Mammoni e scansafatiche, amanti della movida, senza più valori né ideali. Appare questa la fotografia scattata dai media sulla realtà giovanile. Certo non mancano esempi virtuosi di giovani disponibili a impegnarsi per la costruzione del bene comune. Tuttavia, al netto di qualche eccezione, sembrerebbe che per tanti parlare di giovani responsabili rappresenti ancora oggi un ossimoro ,soprattutto in questo tempo di pandemia. La giovinezza viene talvolta intesa proprio come il tempo della fuga dagli impegni e dai legami stabili. Sappiamo bene, però, che la responsabilità non si lega a un’età particolare della vita, ma le attraversa tutte, seppur con sfumature differenti. Si è responsabili in quanto capaci di risposta di fronte a un Tu. Non si tratta di vincoli e obblighi derivanti da un dovere o da una norma. È questione di relazione, di dono e impegno, chiamata e risposta.
Ad uno sguardo attento, la presenza dell’altro non può certo essere letta ingenuamente come un limite, nella logica secondo cui «la mia libertà finisce dove inizia quella altrui». La relazione al contrario definisce la mia libertà, cioè le dà forma. Non è data una libertà che sia irrelata. Senza la relazione all’altro non si è affatto liberi, ma semplicemente soli. È questo un aspetto costitutivo della nostra umanità e non soltanto un dato accidentale. Potremmo anzi dire che ne costituisce il senso profondo, tanto che eludere tale dimensione significa disumanizzarsi. Viviamo un’epoca in cui l’interdipendenza tra gli uomini è cresciuta esponenzialmente, ma essa non è di per sé garanzia di relazioni sane finché non viene assunta in maniera responsabile. In questo senso, l’emergenza coronavirus può essere letta come una grande occasione. Tutti improvvisamente ci siamo ritrovati «sulla stessa barca» (Papa Francesco, Veglia a Piazza S. Pietro, 27 marzo 2020).
Potremmo quindi ritenere che questo tempo estremamente complesso venga a palesarsi, al contempo, come gravido di opportunità da non sprecare. Esso rappresenta, infatti, la possibilità di ristrutturare le relazioni negli ambiti che più da vicino toccano la vita dei giovani. In famiglia, a genitori e figli sono state concesse opportunità, per certi versi insperate, di guardarsi negli occhi, parlarsi ed ascoltarsi. Al contempo, è in atto anche una sorta di rovesciamento anticipato del ‘paradigma della cura’, riletto in una logica di reciprocità. Non occorre più attendere che l’età avanzata dei genitori ponga dinnanzi ai figli l’imperativo di farsene carico. Acquisire consapevolezza della necessità di evitare comportamenti a rischio, le cui conseguenze potrebbero ricadere sui familiari, aiuta i giovani a scoprirsi custodi dei propri cari sempre e a comprendere in senso nuovo il rapporto tra le generazioni.
Anche l’ambito delle relazioni amicali deve necessariamente fare i conti con un dato paradossale. Nel momento in cui abbiamo avuto più bisogno della tecnologia e dei social per restare in contatto, i giovani hanno riscoperto il desiderio e il bisogno di trovarsi fisicamente, per vivere una prossimità non più soltanto virtuale. Si ci è resi conto che la tecnologia, con le sue potenzialità e contraddizioni, da sola non basta e che la relazione ha bisogno di volti, non soltanto degli schermi di pc e smartphone. Se è questo allora il tempo per relazioni nuove, non può che essere anche il tempo per una nuova responsabilità. C’è sempre un luogo ed un tempo in cui la responsabilità si radica, per quanto faticosi e complessi possano essere. Essa è da coniugare al presente, per gli adulti come per i giovani. Anche questi ultimi sono chiamati a vivere con intelligenza questo tempo inedito, non tanto nell’attesa che tutto finisca, ma come autentica opportunità per crescere nella cura responsabile
dell’altro.