È evidente che una buona comunicazione ha come presupposto fondamentale la chiarezza dell’esposizione e la disponibilità all’ascolto. Nel racconto che Luca fa del giorno di Pentecoste negli Atti degli Apostoli ci dice che i discepoli erano riuniti tutti nello stesso luogo, e lo Spirito Santo dona loro la capacità di poter parlare le lingue di tutti i popoli: «Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi» (At 2, 4). Il giorno di Pentecoste, dunque, per una effusione grandissima dello Spirito del Signore, il linguaggio dei 12 apostoli diventa comprensibile.
Ritengo che ci sia una sfumatura da cogliere. Il reale dono dello Spirito Santo non è tanto la capacità soprannaturale di parlare linguaggi che non si conoscevano, ma la possibilità, dischiusa dalla grazia, di entrare in comunicazione, di stabilire un nuovo legame, di incontrarsi intorno al fuoco nuovo dell’intesa. Il dono dello Spirito Santo non è la capacità di parlare nuove lingue, ma la comunione dei figli di Dio mediata dai linguaggi umani resi comprensibili. Se la comunione è mediata dal linguaggio allora è necessario che entrambi i termini della comunione siano abitati dallo Spirito del Signore.
Il brano degli Atti degli apostoli ci racconta dello sconcerto delle folle: «Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua» (At 2, 5–6). Lo Spirito del Signore è principio di comunione. San Agostino diceva che se il Padre è l’Amante e il Figlio è l’Amato, lo Spirito Santo è il legame che unisce Padre e Figlio nella comunione perfetta: l’Amore. Proprio perché il dono dello Spirito non sono le lingue, ma la comunione, i 12 non sono gli unici destinatari dello Spirito del Signore. Lo sono evidentemente anche i popoli che offrono un ascolto attento alle parole dei 12: che ascoltando comprendono. Altri, infatti, pur ascoltando non accoglieranno quelle parole e dunque non entreranno nella comunione con loro: «Altri invece li deridevano e dicevano: “Si sono ubriacati di mosto”» (At. 2, 13).
Le parole dei 12 per alcuni rimangono suoni incomprensibili, vaneggiamenti da ubriacatura: parole incomprensibili di chi ascolta una lingua che non conosce. Il dono della Pentecoste raccontato negli Atti degli apostoli non è dunque riducibile ad una semplice, seppur prodigiosa, capacità di parlare lingue mai parlate. È il dono della comprensione per chi si rende docile all’azione dello Spirito. Questo racconto evidenzia che la grammatica della comunicazione, linguaggio chiaro e disposizione all’ascolto, rimangono i presupposti fondamentali. La grazia eleva la comunicazione all’esperienza della comunione.