Il lavoro occupa da sempre un posto di grande rilievo nell’orizzonte di realizzazione delle aspirazioni di ogni uomo.
Soprattutto per i giovani esso è stato oggetto di innumerevoli progetti e desideri.
Purtroppo, negli ultimi decenni, sembra che di esso sia stato smarrito il senso autentico, riducendolo quasi esclusivamente ad attività pratica finalizzata alla sussistenza personale e familiare. È diventato insomma una necessità tollerata e spesso subita, se non addirittura una chimera. Oggi più che mai, il lavoro viene compreso come un’attività retribuita assimilata agli altri fattori economici del processo produttivo. Mentre in passato al lavoro era associato un orizzonte ampio di sogni e aspirazioni, che riecheggiava concrete possibilità di autorealizzazione e di costruzione di una società migliore, oggi sembra avere quasi del tutto smarrito questa dimensione.
Molto spesso il lavoro viene semplicisticamente associato alla fatica e, di conseguenza, a qualcosa di opprimente e schiavizzante.
Altre volte, il lavoro stesso viene compreso in strumento di affermazione e di rivalsa.
Si assiste, insomma, allo svuotamento di significati e di valore del lavoro sotto il profilo della sua rilevanza per la vita dell’uomo.
Il lavoro rimane certamente uno dei temi al centro del dibattito politico e sociale contemporaneo. In un tempo segnato tuttora da una profonda crisi, non soltanto economica ma anche culturale, il rischio è però quello di parlare della questione lavoro esclusivamente a partire da parametri e dati economici. Quando l’unico obiettivo perseguito diventa la ricerca dell’efficienza, lo spazio lasciato alle riflessioni riguardanti la dignità dell’uomo e il significato del suo lavoro viene talmente compresso da risultare quasi annullato.
A partire dalla fine del ventesimo secolo, la globalizzazione dei mercati ha delineato uno scenario profondamente mutato, inserendo nella strutturazione dell’attività lavorativa degli elementi inediti. Lo sviluppo tecnologico e l’espansione dell’economia finanziaria, che sembra ridurre la rilevanza di quella reale, hanno avuto un impatto notevole sulla strutturazione del lavoro e sulle modalità non soltanto in cui esso viene svolto, ma anche in quelle in cui viene compreso. L’attuale crisi economica ha poi accentuato quegli elementi di incertezza che rendono più arduo il cammino verso una progettualità che presenti come fine quello di incamminarsi verso una vita adulta stabile e quindi apra alla possibilità di costruire una famiglia. La crisi economica ha, infatti, sicuramente smascherato l’illusione di poter raggiungere uno sviluppo armonico e diffuso attraverso la ricerca del massimo profitto privato dei riferimenti etici.
Nonostante ciò, non sembra che la ricerca di strade e modelli alternativi abbia davvero preso piede.
Sembrerebbe piuttosto che si sia diffusa una profonda rassegnazione per cui certi mali dovrebbero essere tollerati come necessari.
La possibilità di ripensare e ricostruire l’economia non può infatti poggiare sugli stessi parametri che hanno originato la situazione attuale. Sarà quindi necessario uno sforzo condiviso per andare in una nuova direzione.
Proprio alle nuove generazioni è chiesto di assumersi la responsabilità di una vera e propria conversione personale e comunitaria capace di smascherare e prendere le distanze da alcuni modelli con cui siamo soliti leggere la realtà del lavoro e che, per quanto opposti, negli ultimi anni sembrano aver permeato la mentalità condivisa. Si tratta da un lato della scissione tra lavoro e vita, che riduce l’attività lavorativa a un dazio da pagare per poter assicurare la sussistenza propria e dei propri cari; dall’altra dell’idolatria del lavoro, a cui viene subordinato ogni altro aspetto della vita dell’uomo.
Si impone una riscoperta del significato autentico della realtà del lavoro e del fondamento della sua dignità.
A tal proposito il Magistero, attraverso la voce di Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem Exercens, afferma che: « ... il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso ... Per quanto sia una verità che l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è per l’uomo, e non l’uomo per il lavoro» (LE 6).