Ora va costruita la speranza, per il lavoro

La crisi rappresenta per tutti una vera occasione per rivedere i nostri modelli di sviluppo per il mondo del lavoro e dell’economia. La riflessione di don Aniello Tortora, vicario per la Carità e la Giustizia


a cura di don Aniello Tortora

vicario per la Carità e la Giustizia

Nelle nostre parrocchie in questi giorni si è scatenata una vera gara di solidarietà. Meno male che c’è la Chiesa, 'casa tra le case', fontana del villaggio per molti vecchi e 'nuovi poveri'. Povertà emerse con forza e a dismisura da quando il maledetto coronavirus ha messo piede nei nostri territori e nel mondo intero. Certamente la Chiesa nel corso dei secoli ha svolto un ruolo sociale importantissimo. E lo sta svolgendo anche oggi, ancora di più, in modo egregio. Quanti volontari, quanta solidarietà, quanta carità diffusa nelle nostre parrocchie. Carità silenziosa, nascosta fatta con la discrezione propria della carità cristiana. Si è accolto chi aveva - e ha fame - ma anche le lacrime di non aveva - e non ha - lavoro. Ora però è anche il tempo anche per le nostre comunità cristiane di porre al centro delle nostre attenzioni e dell’intero contesto sociale il tema del lavoro. Oggi più che mai, come con profonda profezia affermava già S. Giovanni Paolo II nella Laborem exercens il «lavoro è una delle chiavi, e forse la chiave essenzi di tutta la questione sociale» (n 3).

In questi giorni leggendo alcuni commenti su questa questione, ho visto che qualcuno, giustamente, ha riportato una citazione tratta dall’ opera La peste di Albert Camus: «Dal momento in cui la peste si fu realmente impadronita di tutta la città […] disorganizzò tutta la vita economica determinando un numero considerevole di disoccupati». Quanta analogia tra il quadro presentato dallo scrittore francese in questo suo scritto e quello che stiamo vivendo in questi giorni. Il testo infatti rappresenta bene una città che inizialmente minimizza il problema e solo di fronte a un’emergenza ormai evidente comincia a prendere le giuste misure per contrastare il male, anche se nel frattempo si è già creata tanta disoccupazione.

Ed è quello che noi tutti stiamo vivendo in questo periodo così oscuro da tutti i punti di vista nella società. Ci siamo trovati, all’improvviso, di fronte ad un’emergenza che appare difficile da amministrare. E tutto  questo ha avuto forti ricadute sull’economia e il lavoro. Alcuni hanno perso subito il lavoro, altri sono stati messi in  cassa integrazione e moltissimi si chiedono se una volta passata questa ondata potranno tornare a lavorare. Come descritto ne La peste anche oggi ci troveremo di fronte a «un considerevole numero di disoccupati». E soprattutto al Sud è emerso in modo rilevantissimo tutto il lavoro sommerso, vera piaga del nostro territorio: lavoro precario e in nero. Quante famiglie stentano ogni giorno a mettere il piatto a tavola! È aumentato a dismisura il numero dei poveri.

Trasporti, turismo, commercio, agricoltura, cultura, spettacolo, edilizia e altri settori sono stati toccati pesantemente. Tutti, ma proprio tutti i settori (eccetto qualcuno) risentono di questa crisi. Un’economia in ginocchio. Nel ’29 fu la crisi a generare una catastrofe economica. Oggi il Coronavirus, oltre a mietere vittime a centinaia di migliaia,  apre scenari  inediti di ansia  e preoccupazione, che alimentano timori grandissimi per il futuro, non solo di qualche nazione ma dell’intero globo terrestre. La politica, in questa situazione, si è mossa come ha potuto, con mille decreti, proroghe, teorie di nuove fasi. Ma ha anche litigato più del dovuto. Inutili i richiami di Mattarella e del Papa ad essere uniti in questo momento storico così drammatico. Qualcuno pensa di essere in perenne campagna elettorale, invece di dare il proprio contributo alla ricerca del bene comune, che deve venire sempre prima degli interessi di bottega.

Siamo tutti convinti che questa situazione rappresenta per tutti una vera occasione per rivedere i nostri modelli di sviluppo per il mondo del lavoro e dell’economia. Tutto va ripensato.

La vera sfida dove tutto si gioca è la solidarietà. Stiamo tutti nella stessa barca e insieme dobbiamo remare per raggiungere il porto sicuro della pace e della giustizia sociale. E tocca anche alla chiesa, passato questo periodo di emergenza assistenziale, gridare, come recentemente ha fatto Papa Francesco, che “il lavoro non è carità, è dignità e ogni lavoratore ha diritto ad una giusta paga” per sostenere la propria famiglia. Anche noi, come Chiesa diocesana, dobbiamo riprendere, come fatto in passato, il nostro ruolo pastorale di denuncia-annuncio in questo ambito. Come ci siamo mossi, giustamente, con spirito assistenzialistico in questo periodo, così dobbiamo  necessariamente riprendere in mano i princìpi-cardine della dottrina sociale della chiesa, annunciando, oggi, con più forza, il Vangelo del lavoro.

È necessario, a questo punto, riprendere qualche passaggio del bellissimo discorso al mondo del lavoro, di S. Giovanni Paolo II alla nostra Chiesa, nella storica Visita del 23 Maggio 1992, al Cis di Nola, il quale, dopo averci invitati acostruire la Speranza”, così diceva : «Che cosa è dunque il lavoro alla luce della fede in Cristo, “verità” dell’uomo? Il significato e la dignità del lavoro umano vanno cercati primariamente nel soggetto che lo realizza: nell’uomo, creato a immagine di Dio, redento da Cristo, e chiamato a dominare la terra come collaboratore del Creatore. Il lavoro attinge così la sua dignità dal coinvolgimento dell’uomo nel disegno divino. Da questo principio, che va oggi proclamato con rinnovato vigore, derivano alcune precise istanze etiche, quali l’illiceità della riduzione del lavoro a merce, e il diritto di ogni uomo al lavoro e alla giusta retribuzione. Dopo il fallimento storico del comunismo, si crea ai nostri giorni il rischio di cedere a una sorta di idolatria del mercato (cf. Centesimus annus, 40), che, se dovesse affermarsi a livello nazionale e internazionale, porterebbe a conseguenze nefaste per i più poveri. Urge riaffermare le esigenze della giustizia, che nessuna regola di mercato può conculcare. Lo stesso diritto di proprietà privata dev’essere ordinato al principio della destinazione universale dei beni, divenendo sempre di più, in un contesto di libertà sociale, non solo garanzia di autonomia privata ma anche strumento di solidarietà (cf. Centesimus annus, 30). …. Responsabilità nell’adempiere ai propri obblighi contrattuali e occupazionali. Solidarietà nel costruire un modello di sviluppo sempre rispettoso della dignità umana e delle esigenze del bene comune. Si tratta, insomma, di affermare, a tutti i livelli e in tutti i ruoli, il primato dell’uomo, il primato dell’etica, il primato dell’amore».

A noi il compito di raccogliere questa grande  sfida, per  costruire, insieme, senza lasciare indietro nessuno, la speranza e la solidarietà, nonostante il coronavirus.





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