Il bollettino diocesano del 1916 lo definisce «benefattore di migliaia di famiglie», «uomo dalla tempra adamantina», «un giusto». Si parla del principe di Lauro, Filippo Massimo Lancellotti, nato nel 1844, figlio di Camillo Massimo e nipote di Regina Giuseppina Massimo, dalla quale, a soli diciotto anni, erediterà le terre dell’ex feudo di Lauro e il castello annesso.
Proprio per la ricostruzione dell'antico edificio, il giovane spende molte energie: gira l’Italia visitando molte fortezze alla ricerca delle migliori idee artistiche e architettoniche; giunto a Roma, resta colpito dalla chiesa paleocristiana di San Clemente e così la usa come modello per la cappella privata del castello. Questa, oltre che alla Vergine, è intitolata anche a San Filippo Neri, per il quale il principe aveva una grande devozione. Finalmente, il 25 agosto del 1872, il castello ricostruito può essere inaugurato. L’entusiasmo con cui il delfino dei Lancellotti aveva portato avanti la sua opera, non si spiega soltanto con la ricerca di una dimora adatta alla dignità dei propri natali, ma soprattutto con l’amore incondizionato che egli ha per la sua terra: Filippo ben sa che riportare in vita il castello significa dare lavoro a molti e riaccendere l’attenzione su Lauro. Tutti i suoi sforzi sono sorretti da una fede viva e dalla convinzione che la cura della bellezza è una via possibile di testimonianza cristiana.
Sull'arco di accesso all'abside della cappella del castello si può leggere questa iscrizione: . Seguita da un’altra posta nel catino absidale che così recita: «Ho avuto cura o Signore della bellezza della tua casa affinché tu non perda l’anima mia con i cattivi», seguita da un’altra posta nel catino absidale che così recita «Il Principe di Lauro fondò questa chiesa per ottenere il eprdono delle proprie colpe colpe.Tu che metti piede in questo tempio prega spesso Dio affinché abbia misericordia di lui».
Filippo pensa addirittura a ricreare uno spazio claustrale facendo costruire un piccolo chiostro attraverso il quale sia possibile passare dalla cappella alla biblioteca e viceversa: uno spazio nel quale poter meditare in solitudine. Dalla sua profonda spiritualità scaturisce pure l’attenzione massima ai bisogni dei più poveri per i quali, come attestano numerosi testimoni, era sempre pronto a mettere a disposizione i suoi averi.
Tale fu il suo impegno di cittadino che l’allora sindaco di Lauro, Ferdinando Ziccardi, lodò la magnanimità del principe nel bel mezzo di un riunione del decurionato (in pratica il consiglio comunale del tempo). Era il 20 dicembre 1883: il tutto è riportato nell’atto deliberativo della seduta. La morte lo coglie a Roma il 30 dicembre