Jules Michelet ha conferito alla fistola di Luigi XVI un ruolo storico rilevante nelle vicende della Francia. Che io ne sappia, nessuno storiografo importante l’ha mai preso sul serio. Eppure, secondo Bloch, «una storia più degna del nome dei timidi tentativi a cui oggi ci riducono i nostri mezzi, darebbe il loro posto alle avventure del corpo».
La storia del corpo non è mai stata scritta.
Ad eccezione di alcuni grandi pensatori, ad esempio Michel Foucault, Norbert Elias, Marcel Mauss Marc Bloch ed altri che qualcosa hanno detto, il corpo è quasi sempre fuori dal fuoco delle inchieste storiografiche. Così la pensava Jacques Le Goff (scomparso quattro anni fa), un monumento delle scienze storiche francesi, del quale ho letto con gusto Il corpo nel Medioevo.
Cosa dice questo libro? Beh, che il corpo nel Medioevo è investito da contraddizioni e ambivalenze, tra esaltazione e rimozione, umiliazione e venerazione, peccato e santità. Un prisma di simboli (e il fascino del Medioevo sta molto nella sua sensibilità per il linguaggio simbolico, per i rimandi segnici: do you know Umberto Eco?). San Francesco ne è un po’ la summa inconsapevole, giullare di Dio e cantore delle creature, ma pure ascetico mortificatore del corpo, con le stimmate che sono insieme dolore ed estasi, ferita della caducità e feritoria da cui ci visita l’Assoluto. Il corpo è «l’abominevole rivestimento dell’anima» (Gregorio Magno) ma pure onorato con l’incenso nel rito funebre perché in vita è stato tempio di Dio e perché la resurrezione è risurrezione della carne. Per non parlare del corpo dei santi e dei loro miracoli, compiuti presso loro tombe o attraverso le loro reliquie che sono oggetti a loro appartenuti o, appunto, parti del loro corpo. L’eucarestia, fulcro del culto cristiano, è corpo e sangue di Cristo (pure “anima e divinità”, dice il Catechismo, lo ricordo io). I
Il corpo è il veicolo del peccato originale, certo, ma è pure strumento o via di salvezza: «Il Verbo si è fatto carne» recita il Vangelo di Giovanni.
Incredibilmente, sostiene Le Goff, se nel Medioevo si assiste al crollo delle pratiche corporee e alla marginalizzazione degli spazi pubblici dedicati al corpo del mondo antico, questi è al centro della società medievale. In fondo, ricorda lo storico, «a separare in maniera radicale l’anima dal corpo non è stato il Medioevo, ma piuttosto la razionalità classicistica del Seicento» (p. 22). Di certo esiste una repressione degli atteggiamenti che manifestano socialità o godimento, accompagnata da una regolamentazione piuttosto precisa delle pratiche corporali (non solo, come è facile pensare, di quelle sessuali, ma pure belliche: talune prescrizioni, ad esempio, arrivano a indicare come il sangue debba essere versato in maniera non peccaminosa); tuttavia, come diceva Kant «questo può essere giusto in teoria, ma non vale nella pratica». E non devo aggiungere molto, se lo volete lo scoprirete voi.
Il libro esplora con dovizia di particolari mescolata ad una brillante e snella chiarezza (solo 160 pagine con tante documentazioni erudite e spunti interessanti: col doppio delle pagine in tanti riescono a non dir nulla) dicevo esplora bene tante domande interessanti, tutte riferite al senso materiale e sociale, e agli usi e costumi collegati, che a quel tempo potevano avere la nascita e la morte, le età della vita, la vecchiaia, la medicina, la cura dei malati (a proposito: nascono gli ospedali), il cibo (da Bisanzio arriva un’invenzione rivoluzionaria: la forchetta! Ringraziamo per averci evitato l’incubo delle bacchette), e l’amore tra i cavalieri e le fanciulle (davvero si fermavano alla serenata?).
Tra le sorprese c’è ad esempio il rapporto con la nudità: contrariamente a quel che si pensa, la nudità non era affatto odiata.
Sì, ok, le autorità ecclesiastiche non perdevano occasione per segnalarne il pericolo, ed in genere l’approccio emotivo al nudo era improntato alla preoccupazione, ma la nudità «resta al centro di una tensione tra svilimento e nobilitazione» (p. 124). Gli sposi sono autorizzati a stare a letto nudi (sono così raffigurati pure negli affreschi spesso); la nudità rimanda certo a quel che i progenitori cercavano di nascondere dopo il peccato originale ma, proprio per questo, è anche il ricordo della beatitudine originaria e di quella a venire (e alcuni teologi si chiedevano se nell’aldilà le anime fossero vestite o meno). E poi una grande attenzione al cuore, con punte quasi splatter. Nella letteratura del XII, infatti, si dà l’immagine ricorrente del “cuore mangiato”. Nel Quattrocento “si esaspera il tema del martirio del cuore, luogo privilegiato della sofferenza” (p. 141): da qui è facile arrivare alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, “metamorfosi barocca della mistica del cuore” (Ibidem) preparata fin dal 1100 da san Bernardo e dallo spostamento della piaga di Cristo crocefisso dal lato destro al lato sinistro del costato, quello del cuore.
Metto Le Goff, per quanto riguarda il metodo di questo saggio, accanto al filosofo Nancy, del quale già ho presentato un testo tempo fa in questo spazio: il primo tenta di fare non una storia del corpo, ma una storia dal corpo; così come il secondo tenta una filosofia dal corpo. Operazione difficile, poiché il corpo è la cosa più esposta di tutte e dunque, per definizione, la più nascosta.
Si vede con difficoltà, infatti, o perché non c’è luce, o perché è tutto alla luce.