio.  Anche il direttorio di Pietà Popolare dice: «Il popolo cristiano avverte chiaramente che durante la Quaresima bisogna orientare gli animi verso le realtà che veramente contano; che si richiede impegno evangelico e coerenza di vita, tradotta in opere buone, in forme di rinuncia a ciò che è superfluo e voluttuario, in manifestazioni di solidarietà con i sofferenti e i bisognosi» (Direttorio di Pietà Popolare e Liturgia n. 125). Se guardiamo al cammino quaresimale del popolo di Dio, possiamo, con sereno giudizio, affermare che questa quaresima è stata un tempo veramente proficuo per fare spazio a Dio. Se da un lato i divieti di vivere momenti celebrativi, hanno annullato ogni manifestazione, propria di questi tempi, di fatto hanno creato una parentesi tra la storia “abitudinaria”, le nostalgie del passato e quello che sarà quando, terminato questo tempo di pandemia, ritorneremo a vivere momenti e luoghi che non saranno più come prima.

Cosa avverrà della pietà popolare al termine del coronavirus?

Molti tra i sociologi e gli studiosi del momento ci dicono che ciò che il mondo vive in questi giorni segna un punto di divisione con quello che era la vita fino allo scorso gennaio. Questo perché nel tempo in cui siamo costretti a casa, tutti diamo senso e valore alle cose che avevamo e che, in un solo momento, ci sono state tolte, anche se (ce lo auguriamo tutti) ancora per poco. Tra queste, molti stanno riscoprendo la bellezza e la gioia del bagaglio della fede, la grazia della Parola e dei Sacramenti. Nel moltiplicarsi dell’azione pastorale dei parroci, dei religiosi, dei catechisti e animatori cristiani, per continuare l’opera naturale della vocazione cristiana, una cosa è certamente mancata: la reale Comunità! L’essere Corpo di Cristo che è proprio della fede cristiana! Anche Papa Francesco nelle sue omelie alla celebrazione mattutina in Santa Marta, lo ha più volte detto. La comunità cristiana non può essere virtuale, l’esperienza cristiana è concretezza reale di una comunità che nella liturgia di lode, accoglie la Parola, dona la sua esistenza e riceve la Grazia della Comunione.

Le manifestazioni pasquali tipiche di questo tempo non sono state vissute per gli ovvi motivi, possiamo pensare che per le prossime tutto sarà come sempre? Possiamo pensare che tutte le manifestazioni che la fede nei secoli ha prodotto potranno continuare come se nulla d’incisivo sia avvenuto? Qui la pastorale ordinaria della Chiesa, oggi più che mai, è chiamata a fare la sua parte. Qui Vescovi, presbiteri e laici sono chiamati a fare la loro parte affinché questo tempo sia kairos, tempo dello Spirito. Tempo di Grazia.

Discernere, accompagnare, purificare questi i verbi che i pastori e le Comunità cristiane sono chiamate a riscoprire e a praticare affinché le manifestazioni che dicono al mondo la fede in Cristo, siano realmente espressione di una fede concretamente vissuta. Siano espressione di quanto il popolo di Dio ha accolto, meditato, celebrato e quindi manifestato. La Chiesa del post coronavirus è chiamata, nel suo porsi a servizio della pietà popolare, a coniugare quei verbi affinché le tradizioni consegnate da secoli di fede dicano al mondo di oggi la bellezza, la forza e la gioia del Vangelo di Cristo.





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