Chi è cristiano difende i diritti di ogni uomo

Dedicato alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo l'ultimo contributo di don Ciro Biondi per inDialogo, secondo dorso mensile di Avvenire

 

Oggi più che mai tutti i cristiani sono chiamati a essere gli inviati del Figlio di Dio, Gesù il Cristo, impegnandosi alla diffusione del suo Regno praticando la giustizia, amando senza misura e ingaggiando se stessi sulla via della pace.

C’è un mare di dolore di cui devono farsi carico. Sono 122 i Paesi del mondo in cui vengono compiute torture. Crimini e violazioni della «legge di guerra» accadono in 20 nazioni. Almeno 30 governi rifiutano l’accoglienza ai rifugiati e la libertà di espressione è negata o sottoposta in 113 Stati. Un quadro poco rassicurante se pensiamo che in questi giorni si celebra il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adotta questa magna charta dei diritti umani fondamentali che da allora rappresenta la pietra angolare del diritto internazionale. Oggi la crescita delle minacce terroristiche, belliche e nucleari favorisce la chiusura dei confini nazionali e l’incremento dei populismi. Problemi con dimensioni globali si focalizzano in contesti locali: basti pensare al traffico di armi dai Paesi occidentali a quelli del Sud del mondo, alle reti del terrorismo internazionale, alla rimonta dei nazionalismi, alle migrazioni e alla crisi dei rifugiati, oltre 60 milioni di persone, un popolo sparso ai quattro angoli della terra.

Sempre secondo il report di Amnesty International 36 Paesi hanno violato il diritto internazionale restituendo illegalmente rifugiati alle terre in cui erano a rischio di tortura, violenze e morte. L’Unione Europea ha stipulato un accordo con la Turchia per restituire i rifugiati a quel Paese che non era in grado di proteggere i loro diritti fondamentali. Per non parlare di quanto accaduto e accade in Libia, dove chi è sopravvissuto ai lager libici racconta di violenze e torture di ogni tipo. Anche negli Stati Uniti, l’era del presidente Trump è caratterizzata dalla chiusura delle porte alle persone provenienti da Siria, Iran, Libia, Somalia e Yemen. Proseguendo nel giro d’orizzonte dei diritti violati, è d’obbligo una tappa in Siria, dove i lunghi anni del conflitto hanno ucciso, ferito, costretto alla fuga migliaia di persone. In Turchia, dopo il colpo di Stato del presidente Erdogan, la repressione massiccia si è abbattuta sui funzionari e la società civile, colpendo oltre 40mila persone accusate di appoggiare il movimento di Fetullah Gulen, molte delle quali sono state sottoposte a torture nelle carceri di Stato. L’epurazione di massa ha portato al licenziamento di 90mila dipendenti pubblici, all’allontanamento di giornalisti, di rappresentanti di Ong e di parlamentari dell’opposizione, molti dei quali spariti. Scorrendo la black list delle violazioni, troviamo le Filippine del presidente Rodrigo Duterte, impegnato in una violenta campagna antidroga che ha portato all’uccisione di oltre seimila persone solo nel primo anno di governo.

Sempre nel Sud– est asiatico, il Myanmar non può più negare di fronte agli occhi del mondo le responsabilità nella drammatica epopea dei Rohingya, la minoranza perseguitata per motivi etnici e religiosi, in quanto a maggioranza musulmana in un Paese buddista. Se ci spostiamo in Africa, tra le varie zone di crisi emerge quella del Sud Sudan, dove il conflitto tra le forze governative e quelle dell’opposizione prosegue, malgrado la firma dell’accordo di pace. Violazioni del diritto internazionale umanitario, uccisioni sommarie e stupri di migliaia di donne sono la ferita non rimarginata della popolazione sudsudanese, vittima di rivalità politiche e battaglie inumane.

Il viaggio tra i punti più difficili del pianeta dimostra che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo avverte un’involuzione invece di crescere.

Noi, i discepoli missionari di Cristo non possiamo rimanere indifferenti di fronte a un’umanità che porta le ferite aperte del Crocifisso per amore.

 

 

 

 




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